«Benvenuti a tutti!» Maura oggi parte con un po’ troppa spinta nella voce ed io, che ormai la conosco, sospetto ci sia qualcosa che le crea preoccupazione «conoscete già il tema che ci accompagnerà tutto l’anno: quello del pellegrinaggio. Sapete anche che abbiamo già deciso di tradurlo con il concetto dell’andare, del muoversi. Oggi quindi cominceremo ad addentrarci in un argomento ancor più specifico ed essendo la rivista per la quale pubblichiamo Messaggero Cappuccino, capite bene che i frati ci fanno partire dal lato religioso. Il tema è la Chiesa pellegrina nel mondo… però voi non vi spaventate, eh! Mi raccomando!».
a cura della Caritas diocesana di Bologna
E voi chi dite che io sia?
La Chiesa di Dio nelle parole degli uomini
IL TÈ DELLE TRE
Maura si guarda intorno sorridendo e raccoglie di rimando sorrisi un po’ interdetti.
In effetti, per i partecipanti al tè, quello di oggi potrebbe essere un argomento difficile, se non proprio ostico. Ma è evidente che Maura ha già in mente un piano per traghettarci tutti al sicuro in una zona di pensiero più familiare.
«Ora facciamo così» dice alzandosi dalla sedia ed affiancandosi ad un cartellone completamente bianco appeso alla parete. «Se io qui in alto scrivo la parola “chiesa”, ognuno di noi può dire un’altra parola che sentiamo collegata. Così in libertà, senza neanche rifletterci troppo. Qualsiasi parola va bene. Partiamo?».
I partecipanti al tè non si tirano indietro e, con un giro velocissimo, le parole si incolonnano una dopo l’altra sul foglio: aiuto, rifugio/riparo, comunità, contraddizione, parola, fratelli e sorelle, potere, bicicletta, capolavori d’arte, tornello, anima, canto/musica, regole, diversità, compromesso, giudizio, casa, freno, accoglienza, rito, libertà.
Dalle regole all’ arte
«Ottimo! Bravissimi!», dice Maura soddisfatta rimirando la torre di parole, «Adesso, chi vuole, può partire a spiegare perché gli è venuta in mente proprio quella parola lì e quale esperienza c’è dietro».
«Io sono stata in collegio proprio nel periodo che si è passati dalla messa in latino a quella in italiano», parte Carla, «per questo il cattolicesimo per me è legato alla parola regole. Mi ricordo che da piccola, mi colpiva tantissimo vedere le suore che stavano tanto tempo in adorazione: le guardavo e proprio non capivo. Ricordo anche la messa in latino: ne comprendevo solo qualche parola. Ma quell’esperienza evidentemente mi è rimasta dentro. Anche oggi mi rendo conto che vado a messa proprio per sentire delle parole e trovo parroci capaci di leggere il vangelo attraverso parole che sento attuali ed utili per me. Non sempre succede, eh… cambio spesso chiesa per sentire voci diverse. Ma adesso che ci penso, anche questo in fondo è un cammino, un pellegrinaggio di speranza, non credete?».
«Io ho detto bici», interviene Biagio, «perché la Chiesa è così: devi pedalare, pedalare, pedalare… non esiste un traguardo, non è una gara. L’importante non è vincere infatti, ma partecipare. Mica tutti riescono a diventare santi, ma io – che proprio santo non sono – mi dico che va bene così. Però il trucco è che devi continuare a credere e ad aver fede in quello che fai e vivi indipendentemente da dove arriverai, tanto l’ultimo vale come il primo. Forse ci sarà pure una meta – in effetti per chi va in bici è importante – ma in questo caso devi sapere che dove arriverai su questa terra non è importante, non varrai più degli altri per questo. Il paradiso non è una multinazionale e Dio non è un CEO! Pedalare sì, ma senza graduatorie».
«Io ho detto arte», fa Maurizio, «perché la Chiesa è nata per far circolare il bene ed ha capito subito che il bene va a braccetto con il bello. Pure i greci l’avevano capito; loro pensavano che bello fosse proprio uguale a buono ed io sarei d’accordo anche con loro. Una persona buona ama il bello ed il buono, ama la vita. Ma chi è malvagio non ci riesce. L’arte ti sorprende sempre e, quando anch’io dipingo, provo sempre meraviglia».
