“La vita è un’opera d’arte” e ognuno è chiamato a essere artista protagonista, per trasformare in capolavoro tutte le opere in circolazione, senza abbandonarsi a una sterile critica, ma preferendo l’azione sul campo. Questo vale anche, e forse prima di tutto, per una parola purtroppo spesso svilita ma per questo da riscoprire: la politica.

La Redazione

 Il futuro passa da qui

Attraverso iniziative attente all’ambiente possiamo invertire la tendenza all’autodistruzione 

di Marco Boschini
Associazione Comuni Virtuosi

Da dove partire

«La nostra vita è un’opera d’arte, che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita, dobbiamo porci delle sfide difficili», dice Zygmunt Bauman.


Se la premessa è che il mondo in cui viviamo necessita di un cambio di passo radicale (negli stili di vita, nelle politiche internazionali, nel modello di sviluppo) allora ci sono solo due modi per porsi di fronte ai problemi. Il primo, che rispecchia in buona parte lo sport nazionale, è quello di esercitare il sacrosanto diritto di critica. Il lamento dolente e indiscriminato, che è già una dichiarazione di resa, del “tanto non cambierà mai nulla”, del “sono tutti uguali”. Il secondo, ancora troppo di nicchia per quanto in costante crescita, è quello dell’azione sul campo. Non mi piace l’economia del petrolio? Mi organizzo modificando gli stili di vita nel senso di una sostanziale sostenibilità (energia rinnovabile, mobilità sostenibile…). Sono per la pace e l’accoglienza? Apro un conto corrente con Banca Etica e presto qualche ora del mio tempo libero a favore di un’associazione o cooperativa sociale che si occupa di migranti nella mia città.
L’esperienza dei comuni virtuosi è questa ricetta applicata alle istituzioni, a livello locale. L’Associazione nasce per mettere in rete le buone idee sperimentate con successo in giro per l’Italia da sindaci e amministrazioni comunali capaci di futuro. In grado cioè di restituire alla politica il suo primario vincolo con la cittadinanza, da cui ricevere per tramite della rappresentanza l’onere del governo (dei territori, della nazione): immaginare il futuro, creando le condizioni nel presente perché le cose possano accadere.
Noi siamo partiti da qui, dalla sostenibilità ambientale, come paradigma di un nuovo modello di sviluppo e di società, che sappia mettere al centro le persone e la loro (nostra) qualità della vita, nel rispetto dei beni comuni e con un occhio alle generazioni future. Con la consapevolezza di un legame inscindibile, come ci ricorda papa Francesco, tra i diritti delle persone e della natura, gli uni e gli altri legati a doppio filo dai drammi di guerra e devastazioni ambientali, che le nostre democrazie del primo mondo stanno esportando unilateralmente per il globo.

 Tocca a me

La teoria che diventa pratica, azione. Perché il tempo delle chiacchiere si è drammaticamente esaurito nel muro di gomma di istituzioni nazionali e internazionali miopi, se non del tutto cieche, rispetto alla cronaca mondiale che è una specie di tiro al bersaglio ai diritti primari dell’uomo e della natura. Occorre fare bene, e farlo in fretta. E occorre smettere di delegare gli altri, sperando che un uomo forte (guarda caso, sempre un uomo) esca da chissà quale cappello magico e risolva tutti i nostri problemi con una bacchetta.
Dobbiamo porci obiettivi ben oltre la nostra portata, scrive Bauman. Il nostro, di obiettivo, è nientemeno quello di cambiare il mondo. E di farlo a cominciare dal pianerottolo di casa, avendo la capacità, la curiosità e la generosità di connettere le tante buone pratiche, gli stili di vita, le scelte di comunità, che il mondo lo stanno già cambiando. Alla vertiginosa velocità di una lumaca, d’accordo. Ma con la stessa tenacia di un bambino disposto a non chiudere occhio pur di conoscere Babbo Natale, la notte della Vigilia.
In uno dei miei ultimi libri (Nessuno lo farà al posto tuo, EMI, Bologna 2013) concludevo quella che è una carrellata di buone pratiche con questa esortazione, che sottoscrivo per intero anche oggi.
«Voglio poter vivere in un Paese normale. Non vi sembra normale chiederlo? Sempre più spesso mi capita di concludere le mie conferenze in giro per l’Italia con questa semplice considerazione: “Se vogliamo che le cose cambino in questo benedetto Paese, dobbiamo cambiarle noi”.
Non è più il tempo della delega, dei salvatori della Patria che a turno disattendono i nostri sogni e smontano tutti i piani, gettando nello sciacquone dell’indifferenza e della disillusione ogni nostra voglia intima di cambiamento.

Fantasia, umiltà e fede

È sempre più evidente che il sistema ha fallito. C’è un disagio visibile nell’aria, che respirano non più soltanto gruppuscoli sparsi di sovversivi, nostalgici ambientalisti, pericolosi no global e no tav. Anche le persone più insospettabili vedono e subiscono gli effetti di una crisi che non passerà, se non per eventi sismici devastanti, shock dagli esiti imprevedibili.
Se a tutto questo aggiungiamo l’aggravante di una classe dirigente nazionale che, trasversalmente agli schieramenti politici, è ai minimi storici per credibilità e competenza, sobrietà e buon senso, ecco che il tempo dell’azione e della reazione passa inevitabilmente dalla somma delle nostre quotidianità.
Serve uno scatto di orgoglio e di fantasia, uniti alla giusta dose di umiltà e fede nei propri mezzi. Serve un lavoro certosino, lento e paziente, ostinato e risoluto, che sappia coinvolgere e contaminare sempre più persone in un abbraccio delle buone idee accogliente e vivo.
Sindaci di noi stessi, questo dobbiamo tornare ad essere. Sempre, ogni giorno, per ogni azione o scelta e passo. Possiamo farcela, nella misura in cui sapremo denunciare con coraggio e forza le nefandezze di una politica da rottamare, ma anche e soprattutto se avremo la capacità di scovare, riconoscere sostenendole quelle tante perle di bellezza ed efficacia che in giro per l’Italia vanno in scena ogni giorno. Nelle tante periferie nascoste e ostinate delle comunità locali, frutto di esperienze incredibili per forza, concretezza, capacità di incidere nella vita delle persone.
Ho qui raccontato alcune di queste storie, delineando al contempo spunti e ricette di un possibile altro modello. Un modello che passa dalle nostre singole individualità e che si fa somma in un noi collettivo, comunitario. Istituzioni, associazioni, reti di reti, cittadinanza attiva, gruppi di acquisto solidali, agricoltori e auto-produttori, banchieri del tempo e artigiani delle tradizioni. Da queste figure, e da questo presente, passa il futuro del cambiamento possibile».

 


Per continuare l’approfondimento:
MARCO BOSCHINI
Le panchine ribelli. Basta poco per cambiare tutto. Viaggio nell’Italia che non si rassegna
EMI, Bologna 2016, pp. 128