Governare la scienza con sapienza

Le domande da porsi sui limiti da porre alla scienza

 di Vincenzo Balzani
chimico, professore emerito dell’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

 

La scienza è un’attività umana che si sviluppa su due versanti: quello naturale e quello artificiale, quello delle scoperte e quello delle invenzioni; si scopre qualcosa che c’è, ma è nascosto, e si inventa qualcosa che prima non c’era. La scienza è il mezzo più importante che abbiamo per conoscere come è fatto il mondo e come è fatto l’uomo (notare: come è fatto, non perché è fatto così) ed è anche uno strumento potentissimo per cambiare sia il mondo che l’uomo.


La scienza è in continua espansione: più si conosce, più aumentano le cose che non si conoscono. Concetto, questo, che è stato espresso molto bene da Joseph Priestley, il primo scienziato che ha indagato sulla fotosintesi: «Più grande è il cerchio di luce, più grande è il margine dell’oscurità entro cui il cerchio è confinato. Ma ciò nonostante, più luce facciamo, più grati dobbiamo essere, perché ciò significa che abbiamo un maggior orizzonte da contemplare. Col tempo i confini della luce si estenderanno ancor più; e dato che la Natura divina è infinita, possiamo attenderci un progresso senza fine nelle nostre indagini su di essa: una prospettiva sublime e insieme gloriosa».

 La scienza è “neutrale”?

La scienza intesa come “sapere” ha caratteristiche di oggettività e di rigore e quindi è neutrale. Ad esempio, tutti gli scienziati sono d’accordo sulla formula della clorofilla e sul ruolo che questa molecola gioca nella fotosintesi. Ma la scienza non è solo “sapere”, è anche “agire” e lo scienziato, come un qualsiasi uomo, quando agisce lo fa in base a fini e a valori, che non sono mai neutrali. Se poi lo scienziato non ha suoi fini e valori, finisce per fare il gioco di chi gli finanzia le ricerche e più in generale delle classi dominanti. La scienza è neutrale perché giunge a conoscenze oggettive, ma come attività umana non può essere neutrale.

 

 

 

Dove va la scienza?

Gli scenari che si prospettano per i prossimi 20-30 anni da un lato ci affascinano e dall’altro ci fanno venire brividi. Ogni oggetto che ci serve potrà essere governato da un computer interno che lo renderà intelligente e adattabile alle nostre esigenze. I nostri corpi potranno essere controllati automaticamente ogni giorno da sensori capaci di rivelare i sintomi delle varie malattie, di giungere alla diagnosi e di stabilire la cura più adatta, che apparirà su un pannello luminoso, parte integrante dei muri della casa. Saranno sempre più disponibili ed usati farmaci per condizionare la volontà degli individui (già sperimentati sui prigionieri di Guantanamo). I geni dei nascituri saranno modificati addirittura prima del concepimento. Sarà possibile interfacciare il nostro cervello ad un computer, cosa che offuscherà la cognizione che ciascuno ha di sé e potrà modificare la nostra stessa coscienza. Potranno essere messi a punto batteri capaci di attaccare selettivamente, nei punti deboli del loro genoma, gli individui di una data razza (ricerche in questa direzione furono progettate in Sudafrica ai tempi dell’apartheid). Molti scienziati e filosofi ammoniscono: stiamo attenti, non c’è molto tempo per decidere quello che vogliamo fare e quello che non dovremmo fare.
In certi campi, come quello dell’ingegneria genetica, è però difficile tracciare un limite, senza il quale, peraltro, si arriverà ad usare questa tecnica in maniera priva di scrupoli, non solo per eliminare certe malattie, ma anche per costruire individui su misura: colore degli occhi, altezza, capacità atletiche o artistiche, intelligenza, ecc.

 Porre dei limiti alla scienza?

Questi foschi scenari fanno sorgere il problema, molto complesso, se sia opportuno o addirittura necessario porre limiti alla ricerca scientifica. Il primo obiettivo della ricerca scientifica è “scoprire tutte le verità” e c’è chi sostiene che non possono essere posti limiti a questo obiettivo. Giulio Giorello, un filosofo della scienza molto noto, tempo fa scrisse su Avvenire: «La paura della conoscenza è uno dei confini in cui nascono le tirannie, non soltanto politiche, ma anche mentali. E non mi stupisco che persone preoccupate più del vincolo sociale, della pace, della legge e dell’ordine che delle verità abbiano temuto la scienza, continuino a temerla, e ricorrano alla censura». Il problema in realtà è molto più complesso e non può essere liquidato in termini di censura o non censura della conoscenza. La scienza, infatti, non è solo sapere, ma anche agire, e sapere ed agire sono strettamente intrecciati. Il problema diventa, quindi, se sia o se non sia giusto mettere dei limiti all’agire dell’uomo.

Per affrontare questo problema non aiuta molto neppure la distinzione fra ricerca pura e applicata. La ricerca applicata è chiaramente un sapere che si pone dei fini: non c’è dubbio, quindi, che debba essere sottoposta ad un giudizio morale e che possa essere soggetta a limitazioni. Si potrebbe sostenere, invece, che è sbagliato mettere limiti alla ricerca pura; ma a parte il fatto che la ricerca veramente pura è molto rara, in realtà anch’essa pone problemi.