Poi, dall’ aiuto alla libertà
«Da noi invece c’è la moschea che poi è come la vostra chiesa, non ci sono tante differenze», interviene Aziz sempre pacatissimo, «da noi come da voi, si va in moschea per essere aiutati dai fratelli, ed io per questo ho messo la parola aiuto: qui la Chiesa mi ha aiutato tanto. In moschea ci vanno i bimbi per imparare la fede; ci si va per conoscere nuove persone e, proprio come da voi, ci sono anche dei problemi. Anche da noi c’è un’arte: non ci sono immagini, ma ci sono delle parole scritte in modo bellissimo e quelle parole servono proprio per mostrare la strada alla gente, per tracciare un cammino…».
«Dicendo la parola tornello volevo descrivere il mio atteggiamento», si fa avanti Didi, riflettendo a voce alt, «Io tendo a restare in questa dinamica dell’entrare e dell’uscire. Vivo la Chiesa in modo contradditorio. Ecco, mi sento un po’ come un figlio adolescente nei confronti della propria famiglia. Nei miei confronti, da parte della Chiesa, c’è stato un rifiuto ma c’è stata anche tanta accoglienza, quindi credo importante arrivare a perdonarla come ho fatto con la mia famiglia».
«Io credo di aver risolto questa difficoltà del dentro/fuori, sai?», interviene nuovamente Carla, di supporto, «A me è servito tanto pensare che non dovevo per forza scegliere se dentro o fuori. Perché dovrei farlo? Ad un certo punto ho semplicemente accettato che non serviva dichiarare una mia appartenenza di qualche tipo: potevo semplicemente continuare a cercare e a pescare le parole. Ora essere dentro o fuori non mi interessa proprio più, mi interessa solo avere dei valori».
«Io invece sono dentro la Chiesa… letteralmente», si fa avanti Leone con la sua solita ironia, «nel senso che abito proprio dentro una chiesa. Sono ospite lì, ma ho detto la parola libertà perché nessuno mi ha mai obbligato a seguire la vita della comunità, sono invece sempre stato lasciato libero di scegliere e per questo per me la Chiesa è soprattutto senso della libertà. Ho proprio sentito che mi veniva incontro in questo modo. Vengo dal sud Italia e ammetto che giù è molto diverso però! Se lì non vai in chiesa, tutti ti guardano male, ma qui, per fortuna, non interessa!».
Infine, dall’ anima alla contraddizione
«Pensate: tutto per me è cominciato con l’idea dei miei nonni i quali credevano che bisognasse andare in chiesa per salvarsi l’anima», è Barbara a parlare, «ed è ricordando questo punto di partenza che sul cartellone ho riportato proprio quella parola. Ma oggi invece io posso dire “senso di appartenenza” perché la vita di comunità mi ha regalato una prospettiva di vita tutta diversa, mettendo dentro al mio finito l’Infinito ed io mi sento grata per questo».
«Anche io avevo due parole», è il turno di Sara, «avevo in mente sia guerra che canto. Ma poi ho detto canto per scelta. Sono nata in una famiglia che mi ha dato quell’esperienza, ma è vero che ad un certo punto ho dovuto scegliere io, personalmente. È quello che tu fai, alla fine, a costruire i contesti. Io ho scelto di restare perché ciò che crea coralità è bellezza: questo mi fa stare bene. Alla fine è ognuno di noi che sceglie da che parte stare: dalla guerra o dal canto».
«La mia parola è contraddizione», ed è la voce di Marcello che irrompe nel cerchio. «Vorrei vedere una Chiesa efficace dal basso: più san Francesco e meno potere, per intenderci. Ammetto però che quando ero in difficoltà serie, mi son trovato a tornare verso la Chiesa e anche verso la preghiera: la trovo davvero una pratica affascinante. Vi chiedete se un barbone prega? Eccome se lo fa! Notti interminabili a sperare che non escano topi dal tombino o scorpioni dall’immondizia e quando cadi sfinito nel sonno, che altro puoi fare se non pregare e sperare? Ho scoperto la preghiera per paura, è vero. Però ho imparato ad apprezzarla molto, perché mi aiuta ad entrare in contatto con me stesso e con Dio. Mi son ricreduto perché ne ho scoperto la ricchezza».
«Ma sai, Marcello, che ti capisco? Io ad esempio non so pregare, ma amo moltissimo la musicalità del rosario», ribatte Carla, «e se penso alla Chiesa che vorrei, la immagino come un immenso banchetto di parole provenienti da ogni fede, dove tutti siamo invitati a spiluzzicare liberamente quello che vogliamo».
Maura si guarda intorno e sorride. Ecco qua la Chiesa pellegrina.