Al rientro dal viaggio in Etiopia per l’ormai tradizionale campo in missione dal giorno di santo Stefano all’epifania, fra Matteo condivide, con i lettori di MC, le interessanti riflessioni provocate da un incontro sul tema viaggi in missione tra i responsabili dei centri missionari diocesani emiliano-romagnoli, avvenuto a inizio dello scorso dicembre a Bologna, mescolate ai ricordi etiopici ancora caldi.

a cura di Saverio Orselli

 Scopri la missione che ti apre

Dalla teoria alla pratica: i campi in missione

 di Matteo Ghisini
Segretario delle Missioni

Sabato 2 dicembre 2023 a Bologna si è tenuto l’incontro tra i diversi responsabili dei centri missionari diocesani (CMD) dell’Emilia-Romagna, chiamati a riflettere sui campi in missione.

Ospite Alex Zappalà, per diversi anni responsabile nazionale di Missio giovani (fondata dalla CEI), che attualmente lavora per il centro missionario diocesano di Pordenone. È un laico di una quarantina d’anni, sposato e padre.

 In missione, in missione

Sono particolarmente interessato all’argomento, perché organizzo diversi campi all’estero durante l’anno: sono curioso di imparare cose nuove e di verificare con l’aiuto di un esperto il mio operato. Dalla sua ricca esperienza Alex ci racconta che a livello nazionale i campi in missione partono nel 2001 (in Tanzania), anche se qua e là in Italia l’esperienza era già rodata. Per esempio noi Cappuccini già dagli anni settanta organizzavamo campi in missione in Etiopia (Kambatta), poi in Turchia e nella Repubblica Centrafricana negli anni Ottanta e infine in Romania dal 2002 in poi.
Quella prima esperienza nazionale fu giudicata positiva sia dai giovani partecipanti che dai missionari/e che li ospitarono, tanto che fu ripetuta anche l’anno successivo e, di fatto, quasi sempre riproposta nei successivi vent’anni, con ripercussioni e diffusione in molte diocesi. Di fatto oggi è una delle proposte più interessanti e accattivanti per i giovani che desiderano fare una esperienza in missione.

 Più essere che fare

Alex ci ha aiutato a farci diverse domande: che senso hanno i viaggi missionari estivi per i giovani? Quali sono i punti di forza e quali i punti di debolezza di queste esperienze? A cosa sono utili queste esperienze? Non rischiamo di far diventare il CMD un’agenzia viaggi? L’uditorio, composto da una trentina di persone che lavora in Emilia-Romagna nell’ambito missionario, era molto interessato: più o meno tutti organizzavano viaggi in missione. Alex, portando diversi esempi tratti dalla sua storia, ha innanzitutto definito questa esperienza come “viaggio di scoperta missionaria”, sottolineando che non è opportuno chiamarla “esperienza missionaria” e nemmeno insistere che i giovani siano “inviati in missione” per quindici giorni o per un mese, perché di fatto non è così. È un viaggio di scoperta missionaria.
«Ci sono tantissime ragioni per cui ogni giorno ci si mette in viaggio: per lavoro, per studio, per vacanza, per un pellegrinaggio, per inseguire un amore, per realizzare un sogno, per fuggire da una guerra, per tentare una vita nuova», ci ha detto, ricordando che noi viaggiamo per condividere! E il viaggio in missione è una esperienza di discernimento e di spiritualità, di conoscenza della vita missionaria. «È un vero e proprio investimento educativo nei riguardi dei giovani partecipanti, che facendo esperienza di povertà provano a guardare la loro vita da un punto di vista diverso». E ha aggiunto: «Potremmo definirlo anche come un campo di spiritualità missionaria».

