In questo numero ricordiamo tre nostri confratelli che ci hanno lasciato per il paradiso: fra Crispino Mescolini, prima infermiere e poi educatore nel segno dell’amicizia; fra Damiano Bonori per 34 anni missionario, il leone del Centrafrica; fra Roberto Ferrari, il brigante della fede, l’umile ardito in terra di Turchia per ben 64 anni.

Nazzareno Zanni

 Ricordando fra Crispino Edgardo Mescolini

Per 34 anni infermiere provinciale e poi per 20 anni formatore: curava ed educava da amico

 San Piero in Bagno (FC), 13 giugno 1935

† Reggio Emilia, 22 gennaio 2017

Da San Piero in Bagno a Cesena

Edgardo era nato il 13 giugno 1935 a San Piero in Bagno (FC) sull’appennino tosco-romagnolo, che ne ha forgiato il carattere e ha impresso nel suo cuore un profondo amore per la montagna. Come altri compagni della stessa età, benché nel borgo vi fosse un convento di frati minori, si riversò nell’ampio grembo della spiritualità cappuccina. Aveva solo quindici anni quando nel 1950, con il nome di fra Crispino da San Piero in Bagno, a Cesena fu ammesso al noviziato: lampadine che sembravano lampade cimiteriali, tetto a vista che lasciava piovere sul pavimento i raggi del sole estivo e la neve d’inverno, finestre minuscole alla cappuccina con tela al posto dei vetri, e nessun riscaldamento. Ma fra Crispino era abituato a un ambiente così spartano, che assomigliava tanto alle case del suo paese natìo. E così dopo un anno giunse a professare la regola di san Francesco, rimanendo a Cesena per svolgere i lavori tradizionali dei fratelli: questua, cucina, cantina, stalla, pollaio e orto. 

A Imola con i fratini

Nel maggio del 1955 fu trasferito a Imola, nel Seminario serafico, dove si occupò di tutti i servizi necessari per la gestione di questa casa di prima formazione alla vita religiosa e sacerdotale. Con i ragazzi stabilì legami di amicizia e di confidenza: un fratello maggiore che infondeva loro confidenza e al tempo stesso costituiva un esempio. Il 24 giugno 1956 si abbandonò alla volontà del Signore con la professione perpetua alla presenza di tutti i fratini amici. Quando durante l’estate l’intero seminario si spostava per le vacanze a Bellavalle, in una villa trasformata in casa estiva, nella stretta valle del fiume Limentra, fra Crispino si trasformava in cuoco, ben sapendo che non era facile mettere a tavola una ottantina di bocche affamate. Nel 1960 lasciò Imola per dedicarsi alla formazione degli aspiranti fratelli laici nel piccolo seminario di Castelbolognese (RA), prodigandosi con l’amicizia nel far gustare la bellezza dell’ideale cappuccino a ragazzi appena adolescenti.

 A Bologna nell’Infermeria provinciale

Due anni dopo, nel 1962, fu inviato a Bologna nell’infermeria provinciale per occuparsi dei frati ammalati o anziani, e per meglio servirli ottenne nel 1968 il diploma di infermiere presso l’Istituto Rizzoli di Bologna. Per ben trentaquattro anni fu il responsabile dell’infermeria provinciale: lavando vestiti e lenzuola, per poi pazientemente stirarli, coltivando vasi di fiori per rendere più gioioso l’ambiente, procurando le medicine, visitando i malati negli ospedali, e componendo con cura le salme dei frati defunti. Solo d’estate poteva trascorre un mese di libertà, andando in tenda sulle Alpi con confratelli o con amici. Sebbene impegnato con persone anziane, fra Crispino non dimenticò di stringere amicizia con i giovani studenti teologi che, di per sé, dovevano tenersi lontani da ogni altro ambiente che non fosse quello dello studentato. Ma si sa come sono i giovani. Trovavano tutte le maniere per aggirare quella norma fin troppo severa, inventandosi ogni stratagemma possibile per ritrovarsi insieme e trascorrere ore di sana conversazione, in cui fra Crispino raccontava le sue avventure spassose con i suoi frati vecchietti. Quando poi il vento provinciale si voltò al sereno, allora tutti, ammalati e giovani, ci si riuniva soprattutto nelle serate invernali nella bettola - luogo di ricreazione - dove ci si riscaldava al fuoco di una stufa a legna, sorseggiando un bicchiere di vin brûlé per smaltire la monotonia del quotidiano.

