«Sono Savio Sacconi, ragazzo di 27 anni, laureato in storia e appassionato di fantasy, cibo e avventure. Mi è stato chiesto di scrivere cosa il mio camminare con i frati della pastorale giovanile mi ha lasciato. Non sapendo bene da dove partire, credo comincerò dall’inizio: il mio primo rapporto coi frati fu ad un capodanno di cinque anni fa».

a cura di Michele Papi

 Niente è più come prima

Che sapore ha una vita uggiosa?

 di Savio Sacconi
giovane di Reggio Emilia

 Fui invitato da un caro amico in un momento della mia vita in cui tutte le esperienze che facevo e la maggior parte delle amicizie che avevo condividevano la stessa sensazione di “piatto grigiore”:

nulla mi emozionava davvero, nulla mi pareva aver senso, al futuro non ci pensavo e andavo avanti per la mia vita come una macchina. Onestamente, non ero neanche così entusiasta di andare fino ad Assisi per un capodanno soltanto, ma ormai avevo dato la mia parola e partii. Furono due giorni intensi, dove oltre alla conoscenza di nuove persone e ai festeggiamenti, vennero proposti anche alcuni momenti di preghiera e riflessione tenuti da un frate.

 I frati che s’imprimono

E che dire, furono quei momenti a rimanermi impressi fino al giugno successivo, quando scrissi allo stesso frate se per caso per l’estate organizzassero qualcosa. Andai da solo, senza conoscere nessuno oltre a quel frate, una settimana di agosto ad Assisi mentre tutti i miei amici andavano al mare a divertirsi, ed io contento della mia “vacanza” alternativa, che affrontavo come il resto della vita: senza pretese e senza troppo entusiasmo, ma con la speranza di trovare altri momenti come quelli del capodanno passato. Durante questa settimana fra Valentino, fra Michele e fra Francesco, i tre frati responsabili del campo, riuscirono a farmi prendere coscienza delle domande che avevo su di me, sul mio futuro e sul mio rapporto con Dio. Alcune di queste erano state sapientemente sepolte da me medesimo sotto un enorme strato di nulla; altre aspettavano solo un poco di luce per venire allo scoperto. E i frati, coi loro discorsi e il loro modo di fare, le portarono tutte a galla con una forza dirompente.
Rimasi affascinato tra l’altro dal loro modo di essere: a differenza di altre persone della loro età (e, ad essere onesto, anche della mia) loro mostrarono una gioia che non sembrava di questo mondo e spesso ci invitarono ad avere speranza in un futuro su cui scommettere. “Frati e suore, alla fine, sono persone normali” pensai, ma la verità è che erano più che persone normali.
Da allora cominciai a frequentarli in maniera più regolare, con i ritiri mensili per soli ragazzi e con le catechesi settimanali delle Dieci Parole. Ogni uscita, ogni chiacchierata un’occasione nuova per far luce su me stesso. Personalmente fui “pulito” da una certa visione del cristianesimo molto più simile a quella di un’ideologia che di una fede vera e propria e da un’immagine di Dio che poco aveva a che fare con il Signore morto per noi. Mi insegnarono la bellezza della preghiera di lode e dello stare da solo con Dio. Insegnarono forse non è la parola più adatta: è vero che molto fu detto, ma molto mi venne passato anche solo attraverso l’esempio.

 Qualcosa di altro in mezzo

Ma i frati non furono l’unica cosa che scoprii in quella settimana meravigliosa. A Villa Eteria conobbi infatti altri ragazzi e ragazze della mia età! Ragazzi e ragazze che, come me, vedevano nella nostra fede non qualcosa di superfluo, che come un cappotto si potesse togliere o indossare a seconda delle esigenze del momento, ma qualcosa di fondante. Ma anche ragazzi e ragazze che si erano allontanati dalla fede o che si stavano allontanando e che avevano deciso di “sfidarsi”. Fu una vera benedizione per uno come me che, fino ad allora, aveva vissuto la sua vita spirituale abbastanza in solitudine. Mai mi era capitato di vivere in così poco tempo delle emozioni così profonde e di formare dei legami così forti con delle persone conosciute da qualche giorno appena. I discorsi fatti con loro, le camminate, i pasti: qualcosa di altro era in mezzo a noi, una grande gioia accompagnava le nostre fatiche quotidiane. E a percepirlo non fui solo io: finito il campo organizzammo diverse uscite, tra Emilia e Romagna, per poterci rivedere tutti quanti perché, come dissero più o meno tutti a loro modo, le amicizie solite di ognuno “mancavano di sale” e non ci bastavano più.
Con alcune di queste persone poi la relazione fu più stretta che con le altre, com’è normale che sia in un gruppo così numeroso. Assieme affrontammo le nostre (molte) domande, le fatiche di una relazione seria col Signore, i pianti, ma anche le gioie e i traguardi che ognuno di noi raggiunse. Tutti momenti per i quali sono estremamente grato, che mi permisero di vedere il bello di ognuno nelle proprie fragilità e la potenza del Signore nell’accompagnarci. In particolare sono riconoscente per tutte quelle persone che han condiviso con me i loro percorsi di discernimento vocazionale: prima di queste mie estati, vedevo la vocazione religiosa come qualcosa di distante e “per pochi eletti” e quella matrimoniale come la via normale. Grazie a loro, e ai frati, ho potuto invece farmi parecchie domande sulla mia strada, scoprendo la bellezza intrinseca tanto del matrimonio quanto della consacrazione religiosa, lasciando indietro quei vecchi pregiudizi. Dio, infatti, non sceglie i migliori per sé: siamo tutti preziosi ai suoi occhi, e non lascerà che la vita di alcuno sia sprecata, sia esso un monaco di clausura, una suora o una coppia di sposi.
Dopo il primo anno mi ripromisi di dedicare sempre una settimana della mia estate ai campi organizzati dai frati cappuccini dell’Emilia-Romagna, che han continuato ad arricchirmi con amicizie e situazioni nuove, dal ritiro semplice agli esercizi spirituali, dai lavori con la pala e il piccone in mano fino all’accoglienza nei confronti di persone con disabilità. E tutte le volte, nonostante cambiassero magari i ragazzi o gli organizzatori, lo stesso miracolo si ripeteva: Dio trovò sempre un modo per sorprendere me e tutti gli altri, per mostrarmi un nuovo lato di sé.

 In soldoni

Ora, in soldoni, cosa mi ha portato lo stare coi frati? Anzitutto mi ha aiutato tantissimo a decentrarmi, a mettere l’altro (e, soprattutto, l’Altro con la maiuscola) al centro. Mi ha liberato dal mio “essere fariseo”, da una religione fatta di “No” invece che di “Sì”. Mi ha poi permesso di vedere un lato nuovo di Dio, quello del Padre buono che si prende cura di ognuno di noi. Mi ha insegnato a prendere sul serio i miei sogni e i miei desideri, e scoprire la bellezza e le difficoltà delle vocazioni tutte. Mi ha fatto scoprire un lato della Chiesa che non conoscevo, quello dei cappuccini in primis, ma anche quello più femminile come le suore o le monache di clausura che abbiamo avuto il piacere di incontrare. Mi ha fatto compiere esperienze incredibili di condivisione, come i cammini e le visite ai luoghi importanti del francescanesimo, le settimane passate assieme e di servizio, come quello prestato alle monache a Gubbio o agli ospiti con bisogni speciali del bagno a Punta Marina della scorsa estate. Mi ha fatto conoscere persone meravigliose, molte delle quali ora incredibili amici su cui so di poter contare e di potermi appoggiare nei momenti di bisogno.