Aprire all’altro una porta santa

«E chiunque verrà da loro, amico o avversario, ladro o brigante, sia ricevuto con bontà» (Rnb VII,14: FF 26) 

di Pietro Maranesi
direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Assisi

 Pellegrini e forestieri

La comprensione di questa richiesta fatta ai frati dalla Regola del 1221 (testo giuridico che sarà poi riscritto per essere approvato dalla sede apostolica nel 1223) necessita di due osservazioni.

La prima riguarda il periodo in cui venne redatto il testo, cioè nei primi anni della nascita della fraternità minoritica, quando i frati erano ancora itineranti e senza una fissa dimora, animati dal desiderio di condividere la sorte degli ultimi. Indizio sicuro di questa condizione lo abbiamo nel capitolo IX dove si esortano i frati «ad essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada» (v. 2). La loro scelta, di essere frati tra i minori di quella società, doveva aiutarli ad avere un cuore grande nei confronti di tutti gli emarginati e degli esclusi, di tutti coloro che avevano bisogno di essere accolti senza “pretendere nulla da loro”, nemmeno “che fossero migliori cristiani”. La chiamata evangelica a vivere da “pellegrini e forestieri”, cioè da frati minori, avrebbe dovuto farli attenti e generosi nei confronti di tutti coloro che, senza averlo voluto e scelto, vivevano senza fissa dimora e lungo la strada, condannati e respinti dagli altri e dunque forse rancorosi e arrabbiati contro la vita.

La seconda notazione, la più importante e ampia, è legata al contesto in cui è posta la richiesta di essere ospitali con tutti; essa infatti si trova all’interno di una serie di esortazioni alla gratuità e generosità che dovrebbero animare lo stile di vita dei frati minori. La richiesta del nostro v. 14, ad accogliere tutti coloro che si presentavano alla porta, ha la sua premessa nel versetto precedente, dove si ordinava ai frati «di non appropriarsi di alcun luogo e di non contenderlo ad alcuno» (v. 13). La loro condizione di viandanti e pellegrini li doveva mantenere sempre un po’ forestieri, nei posti in cui prendevano dimora. In quei luoghi essi avevano trovato rifugio gratuito e momentaneo e, dunque, non potevano viverci come proprietari, né tanto meno potevano contenderli ad altri.
È chiaro allora che la richiesta del nostro v. 14 è una conseguenza diretta di questo primo richiamo: se essi dovevano sentirsi ospiti in quei luoghi di appoggio, senza poterne mai diventare padroni, allora non potevano mai chiuderli ad alcuno. Due sono gli elementi richiesti ai frati nel vivere questa disponibilità all’accoglienza. Il primo riguarda un’ospitalità senza condizione, cioè senza preclusione di nessuno; ed è interessante che le categorie di persone elencate nel testo specifichino proprio questo elemento: insieme agli «amici» i frati dovranno essere disposti ad accogliere nei loro luoghi anche «l’avversario, il ladro e il brigante». Tuttavia, ciò che veramente preme al testo non è soltanto stabilire la generosità di una porta aperta a tutti, ma anche - ecco il secondo elemento - il clima da far trovare da parte dei frati a colui che arriva: «sia ricevuto con bontà». Aprire la porta di casa senza aprire la porta del cuore significherebbe non accogliere veramente nessuno, perché lo si lascerebbe fuori dall’unico spazio che rende bello e accogliente un luogo.

 Con cuore aperto

Nei due versetti successivi, che chiudono il capitolo VII, si ha uno sviluppo interessante di questo spirito di accoglienza e ospitalità richiesto al frate minore. In essi, infatti, resta centrale l’esortazione a favore di un cuore aperto agli altri; solo cambiano i soggetti da accogliere: non più coloro che vengono dal di fuori, ma gli stessi frati nei loro rapporti reciproci. Il primo richiamo concerne il doppio atteggiamento che essi sono chiamati ad usare tra loro nello stare insieme e nell’incontrarsi: «E ovunque sono i frati e in qualunque luogo si incontreranno, debbono rivedersi con occhio spirituale e con amore e onorarsi a vicenda senza mormorazione» (v. 15). L’ospitalità con quelli di fuori deve prolungarsi con quelli di dentro: un cuore grande e generoso deve esserlo con tutti, perché a volte è più facile accogliere chi è di passaggio nella vita che colui che invece è sempre presente.
L’ultimo versetto che chiude il capitolo costituisce una specie di sintesi riguardo allo stile gratuito e generoso richiesto da Francesco ai suoi frati, stile di fatto posto alla base dell’atteggiamento di bontà con cui essi sono chiamati ad accogliere gli altri e ad accogliersi reciprocamente: «Si guardino i frati dal mostrarsi tristi all’esterno e rannuvolati come gli ipocriti, ma si mostrino gioiosi nel Signore e lieti e cortesi come si conviene» (v. 16). In particolare mi sembrano di grande significato gli ultimi tre aggettivi con i quali egli esorta i frati ad essere “gioiosi, lieti e cortesi”. L’ospitalità, come accoglienza gratuita e generosa dell’altro, sia che bussi alla porta, sia che viva insieme nella stessa casa, dovrebbe essere la manifestazione dello spirito di cortesia, cioè di signorilità, con il quale allargare il cuore aprendo le porte della propria vita per far spazio agli altri accolti come dono, e ai quali farsi dono.

 Una porta aperta e invitante

Possiamo insomma concludere che l’atteggiamento di ospitalità proposto da Francesco nei versetti 13-16 del capitolo VII della Regola non bollata rinvii alla questione delle “porte” che diventano “sante” ogni volta che sono aperte per accogliere senza condizione coloro che bussano. La vera “porta santa” che dovrebbe essere aperta e ornata con segni che invitino ad entrare è descritta da Francesco con queste caratteristiche: la bontà di un cuore spirituale, capace di amare e di onorare gli altri, che è animato dalla gioia e dalla letizia, cioè da una cortesia piena di gratuità e generosità. La qualità dell’accoglienza dell’altro costituisce dunque, per Francesco, la prova e il frutto più chiaro di quanto debba essere grande e aperta la porta del cuore. Ed ogni incontro, che diventa accoglienza animata dalla bontà e dalla letizia cortese, cioè dallo spirito evangelico sognato da Francesco, è un evento santo, un giubileo che rinnova la vita e la rilancia, perché apre spazi sacri in cui, proclamando la logica della misericordia, si avverte la presenza di Dio.