Padre Bruno Sitta ci ha lasciati il 26 dicembre: è stato missionario in Etiopia per tanti anni. Lo ricorda qui per noi fr. Nazzareno Zanni, suo compagno fin dai tempi del seminario.

a cura di Saverio Orselli  

Ricordando padre Bruno Sitta

Per 35 anni missionario in Etiopia, direttore di scuole e superiore dei frati 

Gaiba (RO), 7 agosto 1941

† Reggio Emilia, 26 dicembre 2019

 Chiamato dalle acque

Bruno era nato il 7 agosto 1941 a Gaiba nel Polesine, un territorio situato tra il basso corso dei fiumi Adige e Po e che si estende fino al Mare Adriatico.

Il 14 novembre 1951, le forti precipitazioni che gonfiarono il corso del Po provocarono una catastrofica alluvione. Numerosi abitanti si rifugiarono altrove e in quell’occasione Bruno, un bambino di dieci anni, fu accolto nel convento di Castel San Pietro. Dopo circa un anno, il superiore pensò di condurlo nel seminario di Imola, affinché potesse vivere con i suoi coetanei e non solo con frati adulti e barbuti. A Imola rimase e lì nacque la sua vocazione. Le vie della Provvidenza sono sempre imprevedibili e quello che noi diciamo casualità o coincidenza è il modo con cui Dio ama nascondersi. Bruno era della mia classe ed eravamo ragazzi con un buon profitto in tutte le discipline. Nel 1958 passammo nel seminario di Faenza, appena ricostruito dopo la sua distruzione nella seconda guerra mondiale, per concludere l’ultimo anno di ginnasio, terminato il quale, fummo giudicati idonei per entrare nel noviziato di Cesena.
Eravamo appena diciassettenni, ma l’idea di vestire l’abito cappuccino ci entusiasmava. Fu un anno particolarmente duro e la vita era rimasta quella tradizionale: piedi scalzi con i soli sandali, saio grossolano, acqua fredda per lavarsi, nessun riscaldamento. Ma abbiamo resistito e il 2 agosto 1959 emettemmo la professione temporanea. Lasciato il noviziato di Cesena, ci portammo a Lugo per il liceo classico e lo studio della filosofia. A Lugo potevamo finalmente tirare calci al pallone, e Bruno, giovane dal fisico atletico, divenne il centravanti per antonomasia. Nel 1962 tre giovani frati - Nazzareno, Leonardo e Bruno - fecero la professione perpetua. Conclusi i quattro anni previsti per lo studio della filosofia, fummo destinati allo studentato teologico di Reggio Emilia, dopo che le due Province di Bologna e di Parma erano giunte nella determinazione di riunire il noviziato e gli studentati. Lì rimanemmo due anni soltanto, per poi fare ritorno a Bologna per gli ultimi due anni di teologia, al termine dei quali fummo ordinati presbiteri.

 Missione e vacanza, scuole e Olimpiadi

Trascorsa l’estate, fummo inviati tutti e tre nel Collegio internazionale di Roma per conseguire la licenza in teologia, dopo la quale Bruno rimase a Roma presso il convento della Parrocchietta per frequentare un corso di psicopedagogia presso l’Ateneo Antonianum. Dopo due anni a Roma, fece ritorno in Provincia con destinazione il seminario di Imola come insegnante di latino e di greco.
All’inizio del 1972 Bruno chiese di partire missionario per la nuova missione del Kambatta-Hadya in Etiopia. Partì nell’ottobre dello stesso anno, quasi senza salutare nessuno, perché era di carattere riservato, inalterabile, freddo quasi, preciso, con parlare asciutto e senza eccedere in tanti distinguo; non per nulla era stato soprannominato il “tedesco”. È stato in varie località impegnato nel ministero dell’evangelizzazione e nella direzione delle scuole presso le stazioni missionarie. Si spostava non a dorso di mulo come gli altri missionari, ma con una motoretta, una suzuchina, che solo lui riusciva a far correre per le strade sterrate. Erano anni duri in quella missione etiopica: i missionari abitavano in case fatiscenti, con pareti fatte di terra e di pali di legno e con tetto di lamiera, non avevano mezzi di comunicazione, e per incontrarsi dovevano fare lunghe camminate e percorsi infiniti in compagnia di un paziente e placido mulo, adeguandosi ai ritmi del tempo dei nativi. Con il passare degli anni, anche i missionari si organizzarono meglio ed ebbero abitazioni più vivibili e anche mezzi di trasporto più veloci delle proprie gambe o del camminare lento dei muli. Quando ogni due anni i missionari erano autorizzati a fare ritorno in Italia per un periodo di riposo, Bruno faceva rientro in corrispondenza dei Mondiali di calcio e delle Olimpiadi, che seguiva con straordinaria passione e con spirito religioso, quasi mistico. 

