Il cielo in una stanza

Il limite della malattia in Francesco tra solidarietà, affidamento e ribellione 

di Pietro Maranesi
frate cappuccino, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Assisi

Vicinanza a chi cade malato

La metafora “cadere malato” rappresenta una efficace immagine per descrivere lo stato in cui si viene a trovare colui che perde la salute fisica. La malattia, togliendo le forze al corpo, fa sperimentare quanto facilmente si possa perdere autonomia e libertà, cadendo in una radicale impotenza e debolezza.

 

Al tempo di Francesco l’immagine della malattia come “caduta” aveva ancor più efficacia nel descrivere la realtà quotidiana di molte persone. Ogni forma di malattia rappresentava infatti una caduta dalla quale forse non ci si sarebbe più rialzati. Malattia e morte spesso si identificavano. Ed è per questo che Francesco in diversi suoi testi parla di malattia paragonandola anch’egli ad una “caduta”. Uno dei suoi scritti più ampi e attenti su questo argomento è sicuramente il X capitolo della prima Regola del 1221, nel quale il Santo offre ai suoi frati due prospettive per aiutarli a trasformare la malattia in uno spazio di umanità e di crescita.
Il primo ambito affrontato da Francesco nel testo riguarda non il frate malato ma coloro che sono chiamati a condividere questo limite. La richiesta rivolta ai frati sani è precisa: «Se qualcuno dei frati cadrà ammalato, ovunque si trovi, gli altri frati non lo lascino senza avere prima incaricato un frate, o più di uno se sarà necessario, che lo servano come vorrebbero essere serviti essi stessi» (Rnb X,1: FF 34). Il limite nel quale è caduto il fratello costituisce uno spazio e un tempo sacro, cioè speciale, innanzitutto per i suoi fratelli. Quella malattia infatti li interpella e li coinvolge chiedendo loro di mettere in atto due scelte: di fermarsi con chi è caduto e di servirlo. Il limite del fratello caduto nella malattia chiede agli altri di “fermarsi” con lui, per condividere la sua sorte e farsi suo sostegno. Il limite della malattia dunque dovrebbe far sorgere tra i frati un processo di vicinanza e solidarietà, quale fondamentale “cura” del suo fratello.
Ed è sicuro: la prima medicina, senza la quale ogni altro provvedimento si rivelerebbe forse inutile, è rappresentata proprio dall’attenzione con cui restare accanto al fratello malato, perché questa “cura di servizio” guarisce la più grave conseguenza della malattia rappresentata dalla solitudine. Al “fermarsi accanto” deve seguire però il “servizio”. Francesco non dà precise indicazioni su come farlo, ma offre ai frati solo un importante parametro generale da utilizzare per mettere in atto delle adeguate scelte di servizio: nutrire nei confronti del malato quella cura e attenzione che si vorrebbe avere per se stessi se si trovassero in quella situazione. Per Francesco, dunque, condividere con amore il limite del malato è la prima e fondamentale condizione sia per capire dal di dentro cosa significa essere caduti malati sia soprattutto per avere i giusti atteggiamenti capaci di trasformare quella debolezza e infermità in uno spazio di umanità e di vita fraterna.
Il secondo interlocutore al quale si rivolge il Santo di Assisi è il frate malato, al quale ricorda che la malattia, come ogni esperienza di limite, può essere o motivo di crescita nella fede o smascheramento di una vita lontana da Dio. Innanzitutto il malato è esortato ad una personale consegna al mistero dell’amore divino: «E prego il frate infermo di rendere grazie di tutto al Creatore; e quale lo vuole il Signore, tale desideri di essere, sia sano che malato» (Rnb X,3: FF 35).

La consegna di sé a Dio

Anche la malattia, come ogni altro momento della vita umana, può diventare esperienza dell’amore di Dio; e dunque anch’essa costituisce un’occasione importante e strategica per un’esperienza di lode a Colui che è il Signore della vita.
Per capire fino in fondo questa “scandalosa” esortazione alla lode rivolta da Francesco al malato, non si deve dimenticare che egli stesso stava vivendo il limite della malattia. Negli ultimi anni di vita il Santo non solo non ebbe più la forza di essere sulle strade della gente per annunciare a tutti la “fragranza della parola di Dio”, ma a volte fu costretto anche a restare chiuso in una capanna al buio per i tanti dolori che lo affliggevano agli occhi. La sua debole costituzione era stata fortemente minata in Terra Santa; dopo quel viaggio egli sperimentò in modo sempre più forte quanto difficile fosse vivere nella lode e nella consegna di sé a Dio quando il corpo era malato e sofferente. Un testo biografico ci racconta che, in un momento di sconforto e di smarrimento per le tante sofferenze, Francesco «ebbe compassione di se stesso», rivolgendo a Dio una domanda sul senso della propria vita. Ma sappiamo che proprio all’interno di questa tragica esperienza nascerà il Cantico delle creature, quell’inno di lode, nel quale il santo riconosce e ringrazia Dio per la bellezza di un mondo che egli in fondo non riusciva più a vedere e a godere. Con quel canto di lode il suo limite si era trasformato nel suo opposto: il cielo era entrato nella sua stanza buia. 

Uno spazio di ribellione

Tuttavia la malattia, cioè l’esser bloccati, impotenti, dipendenti dagli altri può anche diventare un tempo e uno spazio di ribellione. Francesco lo sa e ne rende consapevoli i suoi frati ricordando al malato un grave pericolo nel quale può cadere: «Se invece si turberà e si adirerà contro Dio e contro i frati, ovvero chiederà con insistenza medicine, desiderando troppo di liberare la carne… questo gli viene dal maligno» (Rnb X,4: FF 35). Nel testo ricorrono i due verbi utilizzati spesso da Francesco per descrivere le pericolose conseguenze di un frate che vive la sua vita mediante criteri di autocentratura orgogliosa e arrogante.
È chiaro che ogni limite che si oppone a questa visione procurerà in lui “turbamento” e poi “ira”, risposte che scattano immancabilmente contro tutto ciò che si oppone alla sua persona. E tra i suoi “nemici” sicuramente la malattia rappresenta un evento tra i più “disastrosi” per un uomo che vuole vivere dominando e possedendo la vita. Per lui il cadere malato non potrà mai essere motivo di lode e di consegna: la malattia sarà sempre una nemica la cui presenza procurerà solo turbamento e ira. Invece di aiutarlo ad accettare nuovamente la sua umanità fragile e limitata e farne una consegna semplice a Colui che è la risposta definitiva alla sua fragilità, la malattia rappresenterà il suo fallimento finale. Insomma il limite della malattia per Francesco può essere o l’ennesima occasione di consegnarsi con umiltà e fiducia all’Amore o invece la vera e definitiva caduta di una vita che pensava di bastare a se stessa.

Dell’Autore segnaliamo:

Figure del male. Questioni aperte sul “diabolo”
Cittadella, Assisi 2017, pp. 344