Ricordiamo qui un confratello che ci ha lasciato a una settimana esatta dai cento anni, padre Vincenzo Bandini. Cappellano in molti ospedali della regione e sacrista in molti nostri conventi. Calendarista per cinquant’anni, confessore e amico non solo degli umani, ma anche degli animali.

a cura della Redazione di MC

 Ricordando padre Vincenzo Bandini

Una vita sottovoce che si è presa cura delle due case del Signore, le chiese e i malati

 

 

 

San Pietro in Laguna (Faenza) 20 febbraio 1924

† Reggio Emilia 13 febbraio 2024

 

 

 

 

Dice il salmo che la nostra vita passa come un soffio: 70 anni, 80 per i più robusti.

Padre Vincenzo è stato robustissimo: gli mancava giusto una settimana e sarebbe arrivato a 100 anni. Una lunga vita, caratterizzata dalla fedeltà e dalla costanza nei compiti di cappellano ospedaliero e di sacrista.
«Facevamo tutti il tifo per lui, perché riuscisse ad arrivare a cento – ha detto fra Filippo Gridelli che ha presieduto il rito delle sue esequie – e c’è arrivato a Cento, ma solo per il suo funerale». 

Tra sacrestie ed ospedali

Era nato a San Pietro in Laguna (comune di Faenza) il 20 febbraio 1924, figlio di Domenico Bandini e Giuseppina Savini. Era stato ammesso in noviziato a Cesena il 14 agosto 1940, assumendo il nome del santo vescovo Pierdamiano, morto e venerato a Faenza; aveva emesso la sua professione temporanea il 15 agosto 1941 e quella perpetua il 25 gennaio 1945. Dopo gli studi di filosofia a Lugo, Ravenna e Cesena e quelli teologici a Rimini, Lugo e Bologna, era stato ordinato presbitero dal card. arcivescovo di Bologna Giovanni Battista Nasalli Rocca il 13 marzo 1948. Dopo 3 anni a Roma-Parrocchietta, inizia la sua itineranza come cappellano ospedaliero e come sacrista.
Alcuni numeri ci dicono subito la continuità e la fedeltà nei compiti che padre Vincenzo ha ricevuto e svolto: per 50 anni è stato calendarista provinciale (dal 1952 al 2002): questo testimonia la sua competenza liturgica e la grande attenzione alle feste liturgiche e alle tradizioni religiose di ogni diocesi romagnola e di ogni nostra chiesa conventuale.
Per 25 anni è stato cappellano ospedaliero: Arcispedale Sant’Anna di Ferrara dal 1952 al 1957 e poi dal 1967 al 1968; Ospedale civile di Ravenna dal 1957 al 1958; Ospedale civile di S. Giovanni in Persiceto dal 1958 al 1960; ospedale civile di Rimini dal 1960 al 1963; Centro Traumatologico di Bologna dal 1963 al 1964; ospedale civile di Cento dal 1978 al 1989.
Per 3 anni è stato anche parroco a Portorotta (dal 1969 al 1972), ma questa è stata una breve parentesi in una vita trascorsa in ombra, in seconda fila. Per 22 anni è stato sacrista: a Ferrara dal 1975 al 1978, a Roma-Parrocchietta dal 1989 al 1993, a Ravenna dal 1994 al 2011, a Cento (dal 2011 al 2017; e qui a Cento è rimasto come confessore fino al 2022, quando le condizioni di salute l’hanno obbligato ad entrare nell’Infermeria provinciale a Reggio Emilia.
Nel caso di padre Vincenzo, per sacrista non va inteso solo chi si occupa della sacrestia e della chiesa, dei paramenti, della pulizia e dei fiori, ma soprattutto di chi viene in chiesa, accogliendo, salutando, confessando. Padre Vincenzo era confessore di tanti fedeli, e anche di molti sacerdoti e di qualche vescovo. Quante ore dedicava al confessionale e all’accompagnamento spirituale!

 Poca voce che tutti ascoltavano

Non aveva ricevuto da madre natura una gran voce, ma sia in confessionale che dall’altare riusciva non solo a farsi sentire, ma anche a farsi ascoltare volentieri. E le sue parole erano rispettose, delicate, aggiornate. Il suo testo di aggiornamento quotidiano era l’Osservatore Romano: dopo cena, immancabilmente si ritirava nel suo studio e leggeva tutto l’Osservatore Romano, che gli offriva uno sguardo di fede sulla chiesa e sulla società, sulla politica e sulla cultura. Si manteneva aggiornato non solo nel campo liturgico, ma anche in quello teologico e biblico e riusciva sapientemente e pazientemente a mediare tra religiosità tradizionale e nuove forme di spiritualità. Le persone coglievano questa preziosa mediazione e si fidavano di lui, guida saggia che sapeva trarre dal suo tesoro cose nuove e cose antiche, con delicato rispetto per ogni persona.
Fra Vittorio Ottaviani lo ricorda come «un frate che sapeva rivestire il sublime della vita religiosa con i panni di un’umile ferialità. Non era un predicatore dalla voce tonante da sparare lontano la Parola del Signore; non era dotto professore, da conferenze; non era un carismatico ricercato o un guaritore o un esorcista famoso. Era umile e modesto nel modo di parlare e nei gesti: metteva subito le persone a proprio agio, sapeva sorridere, mai ridere in modo rumoroso; aveva parole che sembrava uscissero con difficoltà dalla bocca o meglio dalla sua timidezza, ma pure piene di saggezza. Non ricordo d’averlo mai sentito dare giudizi amari sull’una o sull’altra persona; raramente accennava ai propri guai, ma era attento a quelli degli altri. Non credo che abbia mai fatto vacanze, disponibile alle confessioni, senza conoscere la fretta; sapeva ascoltare, più che parlare».

 Le creature: dai fiori al bicchiere di sangiovese

La sua delicatezza si esprimeva anche nella cura per i fiori che coltivava per l’altare e nella cura che aveva per le piccole creature: come dimenticare la “liturgia domestica” che celebrava a Ravenna con il fido scudiero Antonio subito dopo pranzo, quando andava a portare da mangiare ai pesci del vascone, contandoli e quasi salutandoli uno per uno? E il gatto che qui a Cento lo accompagnava in refettorio, in cella e persino in cappella, partecipando fedelmente alla sua preghiera? Sono pagine di vita degne dei Fioretti di san Francesco e del Cantico delle creature.
Autentico romagnolo, ha fatto le sue fatiche per apprendere la rispettosa dolcezza di modi che lo caratterizzava; faentino di nascita e con una sorella Suora di Santa Chiara a Faenza, si teneva costantemente informato sulla città e la diocesi, mostrandosi orgoglioso delle vocazioni capppuccine sbocciate nella sua città. Religioso di vita austera e di alimentazione sobria, non rinunciava mai ad un buon bicchiere di sangiovese a pasto, quasi a mo’ di medicina.
Come cappellano ospedaliero e come sacrista, si è preso cura amorevole delle due case del Signore, le chiese e i malati nel corpo e nello spirito.
Padre Vincenzo ci lascia un grande esempio e un rispettoso ma chiaro suggerimento per il nostro futuro. Riposi in pace nella casa del suo e nostro Signore. Amen

fra Dino Dozzi

 Il rito esequiale è stato celebrato a Cento, nel nostro Santuario della Madonna della Rocca. Presieduto dal Vicario provinciale, fra Filippo Gridelli, ha visto la partecipazione numerosa di confratelli e di laici. La salma è stata tumulata nella tomba dei frati cappuccini presso il cimitero di Faenza.