Seduto con le mani in mano sopra una panchina fredda del metrò, sei lì che aspetti quello delle sette e trenta chiuso dentro il tuo paltòt, un tizio legge attento le istruzioni sul distributore del caffè ed un bambino che si tuffa dentro ad un bignè e l'orologio contro il muro segna l'una e dieci da due anni in qua, il nome di questa stazione è mezzo cancellato dall'umidità, un poster che qualcuno ha già scarabocchiato dice "Vieni in Tunisia", c'è un mare di velluto ed una palma
e tu che sogni di fuggire via e andare lontano, lontano…

a cura della Caritas diocesana di Bologna

 On the road again

Ciò che blocca, ciò che muove… cos’è?

 IL TE DELLE TRE

La voce vellutata di un giovanissimo Claudio Baglioni raggiunge il cerchio dei partecipanti al tè, mentre un’onda musicale malinconica ci investe.

Osservo Maura canticchiare concentrata e ad occhi chiusi, ma non appena l’ultima nota della canzone evapora nel silenzio, lei si riattiva di botto, carica di energia: «Abbiamo ascoltato Poster di Claudio Baglioni, l’avete riconosciuta, vero? Il tema di oggi è questo: pellegrini, migranti e stanziali. Che c’entra? direte voi. La situazione del protagonista della canzone potrebbe non esserci poi così estranea. E allora, mi e vi chiedo: chi o che cosa nelle nostre vite ci ha tenuto incollati alla panchina? Chi o che cosa ci ha aiutato ad alzarci e a partire per il nostro viaggio personale? E ancora: ci è capitato di dare la spinta a qualcuno perché riprendesse la sua strada? Ed ora: a voi la parola!».

 Dentro ed altrove

«Io ho viaggiato molto poco nella vita, solo Francia e Spagna, poi stop», rompe il ghiaccio Maurizio, «ma poi ho scoperto che potevo viaggiare dentro di me e vi dico la verità: io mi sento un viaggiatore per questo, sto realizzando questo viaggio per diventare ciò che sono realmente e questo è anche il mio sogno. Però ho sperimentato che visitare altri luoghi è bellissimo e ti aiuta anche a trovare te stesso: alla fine scopri chi sei solo se conosci persone ed abitudini diverse dalle tue. Più entri in realtà diverse dalla tua e maggiore è la conoscenza di sé: solo il diverso ti completa».
«Questa è anche la mia esperienza», si collega subito Barbara, «Io sono educatrice in un nido e quest’anno ho partecipato ad uno scambio. Sono andata a visitare un servizio simile a Berlino. L’esperienza è stata intensa per me: mi son resa conto di colpo di aver perso ogni mio riferimento abituale, ma, dopo un primo momento di disorientamento, ho cominciato a scoprire di me nuovi aspetti, che non avevo notato prima. Ad esempio ho compreso che è la paura a tenermi attaccata alla panchina. Particolarmente temo il giudizio che gli altri hanno su di me e su ciò che faccio. Questo è il mio agente immobilizzante».
«Io ho vissuto per quattordici anni una relazione con una persona», interviene Carla, la voce bassa di chi sta per fare una confidenza, «e negli ultimi cinque anni avevo perso la fiducia e la stima in lui. Non eravamo sposati e non avevamo nemmeno dei figli, eppure non riuscivo a cambiare quella situazione che non mi andava più bene. Ho persino litigato con la mia famiglia che da fuori vedeva bene la mia infelicità e insisteva perché lo lasciassi. Sono stati anni molto duri per me, mi rendo conto ora che ero sotto il ricatto della compassione: il dolore degli altri mi fa malissimo e sapevo che avrei provocato in lui una ferita profonda. Ad un certo punto però ho capito che questa relazione mi stava portando via la voglia di vivere, mi stava uccidendo pian piano e questa consapevolezza mi ha dato la forza di reagire. Solo ora, guardando indietro, riconosco che non sono stata debole, ma forte. Ho intrapreso da sola il mio viaggio di salvezza».

