Esiste una relazione affascinante fra la musica e la fede: la musica può favorire il dialogo. La musica è bella, lascia a volte senza parole, aumenta l’espressività e l’intensità della parola e rappresenta una forma di comunicazione trasversale che consente di veicolare temi spirituali con semplicità e senza creare barriere.

a cura di Barbara Bonfiglioli

 L’Uno dai molti cantato

La musica e la comunione del dialogo polifonico 

di Chiara Bertoglio
musicista e musicologa

 La festa suona e canta

Nelle diverse religioni che si sono incrociate ed intersecate nel tempo e nello spazio, gli esseri umani hanno cercato una risposta alle grandi domande di senso,

alla sete di infinito che li contraddistingue, ad un anelito profondo verso la bellezza, la sacralità, il mistero come presenza del trascendente nell’immanente. In un’ottica teologica, questo anelito, che anche gli antropologi conoscono bene, si manifesta essenzialmente come prima forma dell’autorivelazione del divino.
Non sorprende, perciò, che le religioni siano profondamente abitate ed innervate da esperienze e manifestazioni di tipo musicale, che assolvono una moltitudine di funzioni e possono assumere fisionomie diverse a seconda delle diverse sensibilità culturali e storiche di un determinato contesto umano. La musica è componente essenziale della festa, perciò si ritrova quasi invariabilmente quando la religiosità assume un carattere di celebrazione, di lode, di entusiasmo; la musica è considerata qualcosa di bello, perciò accompagna i sacrifici rituali, ponendosi come offerta che viene gradita dalla divinità. La musica è in grado di trarre l’essere umano dalle sue preoccupazioni quotidiane per immergerlo, con vari gradi di coscienza, in realtà tre “altre”; perciò essa da sempre si accompagna a riti di tipo mistico, favorendo l’ingresso dell’Altro nella vita degli esseri umani.

 Il rito e la musica

La musica dà forma al dolore ed alla sofferenza e li consola: perciò essa è quasi sempre presente nei riti legati al culto dei morti, ma anche alle suppliche per la guarigione o per ottenere qualcosa di positivo dalla divinità in contesti di sofferenza. La musica è componente essenziale della danza ed interviene nelle forme di gestualità rituale che fanno parte del rito e della danza sacra. La musica, inoltre, aumenta l’espressività e l’intensità della parola, nonché - acusticamente - la sua capacità di percorrere lo spazio: perciò, la musica viene utilizzata dalle religioni nella proclamazione dei testi sacri, nelle letture rituali pubbliche, nelle forme di preghiera comunitaria. Infine, l’esperienza musicale condivisa è un formidabile collante per il gruppo, uno strumento di comunione: perciò, quando la religione si fa espressione di una comunità orante e vuole rafforzare il sentimento di appartenenza e di unità, essa quasi sempre ricorre alla musica.
Ancor più importante, è il fatto che - in molte culture, fra cui quella occidentale - la musica si pone come “scrittura del tempo”. Essa consta di eventi sonori che vengono creati e percepiti come legati l’uno all’altro da relazioni di causalità e finalità, e che concorrono a dare senso al trascorrere stesso del tempo. Laddove una religione professa la fede in una divinità provvidente, la musica può contribuire fortemente a rafforzare questa visione: nel suo dare ordine al tempo, nel suo collocare in modo significativo gli eventi sonori, essa aiuta a vivere l’esperienza della vita, con le sue gioie e i suoi dolori, ed a percepirne lo snodarsi come una storia di salvezza e di speranza.
È evidente che queste poche righe sono generalizzazioni, che accomunano esperienze diversissime senza poterle approfondire. Tuttavia, partendo da queste realtà così radicate nella vita umana, la musica può diventare uno strumento del dialogo fra le religioni. Essa, infatti, è un’arte dell’ascolto, che insegna all’essere umano l’importanza di non sopraffare l’altro ma di accogliere la “sua musica” nella vita personale e comunitaria. Insegnandoci l’ascolto silenzioso e simpatetico, la musica si configura come maestra di accoglienza nella diversità delle fedi.

 Polifonico non relativista

La musica è un’arte relazionale, in quanto pone in relazione i suoni fra loro, ma anche gli esseri umani che li producono, e quelli cui essi sono diretti. Per questo motivo, la musica può aiutare in modo determinante il dialogo fra le religioni in virtù della sua qualità “polifonica”. Nella nostra civiltà occidentale, come in molte altre fra cui quelle africane, si sono infatti sviluppate forme musicali in cui diverse “voci” (cantate e/o suonate) si sovrappongono fra loro in modo non competitivo, non antagonistico, bensì collaborativo. La musica polifonica è perciò un simbolo fortissimo ed affascinante in cui la diversità diventa dono, la compresenza un arricchimento, la libertà una responsabilità da accogliere e praticare.
Se naturalmente ogni religione professa una propria verità, accogliere quella dell’altro non è un accettare il relativismo di chi sostanzialmente nega l’esistenza di “una” Verità; viceversa, si tratta di accogliere umilmente il fatto che una verità donata non è una verità posseduta, e che il limite dell’esperienza umana e della sua finitudine non può impedire al divino di manifestarsi in una varietà di modi, modalità e realtà. Così, esattamente come il canto del basso non offusca la limpidezza della voce del soprano, e il contralto arricchisce il tessuto sonoro con qualità proprie e specifiche, allo stesso modo la presenza di diverse religioni non è una lotta per la supremazia né un gioco di potere, bensì un contributo alla coralità dell’esperienza della fede dell’umanità.
La musica è una bellezza che affascina, che dà pace e che fa intravedere una realtà infinita. Nel momento in cui gli esseri umani si lasciano andare alla commozione che essa porta e dona, essi si sentono affratellati dal sentire comune, dal condividere un’affettività profonda che fa parte, radicalmente ed inestricabilmente, del fatto stesso di essere umani. In quel “mistero” vi è lo spazio per l’irrompere del divino; e, davanti alla bellezza di un canto genuinamente religioso, si apre come una radura nel cuore dell’umanità che si inonda di luce.

 

 

 

 

Dell’Autrice segnaliamo:
Il Signore della Danza: passi tra culto e cultura
Cittadella Editrice, Assisi 2019, pp. 110