Contro la bulimia dell’informazione

Una specifica normativa chiarisce diritti e limiti giornalistici 

di Claudio Santini
docente di Deontologia al Master di Giornalismo dell’Università di Bologna e presidente del Consiglio di disciplina dell’Emilia-Romagna

 Libertà di stampa

Tutti hanno diritto di manifestare pubblicamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Così proclama solennemente la Costituzione italiana, ma la libertà di stampa, diciamolo subito, non è licenza di pubblicare tutto senza limiti: perché al diritto di chi racconta si contrappone quello - con egual valore - di chi “è raccontato” e che, ad esempio, non può subire lesione alla salute psico-fisica (articolo 32) con la diffamazione.

In questa prospettiva dunque lo stesso articolo 21, stabilisce, all’ultimo capoverso, un limite alla stampa quando non rispetti il comune sentimento del pudore e auspica provvedimenti di legge «adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni». Dunque ci sono dei limiti da rispettare e per questo la Legge sulla stampa (scritta dall’Assemblea Costituente) ha imposto l’obbligo di rettifica e pene per chi offende l’altrui onorabilità ed ha messo limiti per le pubblicazioni destinate all’infanzia e all’adolescenza e ha imposto continenza per i temi che mostrano aspetti impressionanti o raccapriccianti.
In quest’ambito normativo dunque i giornalisti devono sempre associare i diritti ai doveri; libertà e responsabilità sono, per loro, dunque, concetti e principi indivisibili e così afferma pure, preliminarmente, la legge che nel febbraio del 1963 ha istituito il nostro Ordine professionale.
Avete presente? «È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata all’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della libertà altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri della lealtà e della buona fede».
L’ espressione della libertà di pensiero e di stampa non è dunque diritto di cronaca se non si rispettano le norme fissate dalla giurisprudenza che più volte è intervenuta in questa materia con decisioni “storiche” come quella numero 5259 del 1984, pronunciata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, e conosciuta come “il decalogo”.
Innanzi tutto: il diritto di cronaca c’è per i fatti veri o putativamente veri cioè ritenuti tali dopo scrupolose e comprovabili verifiche. Non c’è dunque licenza di raccontare il falso, in più «una mezza verità non è la verità»: pertanto non si possono omettere particolari e circostanze indispensabili per la completa percezione dell’accaduto. 

No gossip

Deve sussistere inoltre l’interesse pubblico alla conoscenza dell’evento in quanto il cittadino ha il diritto di essere informato solo sui fatti di interesse generale ed essenziali per la formazione della cosiddetta opinione pubblica. In questa prospettiva, allora, il diritto di cronaca non può essere invocato per gli articoli e le fotografie che si manifestino solo intromissioni indebite nella sfera privata altrui. Infine devono essere osservati i limiti della più serena obbiettività e correttezza: non c’è infatti diritto di cronaca se il giornalista opera un “sottinteso sapiente” cioè usa determinate espressioni ben sapendo che i lettori le intenderanno in maniera diversa o addirittura contraria rispetto al loro significato letterale. Non sono tollerate poi parole tra virgolette in modo tale da fare capire che non sono altro che eufemismi e che sono da interpretare in ben altro senso da quello che avrebbero senza quel segno grafico. Non si possono, ancora, fare accostamenti suggestivi in modo che chi legge sia indotto ad associare negatività generiche a comportamenti specifici. Non ci deve essere, inoltre, «tono scandalizzato o sdegnato» rappresentato, ad esempio, da aggettivi gratuitamente riprovevoli o da abbondanti punti esclamativi nel testo e da «artificiosa e sistematica drammatizzazione» nei titoli.
Infine, in generale, il linguaggio deve essere sempre di “tono civile” e qui siamo al tema centrale di questo intervento che riguarda la sobrietà nelle comunicazioni: la misura e il controllo dell’espressione sono dunque per il giornalista non solo una indicazione di forma ma una regola di contenuto con valenza giuridica e ciò è stato ribadito pure dalla legge del 31 dicembre 1996 numero 675, detta “sulla privacy” che, fin dalla sua iniziale versione, ha inserito, all’articolo 25, «l’ essenzialità dell’informazione». Tale normativa ha avuto rilevanti conseguenze in campo giornalistico con la scrittura e il varo del Codice sottoscritto dal Garante e dall’Ordine nazionale dei giornalisti e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 3 agosto 1998.

 Sobrietà anche nei social network

L’ Autorità preposta al suo rispetto è più volte intervenuta a sua specifica tutela anche con un particolare vademecum dell’11 giugno 2004 nel quale ha ribadito il principio di continenza nell’informazione. L’originale legge sulla privacy, come è noto, è stata sostituita dal decreto legislativo del 30 giugno 2003, numero 196, che ha ribadito e sottolineato il concetto di essenzialità e ha vietato l’uso di “artifici” e ha detto no ad ogni riferimento a soggetti «non direttamente interessati».
La sobrietà è dunque confermata e costituisce uno dei fondamenti dell’esercizio della comunicazione e pone, per legge, un limite non solo al giornalismo scritto, parlato e visivo, ma anche ai social network, come ha scritto il recente Testo unico che ha riassunto e aggiornato tutte le precedenti norme deontologiche per i giornalisti. In questo lavoro di revisione e di perfezionamento, infatti, è stato poi inserito anche il delicato tema del dovuto rispetto all’identità personale dei cittadini ed è stato proclamato il principio dell’oblio del loro passato negativo, a meno che tale riferimento non sia necessario per la comprensione dei fatti accaduti.
Altro che “bulimie dell’informazione” com’è stato opportunamente messo in evidenza dal convegno di Capodarco del 2011. L’eccesso è l’esatto contrario della libertà di una informazione corretta e degna di essere diffusa ai cittadini. «Ma così si toglie sapore alla cronaca». Già, forse, ma le si conferisce sicuramente maggiore “salubrità”, il che ci pare oggi particolarmente opportuno. In un mondo infatti in cui ormai si elogia ogni alimento bio e si invoca pietà e rispetto per ogni animale, è veramente strano e sostanzialmente incoerente che spesso, troppo spesso, si pratichi e si commerci una informazione adulterata e irrispettosa della vita degli uomini.