 Sulle Dolomiti, in Etiopia e in India

Nel mese estivo di vacanza fra Crispino organizzava con i frati amici più intimi qualche giorno sulle Dolomiti, accampandosi in tenda tra i boschi, nei pressi di un torrente, con tutto il necessario per sopravvivere nel crudo freddo notturno di quelle montagne. Lassù si preparava il cibo, si celebrava la messa, si andava a scalare le vette più alte, lasciando a guardia del campeggio improvvisato chi preferiva la discesa alla salita. Il custode li sentiva ritornare anche se gli arrampicatori erano ancora lontani, udendo i loro canti, in cui emergeva la voce vigorosa di fra Crispino. Quando i vecchi amici si trovarono impossibilitati ad accompagnarlo, trascorreva le vacanze con altri amici in roulotte e in campeggi attrezzati. Per due volte si recò nella nostra missione del Kambatta-Hadya in Etiopia per aiutare un confratello amico medico presso le stazioni missionarie, e una volta gli fu accordato di recarsi in India, ai piedi dell’Himalaya, nella nostra vecchia missione di Lucknow, dove lavoravano ancora alcuni missionari bolognesi.

 
Fra Crispino volta pagina

Nel 1996 gli fu affidato un compito alquanto impegnativo e delicato: vicemaestro del noviziato interprovinciale di Vignola (MO). Fu per lui un ritorno ai tempi della giovinezza, anche se ora si trattava di giovani e non di adolescenti, verso i quali manifestò tutta la sua capacità di amicizia, di ascolto e di consiglio, apostrofandoli bonariamente con l’epiteto «testa rvinéda!» (testa rovinata), senza che nessuno se ne avesse a male, perché era stato chiamato così lui, al suo paese, dove spesso da piccolo inciampava battendo la testa a terra. L’amicizia era uno dei suoi tratti caratteristici: mai si atteggiava a formatore distaccato, ma sapeva mettersi al livello dei suoi ragazzi, comprensivo e familiare. A Vignola gli fu conferito il ministero istituito dell’accolitato, forse per dargli maggiore autorità, ma la sua autorità era l’esempio che dava. Nel 1997, fu trasferito a Scandiano (RE) come vicemaestro del postulandato interprovinciale, rimanendo in questo ruolo per sei anni. Qui incontrò giovani ancora in ricerca, che trovarono in lui ulteriore forza nel cammino intrapreso, anche se continuava a chiamarli ancora una volta «testa rvinéda». Tuttavia ogni anno che trascorreva, la sua robusta fibra mostrava dei cedimenti, tanto che nel 2011, fu destinato al convento di Santarcangelo di Romagna (RN), dove si sperava che l’aria marina gli giovasse.

 Il lento tramonto

Nonostante ciò, la sua salute rifletteva gli anni che lo avevano appesantito: il camminare gli era difficoltoso e la voce, un tempo stentorea, stava conoscendo un graduale indebolimento, tanto che nel 2014 entrò a far parte della fraternità dell’infermeria di Reggio Emilia, dove ha trascorso i suoi ultimi anni, confortato dalla visita degli amici più cari e dall’affetto dei confratelli, e riconoscente nel vedersi tanto amato, fin quando domenica 22 gennaio un improvviso arresto cardiaco lo portò alla fermata finale del suo viaggio terreno. El Shaddai, il Dio della montagna, che egli ha sempre lodato con letizia francescana, ne ascolti la voce nel cantare con gli angeli le melodie alpine a lui così care.

fra Nazzareno Zanni

 La concelebrazione per l’ultimo saluto si è svolta il 25 gennaio a Santarcangelo di Romagna, dove confratelli giovani e meno giovani hanno deposto sulla sua bara il fiore della loro preghiera. Una seconda celebrazione si è tenuta nel pomeriggio a San Piero in Bagno nella chiesa dei frati minori, come per volere restituire ai monti di lassù chi vi era disceso per inerpicarsi in strade più scoscese. È stato sepolto nel cimitero locale accanto ai suoi confratelli compaesani Casimiro Crociani († 2007) e Renato Nigi (†2016).