L’enciclica Fratelli tutti si rifà esplicitamente a san Francesco e alla sua spiritualità. Fr. Michele Papi ha riletto l’enciclica in questa chiave per i responsabili delle realtà missionarie diocesane dell’Emilia-Romagna.

a cura di Saverio Orselli 

Per amore di Dio

Essere missionari in spirito francescano alla luce dell’enciclica Fratelli tutti

 di Michele Papi
animatore della pastorale giovanile, vocazionale e missionaria

 Il papa, il Sultano e la Regola

Da subito l’orizzonte della Fratelli tutti si apre a tutti gli uomini di buona volontà e valica i confini della Chiesa cattolica con un richiamo alla vicenda narrata dalle Fonti Francescane, il viaggio di san Francesco in Egitto per incontrare il sultano Malik Al-Kamil.

Il Papa legge questa vicenda in linea con ciò che il santo condensa nel capitolo XVI della Regola non bollata: «I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo…» (FF 42).  Un invito chiaro a non imporre dottrine ma comunicare l’amore di Dio soprattutto con la vita, per dare spazio alla parola nel momento in cui il terreno si riveli pronto ad accogliere il Vangelo. Senza negare la propria identità, ma nemmeno facendone un’arma contro gli altri, da fratelli sottomessi per amore. Un piccolo trattato di missionarietà, inculturazione, rispetto, senza rinunciare all’annuncio vitale del Vangelo… Il richiamo al Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune fa da suggello a questa introduzione: amicizia sociale con la carità alla base, la dignità della persona, la destinazione universale dei beni… Si parla di “sogno” della fraternita che non è utopia, ma realtà da costruire insieme.

 Tutto converge

L’enciclica si snoda poi come un percorso di guarigione e rinnovamento, con una diagnosi (c. I), una terapia dell’amore sconfinato (cc. II-IV), un pensiero a politica, cultura e pace (cc. V-VII), per finire con l’apporto delle religioni nella costruzione della fraternità (c. VIII).
La diagnosi presenta una analisi di disincanto, dei sogni infranti e l’emergere di competizione e individualismo: correre da soli e contro altri, xenofobia, giudizio dall’alto, selezione e scarto, paura ancestrale dell’alterità, maldistribuzione dei beni… il contrario del prendersi cura. Tutti temi tristemente noti ai nostri missionari, ma non solo: sono il contrario della missione che invece nasce da un amore effusivo e diffusivo. Temi importanti, come le migrazioni viste non in termini di paura ma di apertura, o la comunicazione che per essere vera deve avere l’ascolto come premessa.
La “terapia dell’amore sconfinato” prende le mosse dalla parabola del Buon Samaritano, l’estraneo sulla strada (Lc 10,25-37). Fa sorridere chi accusa il Papa di praticare una teologia che si nutre di antropologia, psicologia e marxismo anziché attingere alla Sacra Scrittura. Un giudizio miope, incapace di vedere come tutto converge sulla rivelazione. Il Papa non fa altro che proporre una mirabile sintesi del sapere umano letto attraverso la chiave ermeneutica fondamentale di Cristo Figlio di Dio, le sue parole sono gravide di parola di Dio anche quando citano uno studio di economia.
Nella parabola sono rappresentati tutti gli uomini, quelli che continuano a correre per la loro strada e chi invece si ferma gratuitamente per vivere la fratellanza, sentendosi responsabile della vita di un altro. E i briganti hanno come alleati gli indifferenti! Dobbiamo riconoscere Cristo in ogni fratello: la fede non giustifica mai l’odio. Un percorso possibile: «L’ospitalità è un modo concreto di non privarsi di questa sfida e di questo dono che è l’incontro con l’umanità al di là del proprio gruppo» (FT 96). C’è un invito a non credere nei falsi universalismi e la conferma che libertà e uguaglianza ricevono dalla fraternità un valore aggiunto. Tutto ciò sembrerebbe stravolgere il modo classico di intendere la missione come implantatio evangelii/ecclesiae, però chi ha vissuto esperienze missionarie non può che confermare che c’è ineludibilmente qualcosa prima dello stesso mandato missionario: ci sono le persone in carne ed ossa che incontriamo con le loro vite e a loro Cristo si rivolge con la sua bella notizia. Occorre prima incontrare l’umano e riconoscerlo fratello per potersene prendere cura e confermarlo nella dignità di figlio di Dio amato. C’è bisogno di un cuore aperto al mondo intero.

 Verso un mondo fraterno

Il cammino verso un mondo fraterno non può ignorare l’importanza della politica, di dialogo e amicizia sociale, della pace. Nel richiamare la necessità di riformare le strutture internazionali e rendere concreto il principio di sussidiarietà, il Papa indica la carità come criterio politico indispensabile: «La carità sociale ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce» (FT 182).
Forte il richiamo al dialogo come rispetto tra le persone, con particolare attenzione alla cultura dialogica: «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita» (FT 215). Si tratta di processi di un incontro quasi artigianale per costruire la pace, un impegno fattivo da vivere da protagonisti, una missione a cui tutti siamo chiamati, come il samaritano o come Francesco con il lebbroso…
La pace non può fare a meno di verità, di memoria, unita a giustizia e misericordia. E se il conflitto è inevitabile, il perdono è l’unica strada per superarlo; non è sinonimo di debolezza, occorre una difesa dell’uomo, sia delle vittime che dei criminali, ma anche perdono gratuito anche a chi non chiede perdono. A questo proposito vorrei richiamare un passaggio della “Lettera a un ministro” di san Francesco, che segue proprio questa strada “teologica” della riconciliazione, in cui la comunione è al primo posto, anche con chi ti crea problemi: «Ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori» (FF 234).

 Il ruolo delle religioni

L’enciclica si chiude con il richiamo al ruolo delle religioni al servizio della fraternità nel mondo. La fraternità passa attraverso la libertà religiosa e il rispetto delle minoranze e nel dialogo si scopre la possibilità di donare reciprocamente oltre che di imparare dai vicini. Lo sguardo di Dio, l’amore di Dio universale, la paternità universale: da questo, e dalla natura relazionale dell’uomo che ne deriva, viene l’insopprimibile anelito alla fraternità, cioè guardare con gli occhi di Dio… Fondamenti comuni e principi condivisi ci sono nelle religioni e da questi bisogna partire per costruire un mondo diverso, rifiutando la violenza che è deformazione della religione. Occorre col dialogo andare oltre un incontro esteriore, affrontando i problemi concreti con verità, misericordia e giustizia, senza tacere ma affrontando, apertamente e onestamente, un impegno artigianale per costruire la pace. In questo i leader religiosi “dialoganti” sono chiamati ad essere mediatori per la pace. Senza dimenticare l’importanza della preghiera, perché la fratellanza è dono dello Spirito.