Scritto nel DNA

Il dialogo, a tutti i livelli, è parte costitutiva dell’essere cristiano

 di Erio Castellucci
arcivescovo di Modena e vescovo di Carpi, Vicepresidente CEI

 Dal 1964, quando Paolo VI impostò in termini di dialogo l’azione della Chiesa, è divenuto quasi luogo comune parlare di una comunità che dialoga.

In quell’anno uscì infatti la prima enciclica del successore di Giovanni XXIII: e la prima enciclica è sempre una specie di programma del pontificato. Paolo VI, che aveva respirato a fondo l’aria nuova di un Concilio che non doveva emettere nuove condanne ma presentare la dottrina in prospettiva pastorale, adottò questa linea di apertura proprio nella sua prima enciclica, la Ecclesiam suam. Dialogo a tutti i livelli: dentro la Chiesa, con i cristiani non cattolici, con i membri delle altre religioni, con il mondo. Questi quattro cerchi del dialogo - indicati solitamente come intraecclesiale, ecumenico, interreligioso, interculturale - sono le quattro “basi azotate” che compongono il DNA cristiano.

 Dialogo intraecclesiale

Il dialogo intraecclesiale trova nella comunione la sua meta irrinunciabile ma anche irraggiungibile. Irrinunciabile, perché un dialogo nella Chiesa che non tenda alla comunione sarebbe una fatica inutile e lontana dalla volontà di Gesù (cf. Gv 17). Irraggiungibile, perché la comunione piena sarà la condizione escatologica; troppi cattolici, infatti, sognano una “Chiesa perfetta”, che non esiste, e si limitano poi ad esprimere amarezza, sconcerto e denuncia verso la comunità. Che il dialogo vada condotto prima di tutto all’interno della Chiesa - ed è forse il dialogo più difficile - trova conferma, nel nostro paese, nelle dolorose vicende post-conciliari di mancato dialogo tra le diverse “anime” del cattolicesimo italiano: tra i cristiani della “diaspora”, della “presenza” e della “mediazione” non c’è stato sempre dialogo; a volte, anzi, il confronto ha assunto toni di una tale asprezza da colpire anche osservatori esterni alla Chiesa. E la pandemia oggi mostra la particolare propensione dei cattolici alla divisione: prima tra sì-Messa e no-Messa, poi tra comunione sulla mano o sulla lingua, poi tra sì-vax e no-vax e ora tra sì-pass e no-pass…

 Dialogo ecumenico

Il dialogo ecumenico, che ha mosso i suoi primi passi all’inizio del secolo scorso, viene portato avanti dalla Chiesa cattolica post-conciliare, e specialmente da Giovanni Paolo II in avanti, con particolare forza. Nell’encliclica Ut unum sint, del 1995, papa Wojtyla imperniava sul “dialogo” una articolata riflessione: «Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento esclusivamente orizzontale, limitandosi all’incontro, allo scambio di punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna comunità. Esso tende anche e soprattutto a una dimensione verticale, la quale lo orienta verso colui che, Redentore del mondo e Signore della storia, è la nostra riconciliazione» (n. 35). Le comunità cristiane, oggi, si rendono conto di essere tutte “insufficienti” rispetto alla pienezza che è Cristo, e ciascuna comunità riconosce che ha ancora molto cammino da fare e che anche le altre comunità possono offrire elementi di crescita. Il Concilio, in Lumen Gentium 15, offre una descrizione positiva degli elementi ecclesiali conservati nelle comunità della Riforma e nelle Chiese ortodosse: specialmente la centralità della Parola nelle prime e della Liturgia nelle seconde. Il dialogo ecumenico aiuta ciascuno dei soggetti a riscoprire, con l’aiuto dell’altro, aspetti che arricchiscono la propria tradizione.

 Dialogo interreligioso

Il dialogo interreligioso rappresenta, oggi, una delle frontiere più avanzate e promettenti della teologia. Anche in questo caso, il fortissimo impulso dato da Giovanni Paolo II ha disegnato i contorni attuali del dialogo interreligioso. La riunione di preghiera tenuta ad Assisi nell’ottobre del 1986 rappresenta davvero il simbolo di una nuova epoca nel rapporto tra i credenti di tutte le grandi religioni. E l’enciclica Redemptoris Missio, del 1990, parlando della perdurante necessità di una missione “alle genti”, coniuga il dovere dell’annuncio con quello del dialogo, basato sul massimo rispetto per i germi di verità e di salvezza che si trovano dentro a qualunque tradizione religiosa. Papa Francesco, soprattutto con la firma del documento di Abu Dhabi nel 2019, insieme all’imam della Moschea di Al Azhar, ha rilanciato l’impegno comune per la pace e la giustizia. Questo dialogo, autentico e profondo, non distrugge affatto la missione: il mondo cristiano dialoga per scoprire gli elementi di verità presenti dovunque, per lasciarsi integrare e interrogare dalle prospettive degli altri e per testimoniare con libertà la propria adesione a Cristo. Come dice Benedetto XVI, la fede cristiana si espande non per proselitismo ma per attrazione.

 Dialogo interculturale

L’ultimo cerchio del dialogo si può chiamare interculturale. Esso comprende, di per sé, anche l’aspetto interreligioso: ma si può intendere, in senso più specifico, come dialogo tra Chiesa e cultura-società-politica. A questo proposito, dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso, è corrente l’espressione inculturazione. Il vangelo va tradotto in ogni cultura, è in grado di ispirare qualunque scelta sociale e politica: ma non si può mai identificare con una cultura, con una società o con un partito politico. Il vangelo, infatti, non si lascia interamente assorbire da nessuna traduzione terrena. Le regole fondamentali dell’inculturazione sono tre: valorizzazione, purificazione e compimento.
In primo luogo, la fede cristiana valorizza ciò che incontra nelle diverse culture: come Cristo ha preso carne, innestandosi nella struttura umana e “imparando” a vivere sulla terra, così la Chiesa “incarna” il vangelo facendo leva sugli elementi buoni che trova nelle diverse culture e se ne lascia arricchire. In secondo luogo, la fede purifica le culture: come Cristo è morto in croce, esprimendo un “giudizio” su quella parte del mondo che non accettava la logica dell’amore incondizionato, rompendone gli schemi, così la fede “critica” gli elementi che, nelle varie culture, non sono compatibili con il vangelo. E infine la fede cristiana porta a compimento gli elementi delle diverse culture: come Cristo è risorto, trasportando l’umanità nella gloria di Dio, così la Chiesa assume, purificate, le diverse culture e ne mostra la pienezza in Cristo. In tal modo l’umano non è mai mortificato da un’autentica inculturazione, ma - purificato - viene esaltato e condotto alla sua espressione più autentica.
Tutti i quattro cerchi del dialogo che i cristiani instaurano con gli altri uomini hanno dunque il loro modello e riferimento in Cristo. Egli ha sempre vinto la tentazione di ridurre o addolcire il messaggio perché troppo duro, ma nello stesso tempo ha sempre evitato di calarlo sulla testa delle persone che incontrava o, addirittura, di imporglielo. La stessa equidistanza è richiesta alle comunità cattoliche: in tal modo esse eviteranno le due sponde del relativismo, che svuota il vangelo, e del proselitismo, che non tiene conto delle persone e della loro dignità. Il dialogo, arte difficile, va dunque chiesto come dono al Signore, perché, se è vero che appartiene al DNA cristiano, è anche vero che ogni tanto il DNA impazzisce e causa qualche malattia genetica.

 Dell’Autore segnaliamo:

 

Solo con l’altro. Il Cristianesimo, un’identità in relazione
EMI, Verona 2018