Due come noi

Ricordando fra Patrizio Rebecchi e fra Teodoro Boglioni

 FRA PATRIZIO REBECCHI

 Piacenza, 19 gennaio 1919
† Reggio Emilia, 8 ottobre 2016

 Una vocazione tardiva

Ben poco sappiamo della sua prima gioventù, perché, anche tra i cappuccini fu sempre riservato e geloso di quello che aveva vissuto fino ai trent’anni.

Sappiamo che prestò servizio militare tra il 1940 e il 1943, nel secondo conflitto mondiale, e che poi esercitò la professione di impiegato. Nell’anno santo 1950 chiese di entrare tra i cappuccini, a lui noti certamente per la frequenza che aveva con il convento piacentino. Il 12 marzo dello stesso anno fu ammesso al noviziato a Fidenza. Fu un anno duro perché il noviziato non guardava in faccia a nessuno, anche a un giovane ormai trentenne, ma con la solidità del suo carattere giunse alla professione temporanea (1951) e alla professione perpetua (1954). Fu ordinato presbitero da mons. Beniamino Socche a Reggio Emilia il 22 settembre 1956. 

La sua esperienza per i giovani frati

Al termine degli studi fu destinato come confessore dei novizi a Fidenza (1957). La sua austerità e la sua esperienza di vita sembravano la garanzia sicura per uno “sgrossamento” concreto dei giovani avviati alla vita cappuccina. Nel 1963, quando le Province di Parma e di Bologna costituirono un comune studentato per i rispettivi studenti, i giovani studenti teologi di Reggio Emilia lo ebbero per un anno come confessore per il loro cammino spirituale. Con il Capitolo della Provincia parmense del 1964 fra Patrizio fu nominato maestro del noviziato interprovinciale di Cesena. La scelta non piacque molto ai confratelli della Provincia di Bologna, perché il precedente maestro, fra Guglielmo Gattiani, venerato e stimato da tutti come “il maestro”, venne “declassato” a vicemaestro. Questi però, nella sua umiltà, si dichiarò lieto di poter godere di maggior disponibilità per quanti, sacerdoti e laici, ricorrevano a lui per consiglio e per il sacramento della penitenza. Fra Patrizio fu un maestro austero e rigoroso, e i novizi di allora ricordano ancora una sua piccola “stravaganza”: nell’assegnare il nuovo nome ai novizi – a quei tempi all’entrata in noviziato si cambiava il nome –, imponeva di chiamarsi: Ginepro, Leone, Cosma… A Cesena fra Patrizio rimase nove anni, fino all’agosto 1973, quando quel Noviziato fu chiuso e spostato a Vignola.

Pellegrino e straniero in questo mondo

Trasferito a Parma come confessore, restò in quel convento fino al 1987, incontrando pian piano notevole consenso tra la gente, che intuiva nel suo sorriso appena accennato un senso di paternità inaspettato, nonostante la naturale riservatezza e la sua perplessità ad accogliere le novità che si imponevano dopo la celebrazione del Concilio Vaticano II. Quando nel 1987 l’obbedienza lo destinò al Santuario della Madonna della Salute di Puianello (Mo) per accogliere i pellegrini, fra Patrizio fu quanto mai soddisfatto di poter vivere accanto alla Vergine Maria, verso cui nutriva profonda devozione. Sei anni dopo fu destinato a custode della chiesa del convento di Monterosso al Mare (Sp), un borgo antico ubicato lungo un pendio che si distende verso un piccolo golfo naturale sulla costa ligure. Da questo convento situato su un colle si poteva godere di uno scenario maestoso, ma a padre Patrizio questo non faceva grande effetto, e piuttosto che andare in riva al mare per godere i benefici della brezza marina e respirare l’aria ricca di sali, si ritirava più spesso nella sua cella o nel coro per dedicarsi alla meditazione, rivolgendosi nella preghiera a Padre Pio, per trarne ulteriore forza per vivere la sua vocazione cappuccina.

Nel 1996 fu trasferito nella fraternità formativa di Santarcangelo di Romagna, in un convento che domina come da un balcone quella cittadina ai piedi dei primi contrafforti dell’appennino romagnolo. Anche qui si sentiva un po’ straniero, soprattutto l’anno dopo, quando, essendo quel luogo divenuto sede del noviziato, sperimentò grande fatica nel mettersi in sintonia con i giovani novizi. Nel 1999, ormai ottantenne, fece ritorno a Parma, dove rimase fino al 2008 come confessore, per poi passare a Fidenza, per lo stesso servizio. Qui visse fino al 2014, sopportando il peso degli anni; ma quando vide che le forze lo stavano abbandonando, chiese di traferirsi nell’infermeria provinciale di Reggio Emilia.

Il cammino spirituale di fra Patrizio

Nella sua prima formazione padre Patrizio ha avvertito il divario di età con i suoi compagni più giovani, e anche dopo, taciturno per temperamento, nei vari luoghi ove si è trovato a vivere, preferiva rifugiarsi in un mondo tutto suo. Illuminava però la sua solitudine con i colori dei suoi dipinti, nei quali esprimeva i suoi sentimenti, e manifestava, nelle raffigurazioni della Vergine Maria, una dolcezza inaspettata, nascosta ai più.

