Per piccina che tu sia

Apologia francescana della casa e del confine violato

 di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC

 Una premessa e un’avvertenza

Nel mondo «spazioso e vasto» (cf. Sal 104) la casa è il luogo piccolo e caldo che accoglie e protegge noi e i nostri cari. Mentre decrescono regolarmente crimini e omicidi, continua a crescere la domanda di maggior sicurezza.

Fatta la tara della propaganda, mi spiego così il paradosso: quanto più le identità si fanno liquide e l’assedio su circuiti integrati diventa asfissiante, tanto più percepiamo vitale il bisogno che la fragilità di ciò che sta dentro sia protetto da tutto ciò che sta fuori dal cancello di casa.Eppure, la forza che «move il sole e l’altre
stelle» travolge uomini e donne, spingendoli a violare il confine corporeo che separa l’amato dall’amata. Violazione benedetta da Dio, «siate fecondi e moltiplicatevi», che attraverso di essa chiama nuova vita all’esistenza. Il corpo di una donna non è più casa solo per sé, ora è anche casa d’altri. Per quel figlio, che non può essere già conosciuto, lei e il padre saranno il sostegno sicuro, perché egli un giorno possa serenamente lasciarli e avventurarsi nella vastità del mondo.
Vengo a bomba e avverto il lettore: strappare le parole di frate Francesco dal loro contesto storico, per applicarle al nostro, significa esporsi al rischio del fraintendimento o, peggio, della strumentalizzazione ideologica. Eppure… non sono in grado di trattare le sue parole da pezzi da museo, lui per me è una presenza viva. Preferisco correre il rischio e tentare di mettere in ascolto della sua voce la nostra realtà così come mi è dato di comprenderla. Se esagero, i lettori mi perdoneranno.

 Sicut mater, come la mamma

Nel capitolo VII della Regola non bollata, Francesco chiede che «chiunque verrà da essi, amico o nemico, ladro o brigante, sia ricevuto con bontà». Conviene, tuttavia, continuare a leggere: «E ovunque sono i frati e in qualunque luogo si incontreranno, debbano rivedersi volentieri e con gioia di spirito e onorarsi scambievolmente senza mormorazione» (FF 26). Alla richiesta di apertura alla molteplice diversità del mondo, senza lasciarsi determinare nei propri atteggiamenti dal fatto che quella vastità ci conduca amici o nemici, ladri o briganti, segue la richiesta di apertura alla diversità molteplice che è presente dentro alle mura di casa.
Ai suoi occhi, la minaccia non viene principalmente da chi e da ciò che sta oltre i confini domestici. È individuata, invece, nella mormorazione interna alla comunità. Ad essa Francesco oppone gli atteggiamenti della gioia, della reciproca stima. Sa che non ha senso illudersi che dentro casa abiti solo il bene, e perciò cerca di dare solidità ai rapporti fraterni sfidando i fratelli a misurare la robustezza evangelica dei loro atteggamenti relazionali con il metro esigente dell’amore materno. «E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino familiari tra loro reciprocamente. E ciascuno manifesti con fiducia all’altro le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?» (FF 91).

 Un uomo ferito

Il brano, tratto dalla Regola bollata, è stato scritto nel 1223. Francesco, fisicamente debole e sofferente, dopo soli tre anni morirà. Tre anni prima si è dimesso da Generale dall’Ordine religioso che ha fondato. Ha dovuto, suo malgrado, accettare parte dei consigli del cardinale Ugolino. Non impone la Regola non bollata, che ha scritto, passo passo, per dieci lunghi anni, in condivisione e collaborazione continua con gli altri frati. I fratelli sembrano non vedere più in lui il dono che sta all’origine del loro Ordine. Solo perché sperimenta profondamente di essere totalmente amato da Dio può fare un passo più in là del suo vissuto interiore. Scrive un’altra regola, conosciuta poi come “bollata”, con meno citazioni evangeliche, più pratica e più facilmente interpretabile.
Francesco non è più il fondatore idolatrato dai suoi seguaci. Chi propone ai frati di amarsi l’un l’altro maternamente è un uomo ferito dai suoi fratelli, tentato di allontanarsi da loro o, viceversa, di allontanare loro da lui e dall’Ordine. È proprio la stessa attitudine che Francesco chiede di usare verso coloro che vengono da fuori, che essendo amici o nemici, buoni o cattivi, comunque con bontà devono essere accolti.
Francesco lotta per consentire allo Spirito di aprirgli dentro, nei recessi più profondi del cuore, una casa per i fratelli, uno spazio ospitale; in termini biblici, viscere di amore misericordioso. Cioè, tutto ciò che lo stesso Francesco ha raccomandato a quel guardiano che faticava a tollerare le insubordinazioni dei frati di cui era responsabile: «Ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia. E così tu devi volere e non diversamente. E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente riconosco che questa è vera obbedienza. E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori. E questo sia per te più che stare appartato in un eremo» (FF 234).

 Fecondità a caro prezzo

Una donna non genera vita senza passare attraverso il vaglio doloroso delle doglie. Così non si genera vita filiale nello Spirito senza partecipare alla Pasqua del Figlio e alla sua croce che di quel mistero è parte integrante. Ai frati viene dunque chiesto di essere testimoni di vita relazionale nuova, risorta, capace di dare la vita in Cristo. L’amore costa, ma solo l’amore trasmette la vita, solo l’amore la trasforma, non gli atteggiamenti giustizialisti (chi ha sbagliato paga) e securitari (la difesa è sempre legittima), manifestazioni di debolezza corazzata che rimangono regolarmente sterili e inefficaci. Ognuno di noi lo sa: cambiamo perché siamo amati. Il cambiamento che produce la paura del castigo o il desiderio del premio rimane tanto esteriore da essere fragile come una casa fondata sulla sabbia. Cristo, la roccia, è donazione di sé fino in fondo.
I passaggi dalla vita fraterna dei frati a quella delle famiglie e dell’intera società non sono immediati e facili e non devono essere dati per scontati. Certo deve far riflettere che l’Uganda riceva tanti rifugiati quanti quelli arrivati in Europa dal Mediterraneo e che i paesi con il più alto tasso di natalità siano tutti in Africa, nella fascia subsahariana, la zona più povera di tutta la terra. In definitiva, frate Francesco ci ricorda che casa e patria non svolgono la loro funzione se si limitano a proteggere chi vi sta dentro ed è già conosciuto. Lo fanno se accolgono anche quelli che, ancora, sono fuori e sono, evidentemente, sconosciuti. In caso contrario non è casa, ma fortezza armata che promette di proteggere le relazioni già attivate, impedendo di attivarne di nuove. Dice di difendere la vita e intanto la soffoca in sé stessa. Se cerchiamo con coerenza di «accogliere con bontà» i fratelli, allora siamo figli che hanno accolto la vita dal Padre.