 Esperienza lunga e nuova pratica di sobrietà

Alex ha sottolineato che è molto più importante la dimensione dell’essere che del fare. «Fare qualcosa per gli altri è bellissimo ma essere qualcuno per gli altri vale molto di più. Viaggiare per condividere non risponde al verbo fare se questo non è preceduto dall’essere. I ragazzi non vanno a fare qualcosa, non è questa la ragione per cui vanno! Vanno per stare: con i missionari, con la gente, con la comunità che li ospita». Certo in molti campi c’è anche l’aspetto del fare. Per esempio nel nostro viaggio di fine dicembre in Etiopia, abbiamo organizzato la prima settimana di animazione con i bambini dello “Smiling children town” di Soddo, con laboratori di computer, di italiano e inglese, di pittura e di teatro, di piccoli manufatti e con attività ludiche di gruppo. Ma la cosa centrale è lo stare con i ragazzi, il vivere momenti con loro anche di festa, senza attività programmate. Nella seconda settimana abbiamo programmato un meeting con una cinquantina di giovani del Dawro Konta sul tema della pace e riconciliazione, oltreché la visita al carcere di Tarcha, alla clinica di Duga e di Baccio. Con ciò, lo stare con i missionari, il vivere momenti con loro anche di preghiera, di condivisione e di fraternità è stato decisivo.
Alex ha insistito sulla importanza e sulla necessità di un tempo di preparazione, di formazione: si dovrebbero prevedere almeno cinque incontri formativi prima del viaggio, così che il gruppo possa conoscersi e lavorare bene sulle proprie motivazioni. Le tematiche da affrontare sono quelle legate alla mondialità: ad esempio il dialogo interculturale, gli squilibri economici nel mondo, la salvaguardia del creato. I Paesi che ospiteranno i ragazzi vivono questi temi ogni giorno ed è necessario che prendano consapevolezza subito di dove poggeranno i loro piedi.
Un altro punto qualificante coinvolge chi accompagna il gruppo. Poter accompagnare i giovani, dopo averli formati durante il percorso preparatorio è un grande dono che possiamo fare loro.
L’accompagnamento in missione è fondamentale anche rispetto ai missionari/e che ospiteranno i ragazzi. L’accompagnatore, che ha già conosciuto i giovani, deve aiutarli a leggere la realtà giorno dopo giorno, mentre è diverso il ruolo dei missionari che invece sono nel loro luogo di attività e li possono aiutare a conoscere la realtà che li circonda. L’accompagnamento crea un legame speciale con il CMD che porterà i giovani a non allontanarsi dopo aver concluso il viaggio ma a continuare la ricerca proprio in questi contesti missionari.
Alex ci ha illustrato quali siano i punti di forza del viaggio di scoperta missionaria. I giovani fanno un’esperienza di vita che difficilmente dimenticheranno e che porterà frutti che non è facile calcolare, tanto che può rivelarsi un’esperienza propedeutica per discernimenti più grandi. Spesso succede che sono una occasione privilegiata per riscoprire il proprio cammino di fede e di chiesa.
Nell’analisi non sono mancati i possibili punti di debolezza. Gruppi per esempio troppo grandi possono diventare di difficile gestione e ciò può creare malessere e tensione. Si rischia a volte che restino esperienze personali e, al rientro, non vi sia alcuna restituzione comunitaria. Inoltre, senza un adeguato accompagnamento, si rischia che l’esperienza venga letta male e in maniera distorta. Succede anche che, una volta concluso il viaggio, i giovani recidano ogni contatto con il CMD che spesso non ha più nessun altro tipo di proposta.
Rientrando a Imola, mi sono sentito da una parte incoraggiato, riconoscendo che la realtà dei cappuccini in tema di campi in missione ha una lunga esperienza – in contesti diversi come Romania, Turchia ed Etiopia – e diverse delle cose dette le mettiamo in pratica da anni. Allo stesso tempo mi sono sentito stimolato a migliorare, soprattutto nel preparare il gruppo: a volte riduciamo il numero di incontri per il timore di chiedere troppo. In realtà, proprio affinché l’esperienza possa dare maggior frutto, occorre non fare sconti e tenere alta la proposta formativa.
Il primo banco di prova mi attendeva la sera dopo, con uno degli incontri di preparazione per l’Etiopia. Ne ho approfittato per arricchire la formazione con alcuni spunti dati da Alex e che poi ho ritenuto opportuno seguire una volta partiti. Una di queste nuove idee è stata la scelta di terminare sempre la giornata con un cerchio di condivisione su quello che era successo, su ciò che aveva colpito, sulle emozioni e sui pensieri della giornata. A detta di diversi campisti questo stile ha aiutato molto il gruppo nella conoscenza reciproca e nel dare chiavi di lettura comuni alla esperienza. Un altro suggerimento prezioso di Alex che ho adottato, è stato preparare il gruppo già prima della partenza a un uso sobrio di internet una volta giunti in Etiopia. L’invito è stato quello di disconnettersi dai social (Istagram, Facebook,…) per poter vivere appieno la realtà della missione e del gruppo. Ci siamo concessi quaranta minuti al giorno, dopo cena, per utilizzare wi-fi e per dare comunicazione a parenti e amici su come stava andando il viaggio. È stato bello perché wi-fi era in una zona limitata e tutti andavamo insieme a utilizzarlo, cosicché capitava di assistere a video chiamate che diventavano un po' ‘comunitarie’, canzoni che si condividevano, scherzi che partivano e risate di gruppo. Più di un campista ha evidenziato che è stato aiutato da questa pratica di sobrietà, chissà, magari riproponibile anche in Italia. Ora, dopo l’Etiopia, è già tempo di pensare e preparare i prossimi campi: in luglio in Romania, ad agosto in Turchia.