Ricordando due nostri fratelli 

Fra Giancarlo Ciccioni

Un fratello sulla soglia

 

  

Pereto di Sant’Agata Feltria, 21 luglio 1942
† Reggio Emilia, 12 gennaio 2024

 

  

 Portinaio, artista e “frate dei poveri”

Nella serata di venerdì 12 gennaio 2024, abbiamo ricevuto dal ministro provinciale, fra Giacomo Franchini, un messaggio via WhatsApp:

«Oggi pomeriggio, intorno alle 16,30 a Reggio Emilia è morto improvvisamente fra Giancarlo Ciccioni». Qualche avvisaglia della sua salute precaria c’era stata, ma nessuno si aspettava che sorella morte arrivasse così presto. Tanto più che fra Giancarlo fino agli ultimi giorni era presente fedelmente al suo servizio nella portineria del convento dei cappuccini di Reggio Emilia. 

Le radici sul confine

Era nato il 21 luglio 1942 a Pereto di Sant’Agata Feltria, terra di confine tra la Romagna e le Marche che sempre è stata generosa di vocazioni alla vita cappuccina. Al battesimo fu chiamato Luigi. Vivendo in un ambiente povero di risorse materiali, ma ricco di testimonianza religiosa francescana – a Sant’Agata erano presenti sia i frati cappuccini che le sorelle clarisse –, Luigi maturò presto la consapevolezza che il Signore lo chiamava alla vita consacrata.
All’età di 18 anni, il 7 dicembre 1960, Luigi ricevette il nome di Giancarlo da Sant’Agata Feltria e iniziò l’anno di noviziato a Cesena sotto la guida di padre Guglielmo Gattiani ed ebbe come compagno fra Vittore Casalboni. Al termine dell’anno di noviziato, il giorno dell’Immacolata, emise la professione temporanea. Dotato di molteplici qualità, subito si prestò generosamente per svariati servizi. A Cesena prima, a Santarcangelo poi, infine a Bologna fece il cuoco. E qui l’8 dicembre 1964 emise la professione perpetua.
Trasferito nel convento di Faenza, gli fu affidato il compito di collaboratore dell’opera missionaria, lavoro che svolse però principalmente a Bologna, dove impiantò l’“opera recupero”: un fiorente centro di raccolta di carta e stracci a favore delle missioni. Ma non trascurò la sua passione per l’attività agricola, infatti frequentò e conseguì il diploma di meccanico operatore agricolo presso l’Istituto Professionale per l’Agricoltura di Faenza. Con ironia bonaria il suo confratello fra Felice Trasforini amava ricordare: «fra Giancarlo ha fatto l’università!».
Nel 1975 tornò nella fraternità di Bologna, dove continuò a lavorare nell’opera recupero e cominciò anche a prendersi cura dell’orto e a fare le prime esperienze di quello che sarà il lavoro che lo terrà impegnato per il resto della vita: portinaio. Per questo servizio nel 1983 fu chiamato a Roma in curia generale, rimanendovi fino al 1987. Tornato in provincia, stette un triennio a Imola; poi, alla morte di fra Isidoro Teglia nel 1990, prese il posto del confratello nella portineria di Bologna e vi rimase fino al 2011, quando i superiori lo inviarono nel convento di Sant’Agata Feltria. Allo scadere del triennio, nel 2014, ritornò al lavoro in portineria, questa volta a Reggio Emilia, dove si è fermato fino alla morte.

 I poveri, la porta e l’arte

I circa trentacinque anni in portineria hanno dato a fra Giancarlo la possibilità di mettere a frutto le sue qualità umane e spirituali. Ha incontrato persone delle più svariate estrazioni sociali, ma si è preso cura particolare dei poveri e disagiati. Ed erano in tanti che venivano da lui. Dava anzitutto una sportina di cibo, ma poi si interessava alle loro situazioni e cercava di aiutarli secondo le sue possibilità e conoscenze. A tutti dava non solo il pane, ma anche parole di umana comprensione e immaginette di un suo confratello, padre Guglielmo Gattiani, vissuto “come un santo”. Ben presto tra i clochard italiani e stranieri, senza lavoro e spesso dediti all’alcool, si diffondeva la notizia che alla porta del convento dei cappuccini c’era “il frate dei poveri” che non mandava via nessuno in malo modo o senza una parola buona e un panino con una scatoletta di tonno.
Ha esercitato con un certo successo anche l’arte, soprattutto nella tecnica della saldatura e brunitura del ferro e nella scultura di opere in legno e in sasso, ma anche in cartapesta. Opere apprezzate da gente comune e dai critici più esperti. Particolarmente originali i suoi presepi. Per questa sua attività artistica la città di Sant’Agata Feltria gli conferirà un premio speciale, con la motivazione: «Un artista lontano dalle mode passeggere e libero di interpretare con grande originalità e sensibilità e con materiali poveri il comune sentire della sua gente che suda e lavora lontano dal clamore e dalle luci della ribalta». Altra sua passione era la raccolta e la conservazione di antichi strumenti di lavoro dei contadini e di una ricca collezione di chiavi di diverse epoche di cui fu allestita una mostra.
Nonostante l’impegno della portineria, fra Giancarlo non tralasciava i suoi hobby. Aveva una passione grande per il giardino che arricchiva di piante e fiori – in particolare di begonie – che per il loro rigoglio attiravano la meraviglia di confratelli e laici. I parrocchiani di San Giuseppe Sposo di Bologna, alla notizia della sua morte, lo hanno ricordato con queste parole: «Ricordiamo con tantissimo affetto fra Giancarlo Ciccioni. Anche se sono ormai da diversi anni non era più nella fraternità di San Giuseppe, quando passiamo dalla portineria del chiostro sembra ancora di vederlo tra i bimbi che si fermavano a disegnare e con la sua vicinanza agli “ultimi” e con tutti noi. Era il primo frate che incontravamo entrando in convento e a tutti dedicava un sorriso e un saluto».

 Conclusioni con “cavezza lunga”

In conclusione, se è vero che ci sono persone dotate di grande iniziativa personale e che dunque hanno bisogno di spazi di libertà nei quali collocarsi, fra Giancarlo era uno di questi. Non aveva alle spalle studi accademici, veniva dal mondo contadino e montanaro, ma aveva spirito imprenditoriale, creativo e artistico. Amante della vita comune, aveva però bisogno anche di spazi e di tempi da gestire in proprio, pur sempre nell’orizzonte della fraternità. L’ufficio di portinaio lo teneva legato per tante ore al giorno, ma la creatività non gli mancava.
Eccolo allora incominciare la giornata alle quattro del mattino, estate e inverno: tre ore da dedicare ai suoi hobby fatti di sculture in legno e in pietra, al suo chiostro da curare con precisione quasi maniacale, ma anche alle sue amicizie con personaggi della politica e dell’arte e, insieme, con persone umili ed emarginate dalla vita, spesso immigrati, che coinvolgeva come collaboratori e che aiutava in mille modi. Un libero imprenditore della carità – verrebbe da definirlo – che aveva bisogno di “cavezza” lunga e di un po’ di tempo proprio per esprimere tutte le sue potenzialità umane e religiose.

fra Giuseppe De Carlo

 Un primo funerale è stato celebrato il 16 gennaio a Bologna nella nostra chiesa di San Giuseppe Sposo e un secondo nello stesso giorno a Sant’Agata Feltria nella nostra chiesa conventuale. La salma è stata poi inumata nel locale cimitero.