Questo nostro mondo bello e prezioso

 di Dino Dozzi
Direttore di MC

 Sarà che sta terminando l’anno in cui i francescani – ma non solo loro – hanno riletto e meditato il Cantico delle creature di san Francesco nell’ottavo centenario della sua composizione, testo che rappresenta una straordinaria magna charta di connessione tra cielo e terra; sarà che si sta avvicinando Natale con il grande mistero di Dio che si fa carne ed entra e resta nel nostro mondo; sarà la rinnovata attenzione degli studiosi per Teilhard de Chardin che vede nel cosmo intero materia eucaristica; saranno le letture che ho fatto in questo periodo, tra le quali segnalo Concilium 2 2025 dedicato a “Sacramentalità. Il mondo come segno e strumento della presenza di Dio”. Fatto sta che ho deciso di dedicare le due pagine che aprono MC 7 ad alcune riflessioni sulla bellezza e preziosità del mondo. Nonostante tutto. Per provare a bilanciare l’immagine triste e drammatica che deriva da guerre, violenze e ingiustizie sotto gli occhi di tutti.
Cipriano di Cartagine nel terzo secolo aveva formulato l’assioma “fuori della Chiesa non c’è salvezza”; Edward Schillebeeckx – attento alla religione umana anche al di fuori della rivelazione biblica – l’ha rifomulato in “fuori del mondo non c’è salvezza”: l’azione salvifica di Dio avviene nel mondo, inteso nel senso più ampio, non solo all’interno della Chiesa. Tutta la storia umana è il contesto della “parola di Dio” e l’azione salvifica di Dio è sempre mediata dalla storia, cioè da esseri umani reali. Le persone sono le parole con cui Dio racconta la sua storia, gli strumenti di cui si serve per rivelarsi e salvarci, cioè suoi sacramenti.
Incarnazione e sacramentalità sono intimamente collegate. Il Verbo si è fatto carne, si è unito per sempre al materiale, all’umano, al mortale, che può quindi diventare luogo sacro, dove Lui è presente e attraverso il quale continua a rivelarsi e a salvarci. Gesù è presentato nei vangeli a continuo contatto con malati e bisognosi di ogni tipo: li accoglie, li cura, li guarisce. Cristo continua ad essere realmente presente là «dove due o tre sono riuniti nel mio nome» (Mt 18,20) e là dove ogni persona di buona volontà lavora per l’amore e per la giustizia, e tutti costoro sono chiamati “benedetti del Padre mio” (Mt 25,34-36). Papa Francesco lo ha detto chiaramente: «Dio vive tra gli uomini, promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta» (Evangelii Gaudium 71). Molto importante è questa affermazione: può aiutare la Chiesa a passare da una mentalità unidirezionale del dare al mondo rivelazione e salvezza, ad una basata sullo scoprire nel mondo i segni del divino e il mondo stesso come strumento/sacramento di rivelazione e di salvezza. Forse c’è ancora una lettura troppo clericale delle sacre Scritture.
È soprattutto la teologia ortodossa a sottolineare i tre sacramenti fondamentali: Gesù Cristo, la Chiesa, la creazione. L’idea della creazione come sacramento non afferma che Dio è ovunque e che ogni cosa è Dio, ma che Dio è in ogni cosa e ogni cosa è in Dio. L’apostolo Paolo non la pensava diversamente, se ha scritto che «Dio è tutto in tutti» (1Cor 15,28). La sacramentalità è fondata sull’incarnazione. Oltre a continuare ad amministrare i sette sacramenti e a spiegare il loro collegamento con Gesù Cristo che curava e guariva malati di ogni genere, la Chiesa è chiamata anche a vedere il sacro presente nel mondo e ad aiutare tutti a riconoscerlo. Questo la proteggerebbe dal rischio di trionfalismo, autosufficienza ed ecclesiocentrismo, aiutandola a recuperare il ruolo di Giovanni Battista, sotteso a quella famosa definizione ecumenica: «C’è vera evangelizzazione quando un povero dice ad un altro povero dove tutti e due possono trovare da mangiare».
Il compito della Chiesa potrebbe dunque allargarsi e includere quello di aiutare tutti a prendere coscienza della vocazione a diventare sacramenti, cioè segni e strumenti della presenza salvifica di Dio. Il buon samaritano è strumento di salvezza per chi è incappato nei briganti; nel giudizio finale di Mt 25 il Signore non chiederà quanti dei sette sacramenti abbiamo dato o ricevuto, ma elencherà molti altri “sacramenti”: mi hai dato da mangiare, mi hai dato da bere… Alla Samaritana Gesù chiede da bere, provocando in lei grande meraviglia: Gesù vede in lei ciò che ha da donare e, chiedendoglielo, le offre la possibilità di diventare ciò che è chiamata ad essere, sacramento. Gesù morente esclama «Ho sete» (Gv 19,28): ogni essere umano è invitato a dar da bere a chi sta morendo di sete, a diventare sacramento, con o senza le virgolette. Mi pare che san Francesco si muovesse in questa logica quando, nella Regola non bollata al capitolo IX, dopo aver incoraggiato i frati ad andare senza vergogna all’elemosina all’esterno, si rivolge all’interno della fraternità e scrive: «E con fiducia l‘uno manifesti all’altro la propria necessità, perché l’altro gli trovi le cose che gli sono necessarie e gliele dia» (FF 32). Nel Cantico delle creature Francesco riconoscerà poi come “sacramenti” anche il sole per mezzo del quale Dio ci riscalda, e la terra per mezzo della quale Egli ci nutre, e ogni altra creatura nella quale lui, quasi cieco, vede l’azione di Dio onnipotente e buono e compone quello straordinario cantico di lode e di ringraziamento.
Che bello sarebbe poter dire a genitori che allevano bambini magari con gravi disabilità o a chi si prende cura di anziani e malati che stanno compiendo un gesto sacramentale! Che bello sarebbe poter dire ad ogni persona che si ferma a soccorrere un ferito o ad accogliere un migrante che sta continuando l’azione di Gesù e che quindi sta costruendo il Regno di Dio, che è poi il regno della fratellanza umana! Forse servono solo occhi capaci di vedere tutto questo. Perché c’è davvero questo mondo bello e prezioso.