Bello e possibile

Ritorno da una festa femminile e plurale 

di Pietro Casadio
della Redazione di MC

Per chi non l’avesse capito

«La bellezza salverà il mondo», diceva Dostoevskij, e il mondo, di questi tempi, ha un gran bisogno di essere salvato. Deve essere per questo che gli organizzatori del Festival Francescano 2012 hanno deciso di assumere, come tema dell’anno, “femminile, plurale”. La prima parola è splendidamente ovvia: il connubio donna-bellezza è antico come il mondo. Ed è il caso di precisare che bellezza non è sinonimo di inutilità, né di tu-stai-in-casa-zitta-a-badare-i-figli, né di alcun altro abominio che da migliaia di anni fa delle donne un uomo venuto un po’ peggio. Questa è una verità che il Festival di quest’anno voleva urlare con vigore: la donna non è uguale all’uomo, ma ha la stessa dignità e gli stessi diritti ed è portatrice di una bellezza tutta sua. Storia vecchia di cent’anni, direte voi, ma c’è ancora moltissima gente che non l’ha capito, anche nella nostra beneamata Madre Chiesa. Le quote rosa del Festival sono da far venire i goccioloni: tra i relatori dei tre giorni, ventuno a tredici per le donne. Di questo passo bisognerà fare delle quote azzurre.
La seconda parola, “plurale”, è meno ovvia in un mondo che vive ancora la cultura dell’individualismo moderno. E tuttavia credo che il Festival ne sia, come da tre anni a questa parte, un grandioso esempio. Lasciati (con affetto) i lidi emiliani e insediatosi nel cuore della Romagna, il Festival ha rivelato ancora una volta l’esistenza di una Chiesa viva, aperta e missionaria capace proprio di essere plurale, cioè capace di accogliere in sé una pluralità e una diversità che, se condivise, si trasformano in bellezza, secondo il loro naturale destino. Vagando per le piazze riminesi si incontrava di tutto e di più: frati, maghi, bambini, africani, anziani, musicisti, suore e danzatori. C’erano persino delle donne di carta. Grandioso. E cogliamolo come monito, noi che viviamo nell’Italia della crisi senza fine, perché l’impressione è proprio questa: solo una pluralità che genera bellezza potrà salvarci. E in questa pluralità, ancora una volta, c’è un immenso bisogno di un tocco femminile. Forse anche due tocchi.

 Polifonia per accompagnamento

Dal Festival sono passate decine di migliaia di persone, scusate se è poco. Tante, tantissime, le iniziative offerte, pensate per tutte le fasce di età. Moltissimi erano gli ospiti e tutti (o almeno quelli con cui ho avuto modo di parlare) erano letteralmente estasiati da questa grande iniziativa. Suor Eugenia Bonetti, la suora del “Se non ora quando?”, è andata in giro come una trottola per due giorni e a ogni persona con cui parlava ripeteva: “ma è bellissimo questo Festival”, “è una cosa straordinaria”, “sono contentissima di essere venuta”, “Oh, che bello questo” e così via. Una considerazione mi viene spontanea: W le suore-trottola, hanno capito (quasi) tutto.
Tanti ospiti, dicevamo, alcuni oramai consolidati, altri per la prima volta al Festival Francescano. La paura di fare un torto a qualcuno citando qualche nome c’è, ma ci passo sopra perché la scelta dei relatori è spesso indicativa di una volontà della Chiesa che il Festival rappresenta. E così, ad esempio, mi ha entusiasmato vedere sullo stesso palco il ministro del lavoro Elsa Fornero, il segretario della CGIL Susanna Camusso e l’imprenditrice Valeria Piccari. Mi ha entusiasmato perché è un enorme segno. È segno di una Chiesa che non vuole abbandonare i propri figli davanti ai problemi quotidiani che la crisi sottopone loro. Crisi, giusto per fare un po’ di economia da bar, che significa poco lavoro, bassi salari e disoccupazione. E allora come poteva non esserci, nel Festival Francescano, una conferenza sul lavoro? Queste oggi sono le preoccupazioni e le domande della gente comune (tra cui mi inserisco a pieno titolo). Come può la Chiesa non interessarsi di questo? Perché anche in questo, la Chiesa e la cultura cristiana possono fare tanto. Possono, ad esempio, mettere su un palco solo la Fornero e la Camusso, materiale altamente infiammabile, senza che vi siano incendi. Perché lo scopo è comune: il dialogo (anche battagliero) e il bene dell’Italia. Vallo a trovare altrove.

 Preoccupati di tutti e di ciascuno

E poi c’era Alessandro D’Avenia, professore e scrittore, con al seguito un codazzo di ragazzine schiamazzanti da fare invidia alle quote rosa di cui sopra. Mi è piaciuto, D’Avenia, perché sa parlare ai giovani e sa parlargli di cose importanti, come il fatto che «la bellezza salverà il mondo». Quello era l’incontro pensato soprattutto per i giovani e di giovani ce n’erano tanti, di tutti i tipi. E così anche questo è rappresentativo di qualcosa, testimonia una volontà profonda di coinvolgere, e non escludere, i giovani, cioè il futuro. Una Chiesa attenta ai giovani, che sa parlare i loro linguaggi, è una Chiesa che sa guardare più in là e sa andare oltre.
Anche «Oltre la paura», come recitava il titolo della conferenza di Rita Borsellino, europarlamentare e sorella del giudice Paolo Borsellino, assassinato dalla mafia vent’anni fa. Insieme alle sfide che l’oggi propone, ci sono le lotte che ormai da anni si stanno combattendo. La lotta alla mafia deve essere portata avanti con coraggio. Non servono eroi, ma cittadini, anche questo è venuta a dirci la Borsellino. Teniamolo bene a mente ed evitiamo quella costante tentazione di aspettare un eroe che risolva per noi la situazione, che si tratti di lotta alla mafia, di difficoltà della politica o di una di quelle diecimila crisi di cui si parla oggi, da quella economica a quella dell’istruzione e così via.
Una Chiesa che si preoccupa delle difficoltà di tutti e di ciascuno. Questa è la speranza che mi porto nel cuore e questa è la speranza che il Festival mi ha dato. Ma devo aggiungere ancora qualcosina, portate pazienza, perché così l’articolo è incompleto. La nostra vita, grazie al cielo, non è fatta solo di problemi e di lotte. Ci sono tante, tantissime cose belle, grandi e piccole, che costellano le nostre giornate e scandiscono le nostre gioie. Noi cristiani ne abbiamo una, tra le altre, che non è affatto male: Dio salva. Beh, questa gioia tra le gioie non può certo lasciarci indifferenti, tant’è che quando ce ne accorgiamo sul serio ci viene una gran voglia di fare festa. Eccolo, il punto mancante, il saper essere felici, il sapere fare festa (da cui Festival, tra l’altro). In quelle piazze la gioia c’era. A bizzeffe.