Tra i luoghi più significativi visitati dai pellegrini in Turchia, Iznik, l’antica Nicea, è particolarmente emozionante, perché, esattamente 1700 anni fa, fu la sede del primo Concilio ecumenico della storia, durante il quale furono affrontati temi ancora attuali.
a cura di Saverio Orselli
Nell’Uomo il Dio che non ti aspetti
Il Concilio di Nicea del 325
di Paolo Raffaele Pugliese
frate cappuccino, patrologo, delegato per la Turchia
Gesù chiede ai suoi discepoli: voi chi dite che io sia?
Questa domanda è fondamentale per chiunque si accosti alla figura di quel maestro di Nazaret di circa 2000 anni fa. Una volta incontrato bisogna prendere posizione. Chi è? Il primo comunista? Un superfigliodeifiori? Un rivoluzionario? Un poeta? Un profeta? Un saggio?
Le premesse
I testi del Nuovo Testamento sanno tratteggiare un ritratto abbastanza complesso di un uomo, pienamente uomo, che nasce, cresce, soffre, dorme, si arrabbia e sa giocare con i bambini, piange, e muore. Ma parlano anche di un bimbo senza padre, nato da madre vergine, che ha fatto cose fuori dal comune, fino a far risorgere dei morti, e soprattutto ha sempre parlato di suo padre, Dio, che lui conosceva come nessun altro. La sua risurrezione e ascensione al cielo sono l’apice di quest’intimità col Divino.
I suoi discepoli hanno parlato di lui come uomo e come Dio. Ma le generazioni seguenti hanno faticato a comprendere questa strana ambivalenza: se uomo, come fa a esser anche Dio? Può Dio divenire carne? Può Dio avere ferite sulla pelle e morire? Nella storia, questi dubbi hanno dato luogo a molteplici interpretazioni. Il dibattito si è prolungato per decine di anni, perché la sua persona sfugge a ogni tentativo di afferramento. Il punto iniziale della fede in Cristo è necessariamente un abdicare alla pretesa di comprensione del Divino.
All’inizio del IV secolo, un prete attempato ben noto nella città di Alessandria, capitale della cultura del mondo antico, iniziò a sostenere che quell’uomo, il Cristo, fosse certo una creatura straordinaria, ma appunto una creatura, e non di più: la frase con cui esprimeva questo concetto era «ci fu un tempo in cui non esisteva». Il Patriarca della città egiziana, Alessandro, inizialmente non voleva dare adito a un conflitto aperto con il suo presbitero, ma poiché Ario, in modo persuasivo e animoso, continuava a diffondere le sue idee con missive ai suoi influenti conoscenti (tra i quali Eusebio di Nicomedia, amico dell’imperatore Costantino e della sua famiglia) e componendo canzoni per convincere il popolino, si vide costretto a prendere dei provvedimenti, fino a che la diatriba giunse alle orecchie dell’imperatore.
Costantino cercò in un primo momento di provvedere mediante un intervento personale con una lettera, in cui, esortando alla concordia, minimizzava la diatriba: «Dico queste cose non per costringervi ad essere completamente d’accordo su una questione fin troppo sciocca, quale che possa essere». Chiaramente egli non si rendeva conto dell’importanza del tema. Giacchè la faccenda non si quietava, decise di inviare un suo uomo di fiducia, Ossio, il Vescovo di Cordoba, ma anche questi non riuscì a sedare la contesa, allora si fece spazio l’idea di fare un incontro dei vescovi, che potesse mettere chiarezza.
Concilio ecumenico n. 1
Era la nascita della convocazione del primo concilio ecumenico, che in un primo momento doveva tenersi a Ankara, ma che poi, per facilitare la partecipazione dei vescovi orientali e per approfittare di un clima più mite, venne stabilito fosse tenuto a Nicea, oggi Iznik, poco sotto Costantinopoli (oggi Istanbul). Non abbiamo fonti ufficiali del Concilio, al di fuori della professione di fede che ne è uscita, tramandata in numerosi manoscritti, e alcune lettere di Costantino, oltre a resoconti degli storici antichi. Secondo le fonti, i partecipanti furono circa 270, ma presto – con Ilario di Poitiers – si inizia a parlare di 318 vescovi, come i servi di Abramo (cf. Gen 14,14).
