Questa volta Maura ci stupisce con una canzone dialettale bolognese. La voce simpatica del cantautore Fausto Carpani si diffonde nella sala e noi tutti ascoltiamo divertiti le assurde e tragicomiche avventure di “Batéssta el ciapinéssta”, che sarebbe come dire “Battista l’aggiustatutto”.

a cura della Caritas diocesana di Bologna

 Chi fa da sé è senza te

La solidità molteplice del “noi”

 IL TÈ DELLE TRE

Battista è un gran pasticcione e un presuntuoso di prima riga:

dovendosi operare di ernia, decide di far tutto da sé, incorrendo ovviamente in un ricovero d’urgenza o quando, volendo risparmiare, aggiusta con il fil di ferro la dentiera della moglie, costringendo la povera Cesira a mangiare solo liquidi per un mese. Per non parlare della volta in cui fa saltare in aria la sua casa, nel maldestro tentativo di aggiustare la caldaia. E quando infine, ormai morto, vittima di uno dei suoi pazzi progetti e diretto al camposanto nel cordoglio di amici e parenti, l’addetto al carro funebre lo sente mormorare da dentro la bara: «Mocchè mocchè necrofori! La fossa me la scavo da me!».

 Chi sostiene la fiducia?

Mentre le risatine e un po’ di confusione (non tutti conosciamo il dialetto bolognese!) si placano nel cerchio, Maura ci spiega: «Battista credeva in sé, forse anche un po’ troppo. Lo spunto di oggi è questo: durante la vita, particolarmente nei momenti complicati, che cosa ci ha veramente sostenuto? La fede in Dio, nella scienza o in noi stessi? O forse questi elementi si sono intrecciati?».
«Mio marito è nato con un difetto cardiaco congenito, ma non voleva assolutamente operarsi, aveva paura…», interviene pacata Serena, gli occhi pieni di azzurro ed i capelli candidi, «Quando finalmente si è deciso a fare questo passo, il posto per operarsi non c’era ed è entrato in una lista di attesa che si è rivelata lunghissima. Ha aspettato l’operazione per due anni. E quando poi l’hanno chiamato e si è sottoposto all’intervento, scoprimmo che il suo chirurgo era appena rientrato da un anno di praticantato negli Stati Uniti per specializzarsi in una tecnica all’avanguardia proprio per la risoluzione di quel tipo di difetto cardiaco… capimmo allora che quell’attesa – per noi faticosissima – fu invece provvidenziale. Io mi son convinta che in realtà Dio usa gli esseri umani per intervenire, ma qui anche la scienza fu d’aiuto. Chi avrebbe potuto immaginare che quel tempo “perso” potesse invece rivelarsi un alleato formidabile per quella situazione di crisi che stavamo vivendo? Ma vi dirò di più: io credo che si debba aver fede nella vita, che è qualcosa di grande e che racchiude un po’ tutto».
«Vi confido che è difficile per me questa domanda», dice Carla riflettendo ad alta voce, «Ho avuto tanti momenti difficili: nel periodo delicatissimo dell’adolescenza, mi ha aiutato senza dubbio mio padre. Poi, più avanti, il lavoro mi ha certamente sostenuta. Ancora oltre, ho vissuto un momento, dopo il mio divorzio, in cui l’appartenenza ad una comunità mi ha sorretta e dato speranza, anche se poi ho scelto di uscirne… Oggi continuo a cercare una comunità della quale far parte, ma, ora che non sono più tanto giovane, sono più me stessa e comprendo meglio che sono proprio io a dovermi sostenere. Perciò mi impegno come volontaria nel mondo del sociale: questo è il mio modo di aiutarmi».

