Ai confini della guerra fredda

Primo pellegrinaggio  in Georgia, ex repubblica sovietica 

di Lucia Lafratta
della Redazione di MC

 Ogni giorno un chiesa

È stato chiamato “pellegrinaggio in Georgia”, e qualcuno ha sollevato qualche dubbio sulla definizione di ciò che, forse più propriamente, avrebbe potuto essere chiamato semplicemente viaggio.

Uno di quei viaggi all inclusive, un albergo nuovo ogni sera, le inevitabili classifiche sul bagno e sul funzionamento della doccia e, soprattutto, il cibo, questione principe di ogni spostamento al di fuori dei patri confini, in qualunque luogo, a qualsiasi latitudine; una certa confusione sul luogo, solo in parte risolta (ma dove siamo? quanto c’è di qui alla Russia?), il brivido di sapersi a pochi chilometri dall’Ossezia, che per alcuni mesi, o forse solo settimane, ha tenuto le prime pagine dei nostri giornali, la consapevolezza di essere nel Caucaso, quello della geografia studiata a scuola. La consapevolezza, quasi eccessiva, di essere in una delle ex repubbliche sovietiche, con la certezza propria del bagaglio del buon cattolico che si è abbeverato ai libri e soprattutto ai film di don Camillo e Peppone. Non è che Guareschi non avesse ragione a suo modo: la grande strada militare georgiana costruita per collegare le province dell’impero a Mosca senza guardrail né banchine laterali, le fogne inesistenti con conseguente allagamento di strade, campi, cortili e giardini, le abitazioni malandate e trascurate, i palazzoni della capitale in stile sovietico o cresciuti senza un progetto negli ultimi venticinque anni.
Eppure pellegrinaggio è stato. Ogni giorno c’era una chiesa, un monastero, un luogo sacro da visitare – la cattedrale di Bagrati, il monastero di Gelati, la chiesa della Trinità di Gergeti, la cattedrale patriarcale di Mskheta – con un discreto via vai di pellegrini e fedeli ortodossi e con l’immancabile operazione femminile di velare il capo e coprire il corpo dalla vita in giù. Come raffigurato da Guareschi, sembra che la spiritualità, la religiosità dei popoli e forse soprattutto le sue manifestazioni esteriori, non si è spenta mai, neppure sotto il tallone di Stalin. Il quale è il georgiano più famoso, nato a Gori, dove i pellegrini hanno fatto tappa all’ora di pranzo. Il che li ha costretti ad una scelta: o il cibo o la visita al museo di Stalin. Vuoi a causa dell’avversione per l’uomo e i suoi crimini, vuoi a causa dell’impossibilità anche solo di formulare il pensiero di rinunciare a mangiare, soltanto uno sparuto gruppetto ha scelto di non rinunciare all’incontro con la storia, peraltro con un po’ di delusione rispetto alle attese. Per salvare capra e cavoli, tuttavia, si potevano acquistare i più svariati gadget – scatole di fiammiferi, tazze, foulard, sottobicchieri – nel vicino supermarket intitolato, com’è ovvio, alla gloria locale. Tutti i salmi finiscono in gloria e tutte le ideologie finiscono in paccottiglia per turisti.

 L’inizio della missione

Ovunque fedeli in adorazione delle splendide icone della tradizione, uomini e soprattutto donne che si rivolgono al pope in cerca di aiuto: la guarigione da una malattia, quella si capisce bene, e tutto ciò che ognuno di noi cerca e chiede in qualunque chiesa o santuario o luogo sacro: il bene per sé e per i propri cari, salute, lavoro, serenità. È qui, in questi luoghi, che papa Francesco è andato il 30 settembre per assicurare la propria vicinanza alla piccola comunità cattolica e alla chiesa ortodossa della Georgia e per tessere trame di pace in una terra che in pace non è.
È qui che due padri stimmatini sono arrivati nel 1994. Padre Luigi Mantovani l’abbiamo incontrato a Kutaisi nella casa delle suore Piccole figlie di san Giuseppe. Linguista di formazione, ha dedicato gli anni della sua permanenza in Georgia a comporre il vocabolario georgiano–italiano arrivato alla seconda edizione. Lingua difficile, difficilissima, ci ha detto padre Luigi, il georgiano, ma proprio per questo altrettanto affascinante lo studio. Più complicato per le suore riuscire a entrare in contatto davvero con la gente. E però non tanto da non consentire di mettere in opera un laboratorio per donne che ricamano, cuciono, tessono e, vendendo i loro prodotti, contribuiscono a mantenere la famiglia. Padre Giuseppe Pasotto, dal 2000 vescovo di Tbilisi e amministratore apostolico per il Caucaso dei cattolici di rito latino, ci ha raccontato di come è riuscito a “convincere” il papa a spingersi fino in Georgia oltre a molte altre cose ancora, per aiutarci a comprendere, almeno un po’, una storia complessa che non si può schematizzare o banalizzare, e ci ha ricevuti nella sua casa offrendoci una cena italo-georgiana accompagnata dal calore della sua ospitalità. 

Il segno del monachesimo femminile

A Akhaltiskhe due sono i luoghi della chiesa cattolica: la chiesa e la casa di padre Filippo Aliani e il monastero delle monache benedettine, primo monastero cattolico in Georgia. Monache, provenienti dal monastero san Marco di Offida e arrivate nel 2012, che il vescovo ha fortissimamente voluto come segno di una comunità che ha, al proprio interno, diversi modi di testimoniare il Cristo, anche quello del monachesimo femminile che l’Ortodossia riconosce e comprende. Padre Filippo ci ha accolti – con la moka sul fornello per offrirci, tra il giubilo della comitiva astinente da troppo tempo, un vero caffè italiano – in quella che è la sua casa e che, al piano terreno, ha alcuni locali per l’accoglienza dei giovani ai quali propone le attività che, dalle nostre parti, si fanno in parrocchia o all’oratorio, e che però sono infinitamente più complicate, non fosse altro per la difficoltà della lingua. Sono ragazzini cattolici, ortodossi e armeni che trovano un luogo in cui possono incontrarsi, conoscersi e, soprattutto, sperimentare i valori dell’integrazione, della tolleranza, del rispetto reciproco. Impresa non facile per le diffidenze, i pregiudizi, le storiche conflittualità che i tempi difficili successivi alla caduta del muro e al disfacimento dell’impero sovietico hanno riacutizzato. Dalla casa di padre Filippo la strada è breve, una passeggiata lievemente in salita attraverso la cittadina, per arrivare sulla collina di Rabati al monastero delle benedettine, presenti dal 2012 . Lì, nella chiesa della Madonna del rosario, abbiamo ascoltato la testimonianza pacata della madre badessa, che non la fa facile ma neppure impossibile, considerato lo sposo che ha al fianco, e abbiamo concluso la visita con la recita del rosario.
Sì, ricordando brevemente luoghi e persone, e riflettendo su quel poco che abbiamo visto e percepito, lasciato sedimentare, non pare del tutto azzardata o impropria la scelta degli organizzatori di chiamare il nostro viaggio “pellegrinaggio”.

 Domenica 20 novembre, nella Solennità di Cristo Re e a conclusione dell’Anno Santo Straordinario della Misericordia, aperto a Bangui, la Capitale della Repubblica Centrafricana, papa Francesco ha nominato 13 nuovi Cardinali, tra i quali mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui. Con i missionari impegnati in quella terra, Messaggero Cappuccino augura al neo Cardinale di continuare a essere sempre più costruttore di fratellanza, per un popolo che merita la pace dopo aver subito tanta violenza.