L’alleanza della speranza

L’incontro sul piano umano e la possibile strumentalizzazione delle religioni 

a cura di Lucia Lafratta
della Redazione di MC

“Pace fra le religioni: solo un’utopia?”, a questa domanda - se le religioni, in particolare le religioni monoteiste, cristianesimo, islamismo, ebraismo, sono strumenti di pace o ostacoli alla pace - è stato chiesto di rispondere, nella cornice del Festival Francescano 2016, a Adel Jabbar, sociologo musulmano, e Bruno Segre, storico dell’ebraismo. A condurre la tavola rotonda Brunetto Salvarani, teologo ed esperto di dialogo interreligioso.

 Salvarani: In questo nostro incontro parto dallo Spirito di Assisi: qual è la ricaduta a livello di Chiese locali, comunità, fraternità e movimenti? Un portato positivo di ciò che è accaduto ad Assisi potrebbe essere quello che nascessero tante piccole realtà locali per portare il dialogo nella concretezza della vita quotidiana.
I sociologi ci dicono che siamo di fronte alla prima generazione di giovani increduli perché non trovano persone che non solo parlano del Vangelo, ma lo vivono. Ci dicono anche che non è vero che c’è stata la morte di Dio, e la secolarizzazione, che c’è la rivincita di Dio. Ma quale Dio sta rivincendo? Il Dio degli eserciti o il Dio della pace? Non è che le religioni hanno un virus interno di violenza e di esclusivismo? 

Segre: Io vorrei partire da una premessa: nella nostra tradizione ebraica ci sono alcuni valori che si muovono in un panorama di tipo universale, ma, rispetto alle due altre religioni monoteiste, la religione ebraica è piccola cosa, è di tipo tribale anche se i valori che propone sono universali, tra gli altri la modestia, e anche la lotta contro ogni forma di fanatismo e di idolatria, contro l’idea di un pensiero unico. Il fatto è che le religioni in quanto tali pensano di essere ciascuna la detentrice della verità: la mia verità esclude la tua e da ciò nasce il fanatismo e talvolta l’uso della violenza.
Comunque io sono convinto che un dialogo tra le religioni in quanto tali non esiste, non sono le religioni che dialogano tra di loro: sono gli uomini e le donne che hanno deciso di dialogare. Riusciamo, dunque, a livello di popoli, magari di piccole realtà, a metterci insieme per affrontare alcuni problemi che sono essenziali per l’umanità di oggi e insieme, ciascuno facendo riferimento al proprio retroterra tradizionale, a elaborare soluzioni valide per tutti? Questo è il risultato che dobbiamo cercare di perseguire. Dio può essere il Dio degli eserciti o il Dio della pace a seconda del tipo di utilizzazione che facciamo di questa ideologia, perché a questo punto Dio diventa soggetto di un discorso ideologico di cui io posso fare l’uso che voglio: le nostre tradizioni religiose vanno interpretate e vanno usate nel modo migliore.

 Jabbar: Per rispondere parto da alcune constatazioni che riguardano l’area nella quale sono nato e che ho abbandonato da diversi decenni: l’area mesopotamica, la Siria, lo Yemen, la Libia... Questi oggi sono luoghi in cui i movimenti religiosi di ispirazione islamica di diversa natura e orientamento, purtroppo, giocano un ruolo rilevante ed esercitano una funzione di controllo del territorio: morale, sociale, politico e quindi anche economico sulla popolazione. Se guardo la realtà in questi anni, i movimenti di ispirazione religiosa di vario orientamento non hanno contribuito ad arginare la violenza, a elaborare una cultura capace di proiettarsi in un futuro in cui musulmani e non musulmani dovrebbero dialogare, convivere e condividere un futuro. Nell’ambito musulmano, al di là dell’importante testimonianza nella storia dell’Islam del passato e di oggi, ci sono state figure di grande slancio emancipatore, anche sul tema della non violenza, che però sono state dimenticate e nessuno dei movimenti oggi fa riferimento a queste correnti o a questi personaggi. Al di là delle dichiarazioni, ci vuole un lavoro serio nell’approfondire la grande cultura islamica, nel lungo arco del tempo, nella quale troviamo testimonianze, contributi, culture e figure che hanno voluto dare una grande importanza a come salvaguardare la dignità della persona. Oggi, invece, dietro la retorica c’è un mercato di violenza che richiede modalità di propaganda e di promozione del proprio operato usando appunto la violenza. Non è questione di religione.

 Salvarani: E dunque le religioni sono intrinsecamente inclini alla violenza o al contrario, in loro stesse, sono pacifiche e prive di legami con i gruppi dei fanatici violenti? Credo sia fuorviante sia una identificazione tra religione e fanatismo sia un’assoluzione sempre e comunque delle religioni. Il problema di fondo è che queste non riescono a vivere il messaggio fondamentale che è un messaggio umano, di apertura all’umano. Purtroppo le religioni pensano ancora che i diritti di Dio valgano più dei diritti dell’uomo, mentre non ci sono diritti di Dio se sono conculcati i diritti dell’uomo. E allora o le religioni sono apertura all’umano e rifiuto della violenza oppure davvero meglio perderle che trovarle.

