Modello di ogni virtù

La Chiesa famiglia esplica nel quotidiano lo spirito del sacramento che vive

di Rosino Gabbiadini

docente di Scienze umane all’ISSR “Sant’Apollinare” di Forlì
Esempio splendente

Image 024Che la famiglia sia “chiesa domestica” non vi è bisogno di dimostrarlo: basta leggere le formule usate nel rito del matrimonio che la definiscono così, come pure basta leggere alcuni testi degli apostoli Pietro e Paolo (quelli suggeriti come lettura nella celebrazione del sacramento). Basti pensare al famoso capitolo 5 della Lettera di Paolo agli Efesini dove l’amore del marito verso la moglie deve avere come modello l’amore di Cristo verso la Chiesa, e la “sottomissione” della moglie al marito ha come esempio quello della Chiesa che sta soggetta a Cristo.

È chiaro il messaggio di Paolo: Cristo ha amato la Chiesa offrendo la sua vita per lei: il marito faccia altrettanto. E se questi è “capo” della moglie ad imitazione di come lo è Cristo per la Chiesa, allora sia disposto a morire per il bene della moglie: il “capo” è colui che si sacrifica, non colui che spadroneggia.

Allo stesso modo le mogli: sono “sottomesse” al marito con lo stesso spirito con cui la Chiesa lo è a Cristo: rispondendo all’amore ricevuto. È una reciproca offerta che avviene tra marito e moglie: la medesima offerta di sé che si realizza tra Cristo e la Chiesa. Pietro, da parte sua, nella sua prima lettera (3,8-9) chiede ai membri della famiglia di avere tra loro rapporti improntati alla concordia e alla fraternità, quella stessa che sono chiamati a vivere tutti i cristiani e della quale la famiglia è chiamata ad essere esempio splendente.

L’amore che si tocca

Già da queste considerazioni appare evidente la realtà “liturgica” della famiglia. In essa, infatti, viene ogni giorno celebrato quel dono di sé che edifica l’intera comunità familiare, rendendo comportamenti quotidiani come il lavoro, la disponibilità, il ritrovarsi insieme a cena, rimandi ad una realtà più grande che è appunto quella della liturgia eucaristica celebrata dalla comunità Chiesa. In questa, come in quella della famiglia, si consuma e si rende toccabile quell’amore che mette al primo posto il bene dell’altro, sia del coniuge che dei figli, senza chiedere nulla in contropartita se non il bene stesso dell’altro. In questo contesto liturgico rientrano anche altri aspetti caratteristici della vita familiare: quello della preghiera fatta insieme, rimando alla preghiera comune della Chiesa; quello del perdono reciproco e dell’accoglienza, così come è chiamato a vivere ciascuno nella Chiesa; quello della fiducia che lascia sempre un’altra possibilità di cambiamento e redenzione, che è esattamente ciò che Cristo chiede alla sua Chiesa quando indica nel «settanta volte sette» la misura del perdono.

Appare in evidenza dai testi neotestamentari, come anche dalle orazioni del rito del matrimonio, come la scelta reciproca tra un uomo e una donna, così come il mettere al mondo dei figli, risponda ad una vocazione. Quell’uomo e quella donna per vie che la provvidenza dispone, e che noi superficialmente leggiamo come casuali, si incontrano e decidono di costruire se stessi, il loro futuro, la loro famiglia su quel terreno comune che si crea ad ogni strada quando ne incrocia un’altra. Se nel tempo quell’incontro è datato (avviene in quell’ora, in quella particolare circostanza, in quel luogo), non lo è invece se guardato con gli occhi di Dio, il quale dispone dall’eternità il filo provvidenziale per ciascuno. Liberi, comunque, sempre di dire “no”, o di lasciarsi prendere da logiche diverse da quelle che il Padre iscrive nel cuore di ciascun uomo.

Vivere le virtù teologali

Image 032Famiglia chiesa domestica, dunque. Ma come la Chiesa, ossia la comunità di coloro che scelti dal Padre dall’eternità formano la famiglia dei figli di Dio, anche la famiglia vive delle virtù teologali, quali espressioni della propria consacrazione matrimoniale e del proprio status di chiesa domestica.

La fede, anzitutto. È la risposta che il credente dà al Cristo che parla e si svela, mettendosi nelle mani di colui che non ci lascia mai cadere a terra, ma che in esse ci custodisce: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato» (Gv 6, 39). Di questa natura è anche la fedeltà tra uomo e donna: è un affidarsi di uno nelle mani dell’altra. C’è una “fede” che vivono gli sposi, quella che ogni giorno fa dire loro: “Ti credo. Credo che tu mi ami. Mi fido del bene che mi vuoi. E io faccio lo stesso per te”. All’amore di ciascuno risponde la fede/fedeltà dell’altro. È un riecheggiare, qui, della formula della alleanza tra Dio è il suo popolo: «Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio» (Ez 36,28).

Poi la virtù della speranza. Essa dice il desiderio nostro del Regno dei cieli e del possesso della vita eterna come nostra felicità e la volontà di perseverare fino alla fine nella fede e nell’obbedienza alla Parola del Signore. Anche i coniugi esprimono questa virtù quando decidono di perseverare fino alla fine della vita nella vocazione cui hanno risposto con il sacramento del matrimonio, confidando nell’aiuto della grazia che lo accompagna. Ma vivono la speranza cristiana quando essi, con i loro figli, rispondono a quel desiderio di infinita felicità che è la vita eterna data da Dio, sostenendo la fedeltà di ciascuno al Signore, aiutando con l’esempio, la parola e la preghiera la corrispondenza alla sola Parola che salva. E tutto questo fanno perché come genitori hanno a cuore il bene dei loro figli, il bene vero che è la vita eterna, che è la salvezza accolta e vissuta nel quotidiano: siamo fatti per il cielo, questo si dicono i coniugi cristiani, questo dicono ai loro figli, questo si ricordano in famiglia.

Infine la virtù della carità che ci fa amare Dio sopra ogni cosa e gli altri in Dio. E questo si impara in famiglia. Infatti l’amore tra i coniugi coltivato ogni giorno è segno dell’amore di Dio per l’umanità, dell’amore di Cristo per la Chiesa: Cristo mi ama così come un coniuge ama l’altro, fino a dimenticare se stesso per far crescere l’altro. Quella carità diventa poi servizio alla vocazione del coniuge ad essere quello che è (cristiano, sposo o sposa), e servizio alla vocazione dei figli perché siano in grado di rispondere a ciò che Dio chiede loro nella vita per il bene della Chiesa e dell’umanità. Ancora, quella carità diventa educazione al rapporto benevolo con gli altri, con il mondo, perché le relazioni umane siano improntate alla tolleranza e alla ragionevolezza. Quella carità diventa stile di vita all’interno della famiglia così che sia esempio di vita per la Chiesa e poi per tutta la società.

Dell’Autore segnaliamo:

Il “senso religioso”: alcuni autori di riferimento

in Parola e Tempo. Percorsi di vita ecclesiale tra memoria e profezia, 10 (2011), pp. 171-195