Ripensando al Festival, per guardare avanti

Voci, luoghi, scenari e prospettive dell’ultimo Festival Francescano 

di Saverio Orselli 
gruppo conferenze Festival Francescano

Il bisogno di parole interessanti

«Ditemi un po’, voi siete coinvolti in quest’organizzazione?» e senza nemmeno attendere la risposta, affidandola al nostro sorriso intimidito, ha continuato «bene, allora dovete darmi retta: se anche nessuno dovesse chiamarvi o invitarvi, l’anno prossimo dovete tornare in questa piazza, perché Bologna ha bisogno di voi.

I bolognesi possono sembrare distanti o distratti, ma hanno un bisogno enorme di gente come voi, capace di proporre incontri profondi e importanti come quello a cui vado ad assistere!». «Ho ancora nella mente gl’incontri dello scorso anno e non speravo di poterne seguire altri così belli e invece solo ieri ho passato mezza giornata ad ascoltare parole interessantissime». A quel punto, il timido sorriso s’era fatto più coraggioso fino ad arrossare le guance, un po’ per la vanità e un po’ per l’imbarazzo che provocano i complimenti eccessivi. La signora sconosciuta però pareva sincera.
Passare buona parte dell’anno a lavorare per tre giorni di Festival Francescano in piazza non è faticoso, se si fanno incontri così. E, grazie a Dio, nell’edizione 2016 del Festival – la seconda a Bologna e l’ottava da quando i francescani hanno deciso di scendere in piazza – non c’è stato solo l’incontro con quella simpatica bolognese, capace di sfidare il sole battente con le armi della… cultura, con una copia di Messaggero Cappuccino aperta sulla testa, omaggio francescano tanto a messer lo frate sole quanto a sora lettrice, che dopo aver ascoltato gli incontri, sono certo, avrà continuato la lettura a casa.

 I palcoscenici del Festival

Nei primi tre anni a Reggio Emilia, il Festival aveva goduto di spazi stupendi, importanti e a poca distanza l’uno dall’altro – piazze, giardini, sale universitarie – ma aveva anche dovuto fare i conti con una certa diffidenza, venuta completamente meno nell’ultima edizione. Nel triennio riminese, oltre al castello, altre splendide piazze del centro storico hanno fatto da palcoscenico per i francescani e i loro ospiti, con i riminesi impegnati nello “struscio” richiamati, quasi sorpresi loro stessi, più dai personaggi che si sono alternati sui palchi che dal programma completo, pensato per raccontare una storia legata a san Francesco. Poi è arrivata Bologna, con la sua prestigiosa piazza Maggiore, le grandi chiese, le sale e i chiostri accoglienti ed stata subito una sorta d’innamoramento, con centinaia di partecipanti agli incontri, concerti affollati, laboratori e stand pieni di visitatori. Qualcuno forse s’è fatto avanti incuriosito e attirato dai tanti sai e dalle tante tonache all’ombra – si fa per dire – del palazzo comunale, ma i più dopo aver dato una scorsa al programma, con relatori e temi interessanti uniti dal filo d’oro del Perdono.
A testimoniare il successo, si sarebbe potuto organizzare tra i partecipanti un concorso per il copricapo più originale, come quelli visti difendere dal sole le teste dei tanti accorsi ad ascoltare il filosofo Massimo Cacciari parlare di: “Beati quelli che perdonano per lo tuo amore” o il dibattito su “Pace fra le religioni: solo un’utopia?”, col teologo Brunetto Salvarani, il sociologo Adel Jabbar e lo storico dell’ebraismo Bruno Segre. Stesso discorso per l’incontro con l’arcivescovo Matteo Maria Zuppi, intervistato su un tema impegnativo e sempre attuale: “Quando perdonare è difficile”.
Se il giorno è stato dedicato in particolare a conferenze, presentazioni di libri e laboratori, col calare delle notti il Festival s’è trasformato in musiche e balli continuando a riempire la piazza, non più Maggiore ma Grande, come l’aveva definita Lucio Dalla in un’indimenticabile canzone. Grande non abbastanza per ospitare il Piccolo Coro “Mariele Ventre” dell’Antoniano e i tanti cori nati da quella esperienza, il sabato sera, con sei o settecento piccoli cantanti distribuiti sulla scalinata di san Petronio e molti, molti più spettatori accorsi per ascoltarli e applaudirli. E, con loro, apprezzare le canzoni di Francesco Gabbani e di fra Alessandro Brustenghi, ospiti della serata trasmessa in diretta da TV2000.
Le note avevano già riempito il venerdì sera, con un incontro tra lo spirituale e il musicale, capace d’attirare brano dopo brano i passanti, i curiosi e non solo gli amici del Festival, col critico musicale Walter Gatti capace di far scoprire le storie di perdono nascoste nei testi delle canzoni che ascoltiamo o fischiettiamo distrattamente, quelle stesse che subito dopo hanno riempito la piazza, grazie alla band di Marco Dieci.

 Ancora qualcosa da dire

Tra la folla di sabato e domenica, un lungo saio s’è aggirato incuriosito, finché non è arrivato a tiro del mio registratore. Esonerato dopo sette edizioni di rincorse e batticuori dall’impegno di fare interviste, m’è parso giusto raccogliere l’impressione del Superiore Generale dei Cappuccini, p. Mauro Jöhri: «È ottima: è bellissimo vedere tanta gente che si muove in una atmosfera che mi sembra molto amichevole e distesa. E in questa atmosfera festosa, con la musica e con le tante possibilità offerte, passa un messaggio. Quanto abbiamo sentito dire sul perdono poco fa dal professor Cacciari è davvero profondo, ed esige anche un notevole sforzo mentale per seguire e per adeguarsi. Questa combinazione è molto bella. Sabato pomeriggio sono arrivato in tempo per seguire una parte dell’incontro dell’economista Luigino Bruni. Non sono riuscito a seguirlo tutto, ma mi ha affascinato il suo affrontare temi come l’obiezione di coscienza, il Perdono e il condono dei debiti, con una semplicità dialettica notevole, con una immediatezza del messaggio su temi complessi che ogni cittadino è chiamato e ha una possibilità di agire. Un Festival così è importantissimo, non solo per la visibilità, ma perché abbiamo qualcosa da dire e abbiamo qualcosa da proporre e possiamo fare tutto questo usando linguaggi che sono certamente gli stessi di tanti altri festival però sempre abbinandoli a qualcosa di estremamente importante da trasmettere alla gente che lo visita. Avanti così… anzi, vorrei che si moltiplicassero queste possibilità. Tra l’altro c’è un aspetto molto bello che a molti sfugge: quando siamo andati dal Papa noi francescani ci siamo presentati e lui, burlandoci, ha sottolineato divertito che allora c’è anche un “ecumenismo francescano”, bene queste sono forme che fanno sì che, collaborando, i francescani si avvicinino e forse un giorno saremo di nuovo un solo ordine. Insieme abbiamo ancora qualcosa da dire al mondo di oggi. Avanti…».