Nuove strade, la stessa speranza

 di Saverio Orselli
della Redazione di MC

 Il pontificato di papa Francesco ci ha abituato, sin dai primissimi momenti, a un linguaggio diverso da quello dei predecessori, caratterizzato spesso da immagini molto efficaci, in grado di rimanere impresse nella memoria. È il caso, ad esempio, dell’invito ai sacerdoti a essere “pastori con l’odore delle pecore”, rivolto nell’omelia della Messa crismale del giovedì santo nel 2013, pochi giorni dopo essere stato eletto. In quella stessa occasione, rivolgendosi ai sacerdoti, il papa parlò delle periferie esistenziali e della necessità di «uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle “periferie” dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni». Una Chiesa che non può rinchiudersi in se stessa, ma deve uscire, andare incontro alle persone, ai sofferenti come agli indifferenti, con tutti i problemi che questo comporta. Una barca che lascia un porto sicuro, ma sempre più angusto, per navigare in un mare aperto, dove potrà dover affrontare difficoltà, ma fare anche nuovi incontri. In sintesi, una chiesa in uscita, pellegrina nel mondo.
All’importanza di una Chiesa in uscita, papa Francesco ha dedicato capitoli fondamentali nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, del novembre 2013, un testo coraggioso e lungimirante che varrebbe la pena rileggere di tanto in tanto. Di certo lui non è stato a guardare, mettendosi in pellegrinaggio per visitare le genti dei cinque continenti e per incontrare mondi distanti, da tanti (troppi) considerati non solo lontani ma anche ostili. Uno per tutti, vale la pena ricordare l’incontro con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019, con la firma di un Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, sviluppato poi nell’enciclica Fratelli Tutti.
Alle tante immagini efficaci – non posso dimenticare “la chiesa ospedale da campo”, che ha fatto storcere il naso a tanti, ma che rende molto bene l’idea di una chiesa che vuole prendersi cura di chi ha bisogno – hanno fatto da contraltare le liturgie sempre meno frequentate, sia quelle domenicali che quelle legate a feste particolari. In particolare dopo la pandemia – che certamente non può essere la sola causa – la partecipazione si è ridotta in modo significativo, mentre, al contrario, hanno riscosso grandi apprezzamenti altri eventi nei quali la chiesa in uscita si è resa protagonista. È il caso, ad esempio, della partecipazione alla Biennale d’arte di Venezia, dove profeticamente è stato scelto di organizzare il padiglione della Santa Sede nel carcere femminile della Giudecca, favorendo incontri imprevedibili, come quello tra le detenute e un gruppo di artisti di fama mondiale. Un incontro fraterno e fecondo, capace di trasformare i piedi di poveri cristi in quelli del Cristo o le poesie delle detenute in lapilli dai mille colori dipinti su lastre di pietra lavica o, ancora, i volti dei familiari delle “residenti” (quante sfumature possono caratterizzare una parola di uso comune!) in altrettanti quadri d’autore, tra le lacrime delle guide prive di libertà mescolate a quelle copiose dei tanti visitatori. Oltre ventimila (tra cui un piccolo gruppo della redazione di MC) hanno visitato quella splendida mostra, intitolata Con i miei occhi, divisi in tanti piccoli gruppi che hanno condiviso con le residenti sguardi e lacrime, aperto i propri occhi e il cuore a una realtà che in genere si vorrebbe rimuovere.
Altrettanto efficaci le “uscite” verso altre nuove navate sparse per il pianeta, dalle esposizioni mondiali ai saloni dedicati alla letteratura, ma anche tra la gente devastata dalla guerra, tra i migranti, tra le popolazioni colpite da calamità naturali rese sempre meno ‘naturali’ dai cambiamenti climatici che vedono gli uomini coi loro comportamenti protagonisti in negativo.
A proposito di pellegrinaggi, da qualche mese è iniziato il grande Giubileo che papa Francesco ha voluto fosse dedicato alla Speranza. «La Speranza non delude», sono le prime parole della Bolla di indizione, nella quale, tra le altre cose, si legge: «Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé» (Bolla, 1). Prendetevi un anno per pensare pazientemente alla Speranza e ravvivarla, potrebbe sembrare l’invito del papa ai fedeli certo, ma non solo a loro: «Nell’epoca di internet, dove lo spazio e il tempo sono soppiantati dal “qui ed ora”, la pazienza non è di casa. Se fossimo ancora capaci di guardare con stupore al creato, potremmo comprendere quanto decisiva sia la pazienza. Attendere l’alternarsi delle stagioni con i loro frutti; osservare la vita degli animali e i cicli del loro sviluppo; avere gli occhi semplici di san Francesco che nel suo Cantico delle creature, scritto proprio 800 anni fa, percepiva il creato come una grande famiglia e chiamava il sole “fratello” e la luna “sorella”. Riscoprire la pazienza fa tanto bene a sé e agli altri» (Bolla, 4). Ripensando alle briciole di pazienza richieste dalla visita nel carcere veneziano, mi piace ricordare con emozione che la seconda Porta Santa del Giubileo è stata aperta nel carcere romano di Rebibbia.
Ebbene, quale sia o debba essere il ruolo della Chiesa pellegrina nel mondo non sono in grado di dirlo. Di certo non riesco a provare, come tanti, preoccupazione per il calo dei partecipanti alle liturgie, mentre mi preoccupa molto di più l’indifferenza nei confronti di tutto, sempre più diffusa ovunque. Un ultimo passaggio della Bolla di indizione dell’Anno Santo mi pare di grande speranza: «Attraverso il giovane Juan Diego la Madre di Dio faceva giungere un rivoluzionario messaggio di speranza che anche oggi ripete a tutti i pellegrini e ai fedeli: “Non sto forse qui io, che sono tua madre?”» (Bolla, 24). Della Signora di Guadalupe ci si può fidare.