 Segre: Non sono le religioni che inducono alla violenza, ma sono i violenti che assumono le religioni strumentalmente per esercitare la violenza in nome di Dio. Oggi l’umanità dispone di strumenti di distruzione di massa che le permettono di distrugger se stessa, perciò in qualche modo dobbiamo metterci in testa che siamo tutti sulla stessa barca, a prescindere dalle appartenenze religiose, per cui il vero quesito del nostro incontrarci qui oggi è capire come facciamo a metterci insieme per costruire artigianalmente la pace, ovunque questa pace sia in pericolo. Accade a Brunetto e al sottoscritto di essere impegnati da vent’anni ad aiutare e assistere dall’Italia una piccola realtà, Wāħat as-Salām, nata all’indomani della guerra dei sei giorni in Israele; è un villaggio in cui convivono pacificamente ebrei e palestinesi in Israele. L’idea straordinaria è venuta a un padre domenicano di origini ebraiche, un uomo con quattro identità: ebreo perché figlio di genitori entrambi ebrei; cristiano perché ha ricevuto il battesimo; cittadino dello stato di Israele ma, essendo nato al Cairo e avendo vissuto gli anni verdi della sua formazione nel mondo arabo, con una fortissima capacità di mettersi in sintonia con le rivendicazione e le esigenze del mondo islamico. Perciò lui parlava di se stesso come di un uomo che aveva quattro identità che prese a due a due erano molto conflittuali tra di loro. Quando a padre Bruno Hussar viene l’idea di mettere in piedi questa Oasi di pace pensa a un villaggio ecumenico in cui i fedeli di fede diversa possano dialogare tra di loro, creando un discorso di multireligiosità all’interno di una comunità. Poi si è reso conto che il vero problema non era quello di invitare questi suoi compagni di avventura a dialogare sulle proprie fedi religiosi, ma di mettersi insieme per costruire giorno per giorno la pace. Allora ai bambini del villaggio, come primo passo verso la pace, si insegna a usare come lingua madre la lingua del nemico, perché la pace la fai con il tuo nemico, accettando la diversità e saltando il fosso dell’inimicizia e delle conflittualità. 

Salvarani: È chiaro che tutto quello che stiamo dicendo non è contro lo Spirito di Assisi, però è bene sottolineare la dimensione profondamente laica del dialogo. Se non scopriamo e viviamo questa dimensione, il dialogo non si compirà perché purtroppo nelle religioni c’è il virus della conflittualità. Qui forse sta il nodo ed è qualcosa che non può essere collegato a una sola religione, anche se, d’altra parte, sul banco degli imputati oggi c’è in primo luogo l’Islam.

 Jabbar: L’Islam è stato ed è ancora attraversato da diverse interpretazioni e correnti, perché le religioni vengono interpretate da persone collocate storicamente. E l’Islam non è fuori dalla storia. È vero però che c’è una sfida: come riuscire a privilegiare e a dare forza alle interpretazioni che guardano il mondo con un campo visivo diverso, che va al di là delle retoriche identitarie?
La storia dell’Islam ha dato grande prova di pluralismo e alterità, però spesso è dimentica dagli stessi musulmani. I musulmani in diverse fasi della propria storia hanno saputo interpretare un significativo ruolo di mediazione. Le genti dell’Islam sono state dei grandi mediatori perché hanno fatto del viaggio una caratteristica del loro percorso identitario. Ciò gli ha permesso di abbracciare diversi contributi provenienti da vari contesti culturali.
I musulmani, fin dall’inizio, hanno saputo trasformare l’area del Medioriente, collegando l’Asia cinese e indiana, l’Africa Nera e l’Europa. Questo ruolo di mediazione ha quindi fatto sì che l’Islam sia riuscito a svilupparsi in contesti urbani importanti: Bassora, la Baghdad in cui sono nato, Damasco, il Cairo, le città della Spagna, Sarajevo… sono luoghi che per secoli hanno fatto della pluralità e dell’alterità linguistica e religiosa la caratteristica principale di quei luoghi. Grazie a questo l’Islam ha avuto un grande ruolo centrale nella storia.

 Salvarani: Hans Kung afferma che la pace nel mondo ci sarà quando ci sarà pace fra le religioni, ma voi, rispetto alla pace fra le religioni, siete ottimisti o pessimisti?

 Segre: Quella che io cerco di non abbandonare, essendo molto vecchio e pensando ai miei nipoti, è la speranza. Che per me significa chiedersi che cosa posso fare io per assicurare ai miei nipoti un futuro più decente del passato. Non rinunciate a sperare. Abbiamo bisogno di una grande alleanza della speranza per cercare di assicurare al nostro sempre più piccolo, più abitato e stretto mondo un futuro. Per conto mio il vero grande leader di un’apertura alla speranza oggi nel mondo è papa Francesco che avete voi cattolici, il quale, dal mio punto di vista, è una benedizione non solo per i cattolici, ma per tutta l’umanità.

 Jabbar: Io credo che le religioni possano essere incoraggiate a dare un contributo a costruire questa speranza e che si debba spingere e stimolare almeno alcune correnti dentro le religioni a individuare beni comuni perché siamo sulla stessa barca. Questo è ciò che già lo Spirito di Assisi, trent’anni fa, ha fatto, affrontando temi quali la salvaguardia del creato, la dignità delle persone, la giustizia sociale a livello mondiale… Sono questioni che oggi interpellano tutti e che nessuna religione da sola è in grado di risolvere.