 Muoviti, muoviti

«Io penso che il sogno sia il motore del movimento», riflette Carlo a voce alta, «Ma prima ancora del sogno, c’è un’intuizione, un’idea. Poi però per agire non basta, serve anche determinazione e impegno».
«Sono d’accordo anch’io con Carlo», ribatte Francesco, convinto, la voce disturbata da un respiro corto, affannato, «La molla di ogni movimento sono sempre gli obiettivi che ti dai, senza quelli avremmo una vita davvero piatta. Io so bene di essere ammalato: in soli dieci giorni sono stato ricoverato d’urgenza due volte, eppure, se hai un traguardo anche piccolo, la salute può non condizionarti. Io sono uno piuttosto chiuso, sono molto autonomo, perciò faccio fatica ad aprirmi agli altri, ma questa volta ho scoperto che è bello farsi aiutare, se serve. Devo dire grazie a Nicoletta, una volontaria, che mi è stata particolarmente vicina. È stata lei la mia molla per ripartire. La sua presenza mi ha dato tanto coraggio per andare avanti. A volte non serve molto, anzi penso che siano proprio i piccoli traguardi a farti ricordare che la vita è bella, ma questi piccoli obiettivi siamo solo noi a doverli trovare anche nelle difficoltà. Per me, questa volta, si è trattato di rinunciare all’orgoglio che ti spinge a fare tutto da solo…».
«Anch’io ho uno stato di salute molto precario», comincia Ivano, gli occhi lucidi, la voce spezzata. La sua commozione rende il nostro ascolto ancora più profondo e il cerchio lo abbraccia in un’intimità affettuosa. «Siccome di notte non riesco sempre a dormire, mi son messo a scrivere i miei ricordi, anche saltando di palo in frasca. Sì, sto scrivendo questo viaggio fra le pieghe della mia memoria: ho bisogno di ricordare e vorrei lasciare la mia traccia. Ho incontrato così tante persone, vissuto tante situazioni… e sapete? Della mia storia ho già scritto anche il finale, il vero finale intendo. Sapete perché posso scriverlo? Perché agli amici non si dice mai addio, ma sempre arrivederci. Allora in questo sogno ci sono io che parto dalla stazione centrale, salgo sul treno e ritrovo il mio antico amore, che ho perduto: so che è lei, ma le chiedo ugualmente il suo nome…perché il mio nuovo sogno ha bisogno di un nome…».
Maurizio si rivolge a Ivano, gli occhi brillano di una luce speciale: «Per me tu Ivano hai già vinto tutto! Chi non sogna è un perdente, ma chi mantiene un desiderio profondo e continua a sognare vive davvero. Bravo, bravissimo: tu sei riuscito a non mettere limiti ai tuoi sogni e sei già capace di volare!».
«Anche io ti devo dire grazie, Ivano», interviene Biagio, con il suo fare sempre un po’ burbero, «È grazie a te se oggi conosco meglio la mia città… adesso addirittura tifo per il Bologna! Ma per quanto riguarda i sogni, non so…io sono nato in una famiglia in cui nessuno mi ha regalato nulla, figuriamoci un sogno! Noi dormivamo in tre in un letto ed eravamo poveri di tutto… che sogno mai potevamo avere? Ma da bambino, in segreto, sognavo anch’io: avrei voluto diventare un pilota d’aerei per guardare il mondo dall’alto e conoscere tanti posti!». 

Ci vediamo all’incrocio

«È bello sognare, certo», si fa avanti Lidia, «ma poi quel sogno deve verificarsi nell’impatto con la realtà, perciò a volte può essere difficile. Si parte con un sogno, ma poi la realtà della vita ti rimette seduta su una nuova panchina… l’obiettivo vero allora sarà scoprirsi felici nell’incontro fra sogno e realtà».
«In effetti ci può essere un grande pericolo anche nel realizzare i propri sogni», dice Carla come a proseguire il filo del pensiero critico, «A volte si lotta così tanto per i propri sogni, che quando li realizzi possono diventare una gabbia e finire per bloccarti di nuovo. Vivi solo di quello e per quello, così facendo perdi di vista il fatto che c’è tanto altro al di là e al di fuori. Per me prima c’era solo il lavoro, era ciò che desideravo fare e mi appassionava, ma oggi ho capito che per me conta molto di più vivere e godersi il presente. Vivere la giornata e gustarsi i piccoli piaceri delle amicizie».
«Beh, in effetti io mi son sempre alzato dalla panchina per necessità…», sottolinea Leone sorridendo.
«Io ho molti sogni che non sempre realizzo», ed è la voce di Maura ad attraversare il cerchio, «ma li tengo tutti: che si realizzino o no, per me l’importante è averli».
Il pomeriggio si chiude e, alzandoci dalle sedie per il nostro rito dell’abbraccio finale, una sola parola leggo sul volto dei presenti: grazie!