Il Concilio si aprì il 20 maggio 325, alla presenza dell’Imperatore, con grande solennità e con un suo intervento iniziale in latino, tradotto in greco. Nel Concilio si ebbero verosimilmente due momenti: uno iniziale di confutazione della dottrina ariana, dichiarata eterodossa rispetto alla fede tradizionale della Chiesa. Poi però il Concilio doveva arrivare a una positiva affermazione della dottrina ortodossa, e questo fu molto più complesso. Secondo una ricostruzione che fa Atanasio circa 25 anni dopo i fatti, gli avversari di Ario fecero fatica a trovare una formula scritturistica che potesse dare ragione della loro fede, senza escludere gli errori di Ario, e dunque si accordarono su un’espressione non biblica che poteva essere condivisa e risultasse inaccettabile per gli ariani: si accordarono sul termine omoousios, ossia “della stessa sostanza”, riferito al Padre e al Figlio.
Il Padre e Gesù, l’uomo di Nazareth, figlio di Dio, sono della stessa sostanza. Per chiarire l’idea di sostanza, affine a quella di natura, potremmo dire che la sostanza di un gatto è quella che lo rende tale, e che da una coppia di gatti non può che uscire un gatto. Così da un umano non può che uscire un umano. Ma nel caso di Gesù abbiamo una sostanza uguale a quella di Dio, quindi egli è pienamente Dio. A questa espressione segue l’espressione poetica-figurativa “luce da luce” a chiarimento del fatto che il Figlio proviene dal Padre come luce da luce: stessa sostanza, e anche se il Figlio è generato, quest’idea non è temporale (ossia non vuol dire che c’era un tempo in cui il Figlio non c’era) ma ontologica (ossia come un raggio di luce è emanato immediatamente dalla sorgente di luce, così il Figlio è senza principio, perché è stato generato da sempre dal Padre).
Affermare che Gesù è Dio è molto audace. Perché al contempo significa che Dio è Gesù. E dunque tutte le dimensioni di impotenza che vediamo in Gesù, appartengono a Dio: Dio non è più quello delle nostre attese, ma quello che vediamo nel Nazareno. Dio non si sottrae ai limiti, al rifiuto, al mettersi da parte. Eppure se Gesù è Dio, allora in tutto ciò che è umano c’è speranza di salvezza, perché nulla dell’umano è stato rifiutato da Dio.Approvata la formula, ognuno dei partecipanti al Concilio venne invitato a sottoscriverla, e Costantino chiarì che chi non l’avesse approvata sarebbe stato condannato ed esiliato. Dopodiché il Concilio si occupò di altre questioni come la data della Pasqua. L’assemblea venne chiusa il 19 giugno, in concomitanza con i festeggiamenti per i venti anni dell’elezione imperiale di Costantino. Una lettera con le decisioni del Concilio venne inviata alla Chiesa di Alessandria, e Ario venne inviato in esilio.
I frutti
La sorte dell’arianesimo sembrava segnata; ma, nel giro di qualche anno, la situazione si rovesciò. Le diverse interpretazioni che la formula nicena aveva provocato in molti esponenti dell’episcopato orientale, non ariani ma neppure fautori dell’impostazione dottrinale del simbolo niceno, costituì la piattaforma che permise prima ad Eusebio di Cesarea e poi, tornato dall’esilio, ad Eusebio di Nicomedia di organizzare un’accorta reazione antinicena. Essi non agirono sul piano ideologico, perché Costantino non avrebbe permesso che si mettesse pubblicamente in discussione il credo di Nicea, ma solo sul piano personale: vari vescovi furono posti sotto accusa, condannati e deposti.
Cosa rimane del Concilio? Abbiamo dei punti critici ma anche delle grandi fonti di luce. Il Concilio è stato indetto dall’Imperatore, che in qualche modo ne ha anche segnato le sorti e l’attuazione, e questo certamente è un dato rilevante e critico, perché narra di una Chiesa fortemente legata e soggetta al potere temporale. Tuttavia il Concilio ha raccolto praticamente vescovi di tutta la Chiesa, in un periodo che precede le grandi divisioni, e dunque è stato veramente un incontro ecumenico, unificante. In secondo luogo il metodo seguito, ossia il confronto dei vescovi sulla base dei temi biblici, letti nella fede delle varie comunità, tratteggia qualcosa di altissimo: la Chiesa procede in dialogo, confrontandosi sul dato biblico e sulla sua comprensione nelle diverse comunità.
Infine il tema principale del Concilio è cruciale: l’accordo sull’identità divina di Gesù è al centro tutt’oggi della nostra fede: pietra di scandalo inaccettabile, ma al contempo punto sorgivo per la nostra speranza, perché solo nel Figlio anche noi, per natura ed essenza umani, possiamo diventare figli.