Mamma funambola e la sua solida rete

Con il giusto sostegno è possibile conciliare un lavoro impegnativo e quattro figli

 di Micol Santi
ingegnere e manager di Bologna, madre di quattro figli

 Quinta elementare, verifica di storia. «Se tu fossi un greco dell’VIII o VII secolo a.C., in quale città della Grecia ti piacerebbe vivere e perché?».

Mio figlio Diego risponde: «Sarei nella potente città-stato di Sparta, perché sia l’uomo, sia la donna godevano della propria vita, mentre ad Atene solo l’uomo godeva mentre la donna si doveva sposare ai otto-dieci anni». Parità di diritti tra uomo e donna, e libertà di scelta sulla propria vita. Non male, se questo è il messaggio che siamo riusciti a trasmettere ad un ragazzino di 10 anni.
Quando sarà più grande, gli racconterò invece delle donne della nostra famiglia. Della nonna Anna, cresciuta in una famiglia benestante di Modena. Frequentava il liceo classico e studiava pianoforte al conservatorio. Quando però si fidanzò con il nonno, appena diciassettenne, i genitori la ritirarono da scuola e non poté diplomarsi. Doveva prepararsi a diventare una brava moglie, a saper gestire una casa ed educare i quattro figli che sarebbero arrivati. Erano gli anni Cinquanta.
Anche mia madre, trent’anni dopo, avrebbe voluto proseguire gli studi e iscriversi all’università. Arrivai io a guastare i programmi (o riscriverne di nuovi), e si mise a lavorare con il suo diploma in ragioneria. Rinunciò alle sue aspirazioni per accogliere me e per sostenere mio padre, che poté così continuare gli studi e laurearsi.

 Libertà conquistate, nuove costrizioni

In famiglia, io appartengo quindi alla prima generazione di donne che ha realmente pari opportunità, che può scegliere di avere altre priorità rispetto al diventare moglie e madre. Posso finalmente essere una “donna di Sparta”, come direbbe mio figlio, godere della mia vita e guardare l’uomo negli occhi da pari a pari.
Se una volta il desiderio delle famiglie era vedere le ragazze accasate e sistemate, ora più spesso (almeno negli ambienti che frequento) si spera di vederle indipendenti, realizzate professionalmente, donne di successo. Nel raggiungere questi obiettivi, si rischia però di accantonare il desiderio di avere un figlio, o rimandarlo a quando le costellazioni lavoro / finanze / casa siano finalmente allineate.
È possibile oggi desiderare una famiglia giovane, magari anche numerosa, senza sacrificare le proprie ambizioni? Oppure la libertà di scegliere se costruire una famiglia o realizzarsi individualmente nasconde in realtà l’obbligo di scegliere cosa sacrificare? Con la mia storia vorrei testimoniare che è possibile, con un po’ di incoscienza ma anche caparbietà ed ottimismo.
Nel 2005 mi sono presentata ai primi colloqui di lavoro, avevo 25 anni e mi ero appena sposata. Qualcuno mi aveva consigliato di togliermi la fede dal dito, io invece, con anche una punta di orgoglio, avevo sottolineato il mio stato civile sul curriculum. Era un buon curriculum e mi hanno assunta, pur mettendomi in guardia rispetto alle frequenti trasferte e gli orari imprevedibili.
L’anno successivo sono rimasta incinta, ho chiamato il mio capo di allora e gli ho detto “Ti devo parlare”. La sua risposta fu «Basta che non ti licenzi, puoi dirmi quello che vuoi». Ammetto che sentire questo mi fece molto piacere. Nel corso di 8 anni l’ho poi richiamato per lo stesso motivo una seconda, terza, quarta volta. Ha smesso di rispondere quando vedeva comparire il mio nome, ma ormai conoscevo le procedure da seguire in autonomia.

 Ci vuole un po’ di testardaggine

Ad ogni maternità, in azienda si aspettavano che avrei mollato, che mi sarei cercata un impiego più tranquillo. È quello che fanno di solito le colleghe che decidono di avere figli. Dall’altra parte, la mia famiglia invece si aspettava “moderazione”: perché avere anche il terzo o quarto figlio e mettere così a repentaglio anni di studio e la prospettiva di una carriera?
Già, una certa disapprovazione si è sentita anche dall’interno. Le stesse nonne, che si erano riempite di orgoglio per la mia laurea, esprimevano ora preoccupazione per il mio lavoro, addirittura per il mio matrimonio.
Invece è proprio mio marito il primo che devo ringraziare. È di lui che racconto, quando sono in viaggio per lavoro e mi chiedono «Ma come fai, con quattro figli?». Fin dall’inizio, ci siamo divisi i compiti di cura della casa e dei figli totalmente alla pari. Con l’eccezione di gravidanza e allattamento, non c’è nessun compito o nessun contesto in cui la mamma non possa essere egregiamente sostituita. Mio marito mi sostiene e mi incoraggia, senza mai farmi pesare il fatto che io sia meno presente di lui nella vita dei bambini. Qualcuno nota che sia strano non vedere mai la mamma ai colloqui con gli insegnanti o alle feste dei compagni di classe. Probabilmente invece non si stupirebbero di un papà assente per via del lavoro. Pazienza.

 Non siamo così soli

In secondo luogo, non siamo soli: il nostro nucleo familiare non è un satellite perduto nello spazio, ma abbiamo una fitta rete di amicizie e di familiari intorno. Siamo e ci sentiamo parte di una comunità, non abbiamo quindi timore a chiedere aiuto quando il lavoro di entrambi non ci permette di star dietro a tutto. Laddove non arrivano i nonni (presenti, ma spesso impegnati quanto noi), ci sono altre persone straordinarie su cui possiamo contare e che possono contare su di noi. Abbiamo aperto la nostra casa e i nostri cuori e costruito legami, una rete appunto, che non ci lascia cadere.
Abbiamo uno stile di vita piuttosto semplice. Il nostro terzo figlio è nato quando abitavamo ancora in 50 metri quadri, un’unica camera da letto. Ora viviamo in una casa più grande, ma continuiamo a spendere pochissimo in mobili, vestiti, giochi e necessario per i bambini, poiché attraverso la rete di familiari e amici troviamo e riutilizziamo quasi tutto quello che ci serve. Per questo vi invito a non credere agli studi su “quanto costa crescere un figlio in Italia”, ma parlare direttamente con chi di figli ne ha almeno due o tre: si diventa creativi e semplici, e può essere un percorso ricco di gioia.
Infine, abbiamo un sistema intorno che funziona. Quest’ultimo punto mi sembra il più critico, il più difficile da influenzare. Il mio percorso è stato facilitato dall’avere un contratto di lavoro con tutte le tutele. Viviamo in una città, Bologna, con servizi pubblici funzionanti e di ottima qualità (consultori e centro nascite, pediatra, asilo nido, trasporti…). Questi sono i fattori su cui dovrebbero lavorare politici e amministratori pubblici per supportare le famiglie.
In conclusione, è possibile scegliere di avere figli oggi, da giovani. Bisogna andare talvolta controcorrente e non ascoltare le voci che cercano di dissuadervi. Gli argomenti della prudenza, della ragionevolezza, dell’economia, della paura. Ci vuole fiducia, tenacia, coraggio, disponibilità di aprirsi agli altri. Ma ne vale certamente la pena.