Partire per tornare, tornare per partire

Nel 1979, in seguito alla celebrazione del III Consiglio Plenario dell’Ordine, relativo alla “Vita e Attività missionaria”, svoltosi a Mattli (Svizzera), Bruno chiese di lasciare la missione, che pure era diventata la sua seconda patria. Tornò a Roma nel nostro convento della Parrocchietta e lì rimase due anni come rettore della vicina chiesa del Forte, finché, su pressione degli altri missionari, fece nuovamente ritorno in Kambatta. Nel 1984 fu eletto superiore regolare della Missione, e tale rimase per sei anni.
Nel 1993 la missione del Kambatta-Hadya fu inglobata nella Viceprovincia generale dell’Etiopia. Alla sua erezione ufficiale - il 7 gennaio 1993, giorno di Natale secondo il calendario etiopico - il ministro generale Flavio Roberto Carraro proclamò il padre Leonardo Serra come ministro viceprovinciale della nuova circoscrizione dell’Ordine. Questo missionario, che era anche medico, si mise all’opera con grande impegno, ma per lo stress dovuto alla sua attività di provinciale e al lavoro nelle cliniche della missione, si trovò costretto a presentare le dimissioni dopo appena un anno. Al suo posto venne subito nominato padre Bruno Sitta, che governò quei frati di tante etnie diverse con polso fermo, con equilibrio e con intelligenza, fino al 1998, quando lasciò il governo della Viceprovincia a un frate locale.
Nel 2004 chiese di fare rientro in Italia per trascorrere un anno sabbatico: riposo e riflessione. Venne destinato nel convento santuario di Cento (FE). Nel 2005 rientrò ancora una volta in Etiopia, prima ad Addis Abeba, poi ad Ashirà in Kambatta e infine a Bacho nel Dawro Konta. Un anno dopo chiese di lasciare definitivamente l’Etiopia e di rientrare in Italia. Fu inviato nuovamente a Cento come rettore del Santuario della Madonna della Rocca. Nell’anno successivo divenne superiore della fraternità ivi presente e tale rimase fino al settembre 2011, quando fu trasferito nel convento di Ravenna, sempre come superiore. Dopo altri tre anni, si portò, ancora come superiore, nel convento di Santarcangelo di Romagna.
Ma ormai la sua salute stava paurosamente declinando e si trovò costretto a dare, dopo un anno, le dimissioni e rimanere in quel nostro luogo per i servizi pastorali. La malattia da cui era affetto peggiorava di giorno in giorno, per cui nel 2017 i superiori decisero di trasferirlo nell’Infermeria provinciale di Reggio Emilia. La malattia si dimostrò implacabile con lui: era ormai incapace di muoversi e un silenzio impenetrabile lo isolava da tutto e da tutti, fino alla morte il 26 dicembre.
Fin dai tempi dell’ordinazione sacerdotale, ha mantenuto sempre aggiornato un diario, la cui lettura sarebbe oltremodo preziosa per conoscere ogni risvolto della sua esistenza. Chi lo ha avuto in mano testimonia che era come leggere un romanzo di avventure.

Nazzareno Zanni