 Come una terapia

«Mi ritrovo molto in quello che dici, Carla», condivide Francesco, «Tutto cambia nel tempo, perché noi cresciamo ed affrontiamo in modo diverso ciò che ci accade. In questi tempi durissimi, non vi nascondo che il mio rapporto con l’assistente sociale è ciò che mi tiene a galla».
Una “seconda” Carla prende la parola: «Se penso alla mia vita, ci sono state tante persone che, in periodi ed in situazioni diverse, hanno saputo vedere ed accettare la mia fragilità, la mia fatica… ma hanno anche saputo vedere oltre a questo: hanno riconosciuto, proprio grazie alla mia debolezza, il mio valore e in qualche modo me l’hanno restituito integro. Ecco, io mi sono appoggiata a questi “maestri di vita” per restare in piedi nei momenti bui. Capisco ora di essere stata molto fortunata».
«Io credo molto in quella frase che Gesù dice in diverse occasioni: “Va’, la tua fede ti ha salvato”», è la voce di Didi a farsi strada nel cerchio, «Ma la intendo in senso ampio. Ho vissuto una fase in cui io non riuscivo ad aver fiducia in nessuno e stavo molto male, poi ho scoperto che aver fiducia era una potentissima medicina per star bene. Allora credo che questo sia il mio ancoraggio più importante oggi: avere fiducia!».
«Quando ero più piccola, mi chiedevano spesso se credessi in Dio», ci confida la giovane Irene, «ma ad un certo punto ho capito che non credevo in Dio, né in qualche altro tipo di realtà metafisica più grande di noi. Forse credevo semplicemente nella vita in sé. Poi però mi sono ammalata, stavo molto male e nessuno capiva perché stessi così male. Dopo tanto soffrire, è arrivata una diagnosi chiara e da quel momento in poi sono stata molto meglio. Quella diagnosi mi ha aiutata a focalizzare e a ripartire, a far nuove amicizie, anche. Allora la mia fiducia è ancora lì, in quella scienza che ha saputo “leggermi” e “capirmi” e che anche adesso guida il mio cammino di guarigione…».
«Io ho cominciato a star meglio e a superare le mie difficoltà, quando ho dato piena fiducia a qualcuno», interviene Maurizio con dolcezza, «Va bene credere in sé stessi, però se credo solo in me non serve per stare bene: serve essere sempre in relazione continua con gli altri, altrimenti la fiducia non esiste per davvero e non si può nemmeno costruire».
«Be’ certamente siamo fortunati se incontriamo qualcuno che valorizza ciò che siamo e i talenti che abbiamo, senza invece enfatizzare le mancanze e le fragilità» commenta Carlo. «Io ho avuto la fortuna di incontrare persone capaci di questo, che si sono anche aperte con me e si sono raccontate: hanno messo a mia disposizione la loro esperienza e questo è stato un grande aiuto. Poi però dobbiamo ammettere senza vergognarci che a volte servono proprio le medicine per attraversare certe crisi».

 Abbracciati oscillare

«Dalle esperienze vissute in passato, oggi sono sicuro che devo credere in me stesso ed amarmi, per credere negli altri ed amarli» si apre Paolo. «Io ho fede: non è un caso che Gesù, per guarire chi incontra, chieda sempre una loro “collaborazione”, un loro cambiamento: Lui rimette sempre in gioco le persone, le fa diventare protagoniste! La scienza poi per me è fondamentale, ma è solo uno strumento e non va trasformata in idolo: è anche importante darle dei limiti. Per questo alle parole fiducia e fede, io do un “peso diverso».
«“Aiutati che il ciel ti aiuta”», conferma Sara, «Ecco, il Cielo mi ha aiutata quando io ho preso alcune decisioni. Ad esempio, le cose son cambiate per me, quando ho scelto di andare in terapia. Certamente l’ho fatto solo quando mi son sentita pronta. Prima attendevo che gli altri intorno a me cambiassero o mi capissero o smettessero di ferirmi… poi ho compreso che stavo solo perdendo tempo: ero io a dover cambiare. Così, piano piano, anche grazie alla terapia, mi sono scoperta più libera e ho preso altre decisioni, e quelle persone negative le ho lasciate andare».
«Nel vuoto, per me l’appiglio principale sono solo le relazioni: quelle restano decisive», sintetizza Marcello con sicurezza, «I momenti più brutti, nei quali davvero si rischia tutto, sono quelli in cui perdi la fede e la fiducia nelle relazioni».
Il pomeriggio si chiude con il nostro solito “rito”. Ci alziamo tutti in piedi, ci abbracciamo stretti e in cerchio cominciamo ad oscillare a destra e a sinistra, lentamente. Se oscillassimo soli, cadremmo. Uniti, in relazione ed insieme, possiamo superare gli urti della vita. Mi viene da pensare che, forse, aver fiducia in Dio, in noi stessi e nella scienza altro non è che aver fiducia in questo “noi”, in questa umanità oscillante… e allora, in tempi tanto difficili, restiamo abbracciati.