E lo chiamiamo amore

L’amore precede la verità, ma si compie in essa

 di Gilberto Borghi
della Redazione di MC

«Amore e verità si incontreranno», dice il Salmo 84,11. Credo si possa dire che la Chiesa, nella sua storia, ci ha tenuto moltissimo all’affermazione, definizione e tutela della verità, mentre non sembra abbia fatto altrettanto con l’amore, l’altro lato del versetto del salmo.


Amore che, invece, soprattutto da certo mondo laico, è stato assunto, specie ultimamente, come unico residuo di un senso di vita possibile, dopo aver ampiamente corroso il senso della verità. A dire anche qui che, nella storia, questi due lati del versetto non sono andati molto d’accordo.
Proprio questo atteggiamento del mondo laico in cui si assume l’amore come unico senso possibile, senza necessità di una verità, fa capolino nella frase di una mia studentessa, che cita il proverbio: «In amore e in guerra tutto è possibile». Facendo emergere qualcosa di più della costatazione possibile dal versetto biblico: non solo verità e amore vanno per strade separate, ma l’amore richiede che non ci siano verità a “contenerlo”, giudicarlo, ordinarlo. Si potrebbe tradurre così: l’amore non ha regole, semplicemente è regola a se stesso.

 L’amore che si giustifica

Ma credo che su questa strada sia stato compiuto un passo ulteriore. Non solo amore e verità viaggiano separati, non solo l’amore richiede una mancanza di regole, ma l’amore giustifica se stesso. Cioè, ogni forma di amore che venga vissuto è giusto e lecito, per il semplice fatto di essere amore. Da più parti sentiamo parificare tutte le forme di amore per un figlio, anche quello che non gli rende possibile crescere e staccarsi dai genitori: nonostante ciò continuiamo a chiamarlo amore. Da più parti chiamiamo amore tutte le forme in cui due persone condividono la loro vita, e non solo a riguardo della loro identità sessuale, ma anche per le dinamiche più o meno di asservimento che si possono venire a creare tra le persone. E nonostante ciò lo chiamiamo amore. Ancora, è opinione diffusa che amore per se stessi significhi dare “da mangiare” a qualsiasi contenuto la propria volontà si porti dentro, senza bisogno di verificare se poi, davvero siamo felici facendo tutto quello che vogliamo. Della serie: se realizzi ciò che vuoi ti vuoi bene.
Solo alcuni esempi per mostrare di che cosa stiamo parlando. Per notare che il rapporto tra verità e amore non è cosa di poco conto, ma interroga nel profondo la vita di tutti, nessuno escluso. Allora la domanda potrebbe essere: davvero l’amore non ha regole? Davvero non ha verità che, da fuori di esso, possa valutarne il senso e il valore?

 Cercare una soluzione

Credo che fino a che continueremo a pensare verità e amore come due cose diverse, la questione non avrà soluzione altra da quella proposta tradizionalmente dalla Chiesa: Dio è sia verità che amore e le due cose devono trovare un equilibrio nella vita umana. Detto così, però, è evidente come ciò non sia più efficace oggi, perché siamo in una condizione culturale in cui la verità è solo ed esclusivamente soggettiva, perciò sottomessa alla volontà individuale, perciò soggiogata sempre al desiderio e al bisogno, elementi che invece tendono a riempire di sé il concetto di amore. La testa non ha più il sopravvento sul cuore, ma vale solo il rovescio, il cuore decide anche per la testa. Ovviamente non credo che la soluzione sia ritornare ad una testa che domina sul cuore, una verità che produce, definisce, organizza e valuta l’amore.
Ma credo che sia possibile, almeno, ritrovare un legame tra amore e verità. Nel senso che, secondo me, è l’amore a produrre un ordine, una verità. Se davvero vogliamo bene a nostro figlio, ad un certo punto diventa inevitabile domandarsi se il nostro modo di amarlo gli fa bene, lo fa crescere o lo sta rallentando o peggio limitando. Cioè possiamo parlare di “troppo amore” che “stroppia”. Se voglio davvero bene ad un’altra persona, è inevitabile che ad un certo punto io cerchi il suo bene, la sua felicità, non fosse altro, egoisticamente, per farla continuare a vivere e così poter continuare ad usufruire della sua presenza. Cioè l’amore mi chiede non solo il mio bene, ma anche il bene dell’altro.
Oggi incontriamo spesso persone eticamente disordinate e molte di loro vivono anche senza amore. Cioè sono in una condizione di disamore disordinato, se misuriamo secondo le regole oggettive. L’armonia tra amore e verità, invece, chiede di vivere un amore ordinato, che è esattamente il contrario. Allora la domanda è: si deve privilegiare, per prima cosa, la riconquista dell’amore o quella dell’ordine? Dell’amore o della verità? Viene prima l’ordine etico o l’amore?

 Rompere lo scrigno

Se guardiamo al vangelo, Cristo, tutte le volte che incontra qualcuno, per prima cosa lo ama, lo fa sentire amato così com’è, nella condizione in cui si trova. Solo dopo, alla fine dell’incontro, Gesù avanza una pretesa etica sulla sua vita, dopo che lui si è lasciato convertire da quell’amore che gli è arrivato. La fede nasce dall’amore, non dall’ordine etico che, invece, è la conseguenza dell’amore. L’amore è il motore della vita cristiana, e quando questo si mette in moto inizia a produrre inevitabilmente verità e ordine. Alla base c’è l’amore, e la verità è la sua conseguenza inevitabile.
Da una parte il mondo laico sostiene che l’amore non ha e non deve avere regole; dall’altro, la Chiesa dà ancora per scontato, spesso, che ci sia l’ordine etico alla base dell’amore. In realtà una regolazione esterna all’amore può essere osservata anche senza essere spinti a ciò dall’amore di Dio. Ed è forse questa la verità che il mondo laico cerca di ricordarci. Mentre noi potremmo ricordare al mondo laico che un amore senza regole non è tale, e tende a dissolversi.
In verità, che l’amore non abbia regole fa il gioco del mercato globale, in cui la pressione mass mediatica riesce a fare passare tutto per vero e tutto per falso, pur di provare a vendere qualcosa ad ogni costo. Ne deriva l’azzeramento del valore della persona come essere unico e irripetibile, della sacralità della sua coscienza, con la conseguenza della potenziale “commercializzazione” della persona, dell’amore e pure della verità. Una logica in cui lo spazio per l’amore sembra infinito, ma che si rivela, in realtà, nullo.
Un effetto, questo, che aveva visto molto bene C.S. Lewis, scrittore anglicano, che così si esprimeva già nel 1960, ne “I quattro amori”: «Non esiste investimento sicuro: amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Il vostro cuore è a rischio. Proteggetelo pure, avvolgendolo con cura in passatempi e piccoli lussi, o nelle sfrenate orge di piacere; evitate ogni tipo di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno delle regole, o nella bara del vostro egoismo senza verità. Ma in quello scrigno esso cambierà: certo non si spezzerà più, ma diventerà infrangibile, irredimibile. Infatti, l’unico altro posto, oltre il cielo, dove potrete stare perfettamente al sicuro da tutti i pericoli e i turbamenti dell’amore è l’inferno. (…)». È lo stesso che sciupare il proprio talento, o perché lo si nasconde in una buca sotto terra, o perché lo si sperpera senza regole e senza verità. Perché verità e amore stanno o cadono assieme, sempre!