Solo occhi per fratel Scarrafone

Le relazioni nelle comunità improntate sull’affettività familiare

di Fabrizio Zaccarini
frate cappuccino, maestro dei postulanti a Santa Margherita Ligure

Il quiz del convento

Image 040Una parrocchia e due amiche. Una, a ventotto anni, entra in monastero, dalle clarisse. L’altra, di qualche anno più giovane, la raggiunge circa vent’anni dopo. Il quiz perciò è questo: l’ultima arrivata come chiamerà l’amica dei verdi anni? A) con il soprannome di allora; B) con il nome di battesimo; C) oppure? Aver frequentato un asilo gestito da suore basta per escludere la soluzione A); minima competenza di lettore basta per escludere la B); sopravvive la soluzione C), ma, per renderla meno nebbiosa, non manca qualche info? Sì, questa: nel frattempo l’amica entrata ventottenne in monastero è diventata madre badessa. La nuova arrivata, dunque, come tutte le altre sorelle, la chiamerà «madre».

Qualcuno sorriderà di me, povero ingenuo!, ma io ritengo che intendano così riconoscere che la vita nello Spirito, quella che solo il Padre ci dona, passa (anche) attraverso la mediazione testimoniale di questa sorella chiamata a custodire loro e la vita fraterna in cui tutte, ciascuna da protagonista, sono accolte. Nelle loro voci che dicono «madre» rimbalza il riverbero plurisecolare della voce di suor Benvenuta da Perugia. Al processo di canonizzazione di Chiara è lei a dire: «madonna Chiara, già abbadessa […], fu de maravigliosa humilità, e tanto desprezzava se medesima, che quelle opere le quali erano più vili faceva essa. Etiamdio nettava le sedie de le sore inferme cum le mani sue. […] Oltra de questo, essa beata Chiara […] la notte le copriva per lo freddo» (FF 2944 e 2946). Gesti, questi di Chiara, che trasudano un materno prendersi cura, epifania storico-esistenziale dello Sposo che per la sposa dà la vita.

Due madri e un figlio

Image 044Non va lontano da lei Francesco scrivendo una regola per i fratelli che, in eremo, desiderano dedicarsi alla vita contemplativa: «siano tre frati o al più quattro. Due di essi facciano da madri ed abbiano due figli o almeno uno. I due che fanno da madri seguano la vita di Marta, e i due che fanno da figli quella di Maria» (FF 136). L’ascolto della Parola, come per Maria, è la parte migliore che non può e non deve essere sottratta. Quell’ascolto le “madri”, senza proprio vantaggio, dovranno proteggerlo: Francesco, infatti, chiede loro di custodire «i loro figli da ogni persona, così che nessuno possa parlare con essi» (FF 137). Senza “figli”, in ogni caso, ai suoi frati, Francesco chiede di non salire all’eremo. A quella parte (migliore, sì, però parte e non il tutto dell’unica cosa necessaria!) (cf. Lc 10,38-42) non deve mancare l’altra parte: il servizio feriale di Marta. Per i frati minori, l’eremo, dove si contempla il Padre che, per la fecondità dello Spirito, si rivela nel Figlio fatto uomo, senza aver almeno un fratello da amare e di cui occuparsi come “figlio”, potrebbe essere una pericolosa via di fuga.

Al guardiano che, oppresso dall’ostinata indocilità dei suoi frati, vorrebbe rifugirasi in un eremo Francesco risponde così: «io ti dico, come posso, che ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battiture, […] devi ritenere come una grazia. E così tu devi volere e non diversamente. […] E questo sia per te più che stare appartato in un eremo» (FF 234). Poteva bastare come bocconcino difficilmente digeribile, ma no, non basta a Francesco, non all’amore fraterno-materno che ogni frate deve maturare in sé: «non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo» (FF 235).

Solo chi si è preso cura di qualcun altro perché fosse autonomo e libero sa anche riconoscere il momento in cui sta a loro prendersi cura di noi. Concludevo così vedendo le sorelle del monastero intorno alla madre che stava partendo per una breve vacanza. C’era chi le specificava tipologia e numero dei panini per il pranzo al sacco, chi le diceva in quale tasca della borsa erano le medicine e chi le ricordava quella importante telefonata da fare il giorno dopo. Allora, chi era la madre? La generazione di vita nello Spirito, per chi vive nella stessa fraternità, viaggia in doppio senso di marcia.

Nelle fraternità dei frati minori o delle sorelle povere c’è una sola vocazione per tutti: quella all’amore fraterno-materno: «poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?» (FF 91). Dove, si noti, il legame fraterno nato nello Spirito è raccomandato, paradossalmente?, come più impegnativo e vincolante del legame carnale che stringe la madre al suo figlio. Così in traduzione semi-vernacolare si potrebbe dire: se è bello ogni scarrafone a mamma sua, quanto sarà bello il fratello scarrafone agli occhi del fratello, certo scarrafone anche lui la sua parte? Nell’eremo perciò, né il servizio di Marta, né la contemplazione di Maria, devono considerarsi specializzazioni intoccabili, affidate una volta per sempre, magari secondo personale inclinazione, all’uno o all’altro: «i figli talora assumano l’ufficio di madri, come sembrerà loro opportuno disporre per un necessario avvicendamento» (FF 138). Nello Spirito essere madre, non tanto, o non solo, per titolo, ma nell’autenticità della vita, è autenticazione di avvenuto coinvolgimento nell’avventura di autodonazione del Figlio.

La relazione feconda

La tastiera delle relazioni famigliari Francesco la suona quasi per esteso nella Lettera a tutti i fedeli. «Tutti coloro che amano il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e la mente, con tutta la forza e amano i loro prossimi come se stessi […]: Oh, come sono beati e benedetti quelli e quelle […] perché riposerà su di essi lo Spirito del Signore e farà presso di loro la sua abitazione e dimora; e sono figli del Padre celeste, del quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando l’anima fedele si unisce al Signore nostro Gesù Cristo per virtù di Spirito Santo. Siamo suoi fratelli, quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli. Siamo madri, quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, lo generiamo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli altri in esempio» (FF 178/1-178/2). L’esperienza di fede in Francesco è così ricca di vissuto relazionale che essere figli nel Figlio si traduce infine, per suo proprio e intrinseco dinamismo, nella disponibilità a lasciarsi fecondare nello Spirito e a generare il Verbo nella propria carne trasfigurata a immagine e somiglianza di Lui, moltiplicando così la Vita in questa vita, grazie all’unione con Lui Sposo e alla ristabilita rassomiglianza con Lui Fratello.

Per questo Chiara, che da Francesco si sente generata e nutrita, può serenamente raccontare di un sogno in cui egli «trasse del suo seno una mammilla et disse ad essa vergine Chiara: “Vieni, ricevi e suggi”. Et avendo lei succhiato […] quella rotondità overo bocca de la poppa donde esce lo latte remase intra li labbri de essa beata Chiara; et pigliando essa con le mane quello che li era remaso nella bocca, li pareva che fusse oro così chiaro e lucido, che ce se vedeva tutta, come quasi in uno specchio» (FF 2995).