Il primo è quello relativo al modo in cui si fa ricerca, cosa che riguarda particolarmente i campi della biologia e della medicina, dove per far ricerca bisogna agire su viventi: animali, ma anche uomini. Ogni ricerca volta a studiare come funziona la vita implica una qualche manipolazione della vita stessa. Ecco chiaramente un campo dove il sapere è strettamente intrecciato ad un agire che può non essere lecito. Dov’è il confine?

Poi c’è il problema delle risorse impiegate. La ricerca scientifica, anche quella pura, costa, e costa molto. Per portare un uomo su Marte (cosa che viene spacciata come ricerca pura) si stima siano necessari circa 500 miliardi di dollari. Non sarebbe meglio impiegarli per arrestare i cambiamenti climatici e proteggere l’ambiente, visto che la Terra è e rimarrà l’unico luogo dove possiamo vivere? Anche questo è un problema etico.

 Responsabilità sociale dello scienziato

A proposito di libertà e di limiti della scienza, bisogna sottolineare un altro aspetto. Lo scienziato spesso è affascinato dalle sue ricerche, così belle e, almeno a suo parere, così importanti. Può succedere allora che si chiuda in una torre d’avorio. Così facendo, esercita una libera scelta: la libertà di porsi dei limiti, di isolarsi dalla società. Penso che una scelta del genere non sia giustificabile, perché c’è una responsabilità che deriva dalla conoscenza. Chi ha avuto il privilegio di poter studiare e la fortuna di potersi dedicare alla ricerca scientifica è in debito verso la società.
Il mondo ha molti problemi e gli scienziati hanno il dovere di contribuire a risolverli. Lo possono fare in molti modi: con le ricerche, l’insegnamento, la divulgazione corretta della scienza e anche la partecipazione al governo dell’università, dei centri di ricerca, della città e della nazione. Doveri più che mai importanti oggi perché il mondo è afflitto da due insostenibilità: quella ecologica (crisi energetico-climatica, scarsità di certe risorse, accumulo di rifiuti) e quella sociale (disuguaglianze troppo forti e sempre crescenti). Gli scienziati hanno il dovere di far capire alla gente che il pianeta Terra è l’unico luogo dove possiamo vivere e che pertanto, come chiarisce bene papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, è la casa comune che dobbiamo custodire. Gli scienziati hanno anche il dovere di far capire ai governanti che la libertà nella ricerca e nell’economia ci stanno portando sull’orlo di un baratro; come ha scritto Zygmunt Bauman: «La scienza e la tecnica hanno fatto vincere all’uomo molte battaglie, ma ora rischiano di farci perdere la guerra».

 Governare la scienza?

Scienza e tecnologia sono attività umane gravide di conseguenze che possono essere benefiche o malefiche per l’ambiente, la salute dell’uomo e addirittura per l’evoluzione. Come succede per tutte le attività che hanno ricadute sul vivere sociale, libertà e limiti sono strettamente connessi e, di caso in caso, si deve decidere quale dei due deve avere la precedenza. C’è bisogno, quindi, di governare anche la scienza e la tecnologia, forse ancor più che l’istruzione e la sanità. Sfortunatamente è un’impresa molto difficile perché si tratta di un campo in continua e rapidissima espansione e, in certi casi, il limite fra il lecito e l’illecito non è ben definito e neppure ben definibile.
Secondo alcuni, sono gli scienziati che, per la responsabilità sociale che deriva loro dalla conoscenza, dovrebbero dotarsi di un codice morale. In alcuni settori molto limitati si è provato. Ma come arrivare ad un codice morale universalmente riconosciuto ed osservato?
Altri sostengono che in una società democratica lo scienziato dovrebbe render note le finalità delle sue ricerche e sottoporle all’approvazione della società. Quando però si scende nel concreto (chi dovrebbe decidere e in base a quali criteri) si capisce che anche questa è una via difficile.
La situazione, come abbiamo visto, è grave, particolarmente nel campo delle biotecnologie. Alcuni filosofi guardano alla scienza e alla tecnologia non come una risorsa nelle mani dell’uomo, ma come ad un’entità ormai ingovernabile. Umberto Galimberti ha scritto che «L’uomo è impotente contro la scienza, perché la scienza è più forte dell’uomo. La domanda non è più “cosa possiamo fare noi con la tecnica”, ma “che cosa la tecnica può fare di noi». Usando la nostra libertà di sviluppare la scienza e la tecnica saremmo finiti entro i confini di una schiavitù. Forse è una esagerazione, certamente segnala un pericolo.
Io non sono così pessimista. La situazione è grave, ma possiamo rimediare. Mi affido a quanto scritto da Hans Jonas: «È lo smisurato potere che ci siamo dati, su noi stessi e sull’ambiente, sono le immani dimensioni causali di questo potere ad imporci di sapere che cosa stiamo facendo e di scegliere in quale direzione vogliamo inoltrarci». Per “imporci” ci vuole volontà, per “sapere” ci vuole scienza e per “scegliere” ci vuole sapienza. Bisogna che gli scienziati diventino consapevoli che la scienza non è un enclave che possa sottrarsi ai principi etici che regolano una società. Bisogna far spazio alla sapienza. La libertà della ricerca è un valore da salvaguardare, finché non entra in conflitto con altri, più importanti valori. Bisogna anche sensibilizzare l’opinione pubblica su questi problemi e bisogna spingere i governanti ad affrontarli perché c’è in gioco il nostro futuro.