A Novellara è nata la Fondazione intitolata a Pietro Lombardini, docente di Sacra Scrittura e appassionato studioso della tradizione ebraica nel suo rapporto con il cristianesimo e non solo. Ce ne parla, con ammirazione e riconoscenza, un suo ex allievo.

Barbara Bonfiglioli 

 La nostra radice ebraica

La figura di Pietro Lombardini sottolinea l’eredità comune di cristianesimo ed ebraismo 

di Brunetto Salvarani
teologo, saggista, critico letterario 

Punti cardine

Il libro decisivo per la mia formazione, molti anni fa, fu Resistenza e resa, un volume che il suo autore, il pastore e teologo luterano Dietrich Bonhöffer, non ha mai saputo di avere scritto: perché è la raccolta delle sue lettere inviate a diversi destinatari dai vari campi di concentramento nazisti in cui fu di volta in volta rinchiuso; ma soprattutto perché morì neppure quarantenne, il 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine della guerra.

Chi mi fece sentire perdutamente vicina la lezione di Bonhöffer, ai tempi dei miei studi teologici a Reggio Emilia, fu don Pietro Lombardini, un professore novellarese morto nel 2007, cui debbo molto.
Per dirne l’originalità, ricorro a un brano di una sua relazione del ’93 tenuta presso la Comunità dehoniana di Modena: «Mi trovavo davanti a un solo Libro e due eredi dello stesso: l’erede ebraico e l’erede cristiano. Problema complesso, perché ritenersi gli eredi legittimi non significa essere eredi buoni. Qui per me, esistenzialmente, vi è stato l’insorgere di un paradosso che dura tuttora e che intendo mantenere aperto: imparare a riconoscere l’altro che è in me rispettandolo come altro, diverso, senza sopprimerlo, accogliendolo e riconoscendolo come fratello, come partner di una stessa elezione e di una stessa alleanza, anche se vissuta per due strade diverse».
Fuor di retorica, quanti l’hanno conosciuto non possono che ritenerlo una delle intelligenze più vive del cattolicesimo postconciliare nazionale. Eppure, il suo nome è meno noto di quello di altri che hanno vissuto un percorso, ecclesiale e intellettuale, simile al suo; anche perché scelte di vita, una naturale modestia e un rispetto profondo verso la pagina stampata, l’hanno spinto a non pubblicare alcun libro a proprio nome. Dopo la sua dolorosa scomparsa, però, sono uscite alcune raccolte di suoi interventi, a testimoniare una competenza profonda in campo biblico ed ebraico. Penso, ad esempio, a un libretto, L’eredità di Gerusalemme. Monoteismo e profezia di pace, scritto originariamente nel 2000 per la rivista QOL, che ho avuto il piacere di curare per EDB, in cui si mescolano note su letteratura ed esegesi, richiami storici e simbolici, e riferimenti all’Israele d’oggi. La sua morte, peraltro, se ne interruppe il percorso didattico e l’impegno pastorale, ha spinto allievi e amici a custodirne la memoria e a portarne avanti le riflessioni. Così, nella primavera del 2016, si è costituita a Novellara la Fondazione Pietro Lombardini per gli studi ebraico-cristiani, con la duplice finalità di custodirne e divulgarne il lavoro di ricerca e meditazione, e favorire lo studio e la conoscenza delle tematiche di suo interesse, in particolare l’approfondimento della tradizione ebraica e il suo rapporto col mondo cristiano.

Il prete in trincea

Ma chi era don Pietro, prete in trincea (come da sua autodefinizione)? La sua età giovanile attraversa appieno una stagione ecclesiale e politica tanto ricca di fermenti rivoluzionari quanto ingenerosa negli esiti conseguiti. Classe 1941, diventa prete nel ’65 e studia a Roma, risiedendo al Seminario Lombardo, prima alla Gregoriana e poi al Biblico, fino al ’68. Nella capitale è il momento del concilio e delle sue prime riletture in chiaroscuro, vissuto da lui con partecipazione e speranza; ma è, per lui, anche tempo di viaggi, in Europa per le lingue e poi in Medio Oriente. Al rientro in diocesi, gli è affidato l’incarico di docente di Sacra Scrittura e Teologia fondamentale nello Studio teologico di Reggio, dove insegnerà fino alla pensione, dedicando memorabili seminari ad autori a lui congeniali e alla fenomenologia delle religioni. Pronto a offrire corsi e conferenze ovunque richiesto, Lombardini considera il servizio alla Parola, colta in una visione liberante, un ambito centrale del suo ministero, ma non si nega alla cura di comunità parrocchiali, presso Novellara. Nel ’71, per una precisa scelta esistenziale, lascia la stanza in seminario e va a risiedere con un gruppo di preti e seminaristi in una casa della diocesi di Modena, spostandosi a Reggio per le docenze. Quel luogo diverrà subito uno spazio d'incontro, preghiera e amicizie, per poi trasformarsi nella dimora condivisa con una coppia di amici: una situazione che durerà un quarto di secolo.
Nel frattempo, prosegue il lavoro di aggiornamento biblico in diversi ambienti, modenesi e non solo: fra gli altri, al Centro Studi Religiosi della Fondazione San Carlo, che dirige, con vari gruppi di suore e l’associazione Biblia. Intanto, la relazione amorosa con Israele si affina sempre più, facendosi determinante: un anno sabbatico trascorso a Gerusalemme, lunghi soggiorni estivi, progressiva padronanza della lingua, amicizie sul posto, fino all’ultimo viaggio, nell’estate del 2004. Nel frattempo, si stabilisce di nuovo a Novellara, dal ’96, sistemandosi in un appartamento di famiglia, e accettando di mettersi a disposizione della parrocchia di San Pellegrino a Reggio, nei fine settimana: un impegno cui terrà fede finché la salute lo consentirà. 

Siamo frutto di una genealogia

Come dicevo, Lombardini non ha lasciato molte pubblicazioni a stampa, e quelle poche sono state riportate, quasi estorte, come articoli, su riviste amiche. La maggior parte del suo impegno intellettuale – documentato da oltre centocinquanta manoscritti - aveva per destinatari gli uditori che incrociava nel frangente. Il criterio che seguiva era il rifiuto radicale di qualsiasi dissociazione tra fede e storia, lettera e spirito, interpretazione storico-critica e spirituale. Su cui si fonda, a suo parere, il domani del messaggio cristiano: “Ho imparato – disse una volta – che nel rapporto, nel passaggio permanente, da rifare sempre, tra Antico e Nuovo Testamento, si gioca il futuro del cristianesimo. In questo passaggio è prefigurato il passaggio dall’evangelo ai popoli. Rispettando la vocazione e il cammino di Israele tra le nazioni appare nello stesso tempo, meglio, la vocazione cristiana, il peso del suo appello e la gravità delle sue mancanze. Come Gesù è il frutto di una genealogia, così la Chiesa è nata e nasce dall’attesa e dalla fede ebraica. Se i popoli di cultura cristiana non sanno riconoscere il loro radicamento in questo popolo (…), essi susciteranno la diffidenza dei popoli e delle religioni del mondo. (…) Nella misura in cui non sono riusciti ad accogliere l’altro, che è Israele, non hanno saputo nemmeno accogliere gli altri”. Un’analisi, come si vede, ben attuale, che ci sta ancora tutta davanti.

Segnaliamo ai nostri lettori il sito della “Fondazione Pietro Lombardini”
http://www.fondazioneplombardini.it/