Nazzareno Zanni

 

 FRA TEODORO BOGLIONI 

Maclodio (BS), 21 gennaio 1934
† Reggio Emilia, 8 ottobre 2016

 Teodoro era nato in una famiglia contadina profondamente legata ai valori del Vangelo. Crescendo in questo ambiente, lui, primogenito di quattro figli, a 11 anni esprime il desiderio di diventare cappuccino, affascinato dalle figure dei frati questuanti che periodicamente passavano in quelle campagne. Nel frattempo però la madre si era ammalata gravemente di una patologia progressivamente invalidante e a lui, il più grande dei figli, tocca il compito di assisterla e aiutarla durante le lunghe giornate in cui il padre lavorava nei campi. In questo contesto comincia a manifestarsi in lui quell’attitudine a mettersi al servizio delle persone malate e sofferenti, che si esprimerà ancor più nel futuro. Dopo la morte della madre nel 1951 entra come probando nel convento di Parma e il primo settembre dello stesso anno viene ammesso al noviziato di Fidenza (Pr) come fratello laico, giungendo alla professione temporanea e poi a quella perpetua (1955). Pur facendo parte della fraternità di Fidenza, viene inviato più volte in aiuto ad altri conventi come portinaio, sagrista e cuoco, arte che aveva appreso fin da ragazzo, durante la malattia della mamma.

 Tra i frati ammalati

Nel 1961 viene trasferito nell’infermeria di Reggio Emilia per la gestione e la cura dei frati anziani e ammalati. Chiusa l’infermeria per restauri nel 1968, viene incaricato di occuparsi di padre Raffaele Spallanzani, un confratello gravemente malato e costretto sulla sedia a rotelle, di cui è in corso attualmente il processo di canonizzazione. Fra Teodoro svolge questo compito con grande dedizione e generosità sino alla morte del suo assistito (1972). Da questo momento in poi riprende la sua missione di assistenza ai frati malati nell’infermeria provinciale di Reggio Emilia, e questo fino al 1985. 

Sacerdote già con barba bianca

Sentendosi chiamato dal Signore al sacerdozio, nonostante l’età non più verde, inizia un cammino di preparazione. Nel frattempo viene inviato a Modena come sacrista, per poi prestarsi al servizio degli ammalati negli ospedali di Piacenza e Parma come cappellano. Viene ordinato diacono nel 1988 e consacrato sacerdote il 22 marzo 1992 a Fidenza.
In quegli anni però cominciano a comparire i primi problemi di salute, che lo accompagneranno, progressivamente aggravandosi, per tutto il resto della vita. Dopo l’ordinazione viene nominato vicario parrocchiale a Salsomaggiore (PR) e vi resterà sino a quando i cappuccini abbandoneranno quel luogo. Dal 2002 svolge il suo servizio di sacerdote nella nostra chiesa di Fidenza, distinguendosi particolarmente nel ministero della confessione.

Verso il tramonto

A partire dal 2011, con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, chiede di trascorrere i mesi più caldi dell’anno in infermeria provinciale di Reggio provvista di aria condizionata, poiché il caldo estivo e l’afa intensa gli creano grosse difficoltà respiratorie. In autunno poi torna ogni anno a Fidenza, ove continua a svolgere il suo ministero sacerdotale. Nel 2014 viene trasferito definitivamente nell’infermeria di Reggio Emilia. In quest’ultimo anno i problemi di salute si fanno via via più gravi, costringendolo a più ricoveri ospedalieri, sino all’agosto 2016, quando la sua salute è andata incontro a un processo irreversibile, che lo ha condotto alla morte.

 Come un bicchiere di vino schietto

Fra Teodoro era un uomo che si affezionava alle persone, era capace di sentimenti profondi che sapeva mantenere nel tempo e, nonostante la distanza, era rimasto molto legato ai familiari, e questi a lui, tant’è che frequentemente le sorelle e i nipoti venivano a trovarlo nella sua permanenza in infermeria, dove la scomparsa di Teodoro ha creato un grande vuoto: si è sentita molto la mancanza delle sue battute, dei suoi canti, della sua serena giovialità che lo rendeva naturalmente simpatico.
Molte persone che lo avevano conosciuto negli anni passati venivano a fargli visita per parlare e confessarsi da lui, perché era un uomo capace di misericordia, mite, bonario, accogliente, con quella serenità e quel sorriso che riuscivano a sdrammatizzare anche le situazioni di tensione. Non si arrabbiava mai, era di natura flemmatico e abitudinario, conciliante e con spiccato senso dell’umorismo, gradevole come un bicchiere di vino schietto. Consapevole della sua precaria condizione di salute, e che aveva poco tempo davanti a sé, diceva di non avere nessuna voglia di morire, ma allo stesso tempo di non essere spaventato dalla morte, e si rimetteva serenamente nelle mani di Dio.

Giacomo Franchini

 Una comune liturgia funebre nella nostra chiesa di Fidenza ha unito fra Teodoro con il confratello fra Patrizio Rebecchi, che si è spento lo stesso giorno nelle prime ore del mattino. La concelebrazione, presieduta dal vescovo diocesano mons. Carlo Mazza, ha visto un’ampia partecipazione di confratelli, di sacerdoti diocesani e di tante persone che li avevano conosciuti e apprezzati.
Fra Patrizio è stato sepolto nella nostra tomba al cimitero urbano di Piacenza, mentre la salma di fra Teodoro è stata trasferita nel suo paese natale a Maclodio dove, il giorno successivo, è stato celebrato un secondo funerale con la partecipazione di quasi tutto il paese, compresi i sacerdoti della zona e il sindaco, presente in chiesa in veste ufficiale, con la fascia tricolore.