Dal 12 al 15 maggio una ventina di frati cappuccini delle Marche, della Toscana e dell’Emilia-Romagna, in rappresentanza di tutti i loro confratelli, hanno camminato per Roma in pellegrinaggio giubilare, nel segno della speranza che non delude e in preparazione dell’unificazione delle loro Province.
a cura della Redazione di MC
Sui passi della speranza
Perché tre province siano una
di Nicola Verde
frate cappuccino a Cento di Ferrara
La speranza comincia dai piedi. Sì, perché, secondo alcuni, la radice della parola latina ‘speranza’ (spes) è pes che vuol dire ‘piede’.
E questo non solo perché la speranza ci mette in cammino e si nutre di passi concreti ma anche perché la speranza ha sempre bisogno di appoggiare i suoi piedi su una solida roccia, su di una promessa antica e sempre nuova. La lettera agli Ebrei ci consegna una bellissima definizione della fede in relazione alla speranza: «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (11,1). C’è un legame così profondo tra fede e speranza che l’una non può esistere senza l’altra. L’una sembra indicare il punto di appoggio, l’inizio, l’origine di una vita nuova, l’altra invece indica il cammino da fare per raggiungere la meta. Se vogliamo utilizzare un linguaggio sportivo possiamo dire che la fede è il blocco di partenza, mentre la speranza è il traguardo da raggiungere. Con i piedi appunto!
Un passo, un altro passo
Con questo spirito una rappresentanza di frati cappuccini delle Marche, della Toscana e dell’Emilia-Romagna si è messa in viaggio dal 12 al 15 maggio per vivere il Giubileo come pellegrini di speranza. Il cammino è stato curato e organizzato da fra Francesco Mori e da fra Valerio Mauro come parte del percorso di formazione permanente e di collaborazione in vista dell’unificazione delle tre Province. Nel luglio del 2029 infatti le tre Provincie religiose (Marche, Toscana e Emilia-Romagna) si uniranno costituendo un'unica Provincia religiosa del centro-nord. Il pellegrinaggio è stato idealmente suddiviso in tre tappe: la testimonianza di san Paolo (il luogo del martirio e la basilica a lui dedicata) e santa Maria Maggiore (con visita alla tomba di Papa Francesco e santa Prassede); le origini Cristiane, un percorso tra storia e spiritualità attraverso il linguaggio dell’arte e dell’architettura (con visita all’Ipogeo anonimo, San Giovanni in Laterano, Santo Stefano Rotondo, Santa Maria in Domnica, San Clemente e i Quattro Santi Coronati); la testimonianza di san Pietro (con messa sul sepolcro di Pietro, passaggio della Porta santa e visita alla basilica vaticana).
Le giornate sono state scandite da un ritmo fatto di preghiera, catechesi e momenti di fraternità. Fr. Francesco ha guidato i pellegrini con competenza e disponibilità non solo per le vie della sua città natale ma anche introducendoli nelle testimonianze architettoniche e artistiche lasciate dai cristiani. Ogni periodo storico ha generato lungo i secoli un linguaggio della fede e questo processo è avvenuto prendendo a prestito simboli, stili e grammatiche culturali del tempo. Non hanno avuto paura di utilizzare una lingua cosiddetta “pagana” per testimoniare la novità del vangelo. La fede si comunica sempre nel linguaggio culturale del tempo in modo che tutti possano comprenderla. Ed ecco che Maria viene rappresentata come un’imperatrice seduta sul trono e incoronata da Dio. A quanto pare l’arte delle prime comunità cristiane non era “la bibbia dei poveri”, ma una luce di speranza che i cristiani facevano scendere nel cuore della madre terra scavando il tufo romano per le catacombe.
Verso due obiettivi
Fra Francesco ci ha fatto decifrare con semplicità e profondità le tracce di questo linguaggio di fede e della sua grammatica romana divenuta cristiana. Fra Valerio e fra Filippo Gridelli hanno guidato i pellegrini attraverso due meditazioni. Fra Filippo ha proposto un’attualizzazione della testimonianza di san Paolo e dei suoi scritti per il mondo sociale e religioso di oggi. C’è sempre il rischio di vantare una perfezione evangelica qualora ci mettiamo in cammino come religiosi e discepoli di Gesù. C’è invece una salvezza che ci precede e che «è più intima della mia vergogna» (Paul Claudel). Fra Valerio ha tracciato l’itinerario di conversione dell’apostolo Pietro come via per ogni discepolato, fino al rinnegamento come rivelazione dell’amore gratuito di Dio che perdona. È questa in fondo la Porta del Giubileo che apre alla speranza. Ogni cammino di conversione non può che arrivare qui per poter liberare le ali del cuore da tutto ciò che incatena o lega «fosse anche solo un filo di cotone da spezzare» (San Giovanni della Croce).
Due erano gli obiettivi del pellegrinaggio. Il primo era quello di ritornare alla roccia della nostra fede ovvero la testimonianza degli apostoli Pietro e Paolo. La fede come blocco di partenza per un rinnovato cammino di speranza e di gioia per il mondo. La fede di Pietro come fonte di unità delle Chiese e come testimonianza di misericordia di Dio, e la fede di Paolo che spinge sempre la Chiesa a prendere il largo per essere missionari della croce di Gesù che salva da ogni vergogna.
Il secondo obiettivo del pellegrinaggio era quello di creare sempre di più relazioni di conoscenza e di fraternità tra i frati delle Marche, della Toscana e dell’Emilia-Romagna. Camminare insieme per le vie di Roma, condividere esperienze, preghiere e momenti di dialogo fraterno aiuta a immaginare un futuro insieme fatto di speranze e di nuove prospettive evangeliche. Forse questo pellegrinaggio vuole proprio indicarci la via per l’unificazione interprovinciale del 2029: per arrivare all’unità bisogna camminare, fare passi. Non solo camminare insieme ma camminare anche gli uni verso gli altri.
Questo significa che ogni Provincia religiosa deve andare incontro al linguaggio dell’altra, alla storia dell’altra, alla sua arte o, in una parola, alla sua grammatica di fede. Ciascuna Provincia ha in sé una storia di fede fatta di arte, di architetture, di linguaggi culturali. Ogni Provincia ha una testimonianza di vita evangelica e di missionarietà preziosa e profonda, una storia di servizio, di fraternità e di amore al popolo di Dio. Sarà allora importante riconoscere queste tracce per poterle accogliere come un dono e non come un ostacolo. Solo conoscendo e riconoscendo il modo in cui l’altro ha camminato nella fede possiamo costruire e immaginare un futuro di speranza insieme.