Respiriamo liberi (e diversi)

Lo Spirito ci guida ad aprirci all’altro, perché in ognuno è il soffio di Dio 

di Lidia Maggi
Pastora battista

 Come è potuto accadere che la Chiesa, chiamata a custodire e annunciare l’ampiezza, la larghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo, si ritrovasse invece ad abbassarlo, restringerlo e circoscriverlo, fino a rinchiuderlo all’interno dei propri recinti, per indirizzarlo solamente verso coloro che si pongono all’interno della sua custodia?

Quante generazioni di credenti sono bastate perché il linguaggio originario dello stupore di stranieri, accolti con piena cittadinanza nell’abbraccio divino, si mutasse in intolleranza verso chi vive un’esperienza religiosa differente? Come è stato possibile che proprio dagli esclusi dall’alleanza di Israele, una volta trovata, in Gesù Cristo, l’inattesa via d’ingresso, si propagasse la diffidenza e persino il disprezzo nei confronti di chi è fuori dalla Chiesa? Rileggere oggi i passaggi della lettera agli Efesini, da cui è tratto il verso che mi è stato affidato, non può non sollevare tali questioni.
Gli stranieri, accolti come figli nell’abbraccio divino, non solo hanno dimenticato le proprie origini, ma si pongono come impedimento all’altro. Eppure la vocazione affidata alla Chiesa era questa: far comprendere che nessuno è straniero davanti a Dio. È proprio l’amore di Cristo a ricordarci che siamo tutti figli e figlie di un unico Padre. L’amore di Cristo spalanca orizzonti, abbatte i muri di divisione, apre le porte e non per far entrare nella Chiesa chi viene da un altro contesto religioso, ma per aprire la Chiesa stessa al mistero del respiro di Dio, quello Spirito che è presente in ogni credente come in ogni creatura.

 Tra profumi e fetori

Noi siamo qui e confessiamo la distanza tra il nostro vissuto e il desiderio di Dio che tutti si riconoscano, in lui, fratelli. Ma quanta strada dobbiamo ancora fare prima di poter diventare testimoni credibili dell’abbraccio divino! Fatichiamo ancora a riconoscere come sorelle le chiese che appartengono ad altre confessioni cristiane; a maggior ragione chi vive l’esperienza con Dio all’interno di un’altra tradizione religiosa. Questo ci accade perché, anche se crediamo e sentiamo di appartenere al Dio unico, siamo anche figli e figlie del nostro tempo. Respiriamo il profumo del Vangelo ma anche l’aria inquinata di un clima sociale sempre più avvelenato dai particolarismi identitari, dalla diffidenza verso l’altro, dalla paura del diverso.
La fraternità umana la riconosciamo, ma negli spazi esclusivi della nostra appartenenza religiosa. E la Chiesa, sorta come un laboratorio di fraternità, è stata spesso trasformata (o meglio, deformata) in confraternita, dove sono ammessi solo coloro che sentiamo simili a noi, che credono e celebrano come noi. “Un solo Dio”? Certo, ma il nostro! “Che è al di sopra di tutto”? Può darsi, ma non al di fuori della nostra appartenenza religiosa (extra ecclesiam, nulla salus!). “Che opera per mezzo di tutti”? Sicuro, da sempre Dio si serve dei mezzi più strani per fare la sua volontà, da intendersi come quella di cui noi siamo gli unici depositari. “Ed è presente in tutti”? D’accordo, ma la pienezza, la vera presenza la si trova solo da noi. In ogni religione c’è una parte di verità, ma solo nel cristianesimo la pienezza.

Parole come queste ancora si odono nelle nostre chiese e non solo tra la gente con pochi strumenti teologici. Parole che chiudono e ostacolano la manifestazione del mistero di Dio, mettendo a tacere lo Spirito. E quando manca lo Spirito, il respiro di Dio, manca l’aria. Nella pandemia abbiamo compreso meglio cosa significhi che manca l’aria: l’esito è la morte per soffocamento. Allo stesso modo quando si imbriglia lo Spirito, il soffio vitale di Dio: è la morte, la seconda morte – come la chiama Francesco d’Assisi – la più tragica, quella spirituale.

 Benedetta testarda Parola

Eppure, nonostante i tradimenti della storia, il nostro parlare sgrammaticato, il venir meno della fraternità universale, la Parola è davanti a noi e continua a parlarci, a interpellarci per spingerci a cambiare direzione. Ci sollecita ad aprire una porta nella prigione in cui ci siamo autoreclusi con l’intenzione di tenere fuori gli altri. La Parola di Dio ci ricorda chi è il Dio in cui crediamo. E quando lo ritroviamo, insieme a Lui ritroviamo la sua ampiezza, il suo amore sconfinato; e allora sentiamo urgente il bisogno di metterci in gioco, di andare incontro all’altro, senza paura di perdere la nostra singolarità.
Abbiamo una Parola che testardamente continua a cercarci. Ci chiama per liberarci dalle nostre chiusure e rimetterci in un orizzonte più ampio. E lo fa ricordandoci una cosa così semplice che può capirla anche un bambino: Dio è padre di tutti e ama tutti perché tutti sono suoi figli, sue figlie. E se tutti sono i suoi figli e le sue figlie, noi siamo fratelli tutti! È in questo orizzonte teologico che costruiamo l’incontro con l’altro, che impariamo a scoprire come ricchezza la diversità. I fratelli non sono tutti uguali, ma hanno la medesima dignità di figli e figlie di Dio.

 Eravamo stranieri

Il dialogo tra le diverse religioni domanda, certo, strumenti adeguati, alfabeti, luoghi e tempi lunghi per conoscere l’altro, andando oltre i giudizi stereotipati. Ma, insieme, chiede un atteggiamento di fiducia e ascolto che noi cristiani apprendiamo dalle Scritture. È la Parola stessa che ci spinge al dialogo inter-religioso, mostrandoci come Dio opera nell’altro, come è presente in territori a noi sconosciuti. È per fedeltà alle nostre Scritture che ci apriamo. Non tradiamo la singolarità del Cristo, se ci mettiamo in ascolto di come Dio sia presente e agisca in altre tradizioni religiose. Piuttosto, tradiamo Cristo quando lo riduciamo a marcatore identitario da contrapporre all’altro. Il modo singolare, insostituibile, del Cristo, nel rivelarci il volto di Dio, ci invita a ritrovare lo stupore dei primi tempi, di quando eravamo stranieri e ci siamo sentiti accolti, di quando pensavamo di non essere amati e abbiamo scoperto di essere preziosi agli occhi di Dio.
Si apre così la porta che ci permette di uscire dalle barriere mentali in cui ci rinchiudiamo. Conoscere la larghezza dell’amore di Cristo, di cui ci parla la Scrittura, per sentire che siamo parte di un tutto più grande. Con ogni creatura umana, come con l’intero creato, ci lega un vincolo di sangue, un medesimo respiro: il soffio di Dio, Padre di tutte le creature del cosmo come di ogni essere umano. È il suo Spirito che restituisce il respiro a noi, ancora in preda all’affanno, preoccupati di distinguerci dagli altri. È lo Spirito che ci fa udire la sua voce, anche per bocca di chi crede diversamente da noi, essendo anche lui figlio dell’unico Dio. È lo Spirito che ci fa cantare, liberandoci dalla paura come dagli scrupoli insani, donandoci pienezza di vita in ogni istante. Non soffochiamo questo Spirito! 

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Segnaliamo
Lidia Maggi – Angelo Reginato
Liberté, égalité, fraternité. Il lettore, la storia e la Bibbia
Claudiana, Roma 2014