Sono solo i soliti selfie

Immagini che tolgono libertà. Ovvero: la dittatura del corpo unico

 di Giovanna Cosenza
professore ordinario di Filosofia e Teoria dei Linguaggi, Università di Bologna

  Tutti i mezzi di comunicazione di massa, vecchi e nuovi, dal cinema alla televisione, dalla moda ai videogiochi, dalle affissioni pubblicitarie tradizionali agli spot su Internet, hanno sempre rappresentato il corpo umano in modo astratto e idealizzato, e cioè lontano dalla realtà dei corpi in carne e ossa.


Negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta c’erano le luci, i filtri e gli allestimenti fotografici, il make up di scena, le tecniche di chirurgia estetica all’epoca disponibili, più una quantità di accorgimenti che i non addetti ai lavori nemmeno immaginavano, a cancellare le imperfezioni dal volto e dal corpo delle grandi stelle del cinema e della televisione. Sappiamo tutti, ad esempio, che Marilyn Monroe e Sophia Loren, pur già splendide di natura, in realtà non erano così perfette come apparivano nei servizi fotografici. Lo stesso trattamento toccava a simboli di bellezza maschile come Paul Newman e Marcello Mastroianni, anche se il senso comune era abituato - e lo è tuttora - ad associare trucchi e ritocchi solo alle donne. Alle stesse tecniche, poi, accedevano le celebrità di tutti i settori, dalla moda alla musica, dalla pubblicità alla politica.
A partire dagli anni Ottanta, con la prima diffusione di massa delle tecnologie digitali, le possibilità di intervenire sulla rappresentazione fotografica del corpo umano si sono moltiplicate a dismisura: oltre al trucco, alla chirurgia e agli allestimenti di scena, è subentrato il fotoritocco digitale, per correggere, cancellare, limare tutto ciò che si vuole e si può. Fino a quando, negli ultimi anni, queste possibilità hanno raggiunto gli smartphone, col risultato che persino i bambini e i preadolescenti, oggi, riescono in pochi secondi a manipolare fotografie e autoscatti (i cosiddetti selfie).

 Verso un unico modello estetico

Ebbene, la combinazione di pratiche che precedevano il digitale e di tecnologie del fotoritocco ha fatto sì che, negli ultimi cinquant’anni, le immagini dei corpi e volti che la nostra cultura propone come ideali siano diventate sempre più simili le une alle altre, sempre più convergenti verso un modello unico.
Fateci caso: se fino agli anni Ottanta la comunicazione di massa - cioè l’insieme di cinema, televisione, moda, musica pop, pubblicità, spettacolo - ammetteva come belle e desiderabili, per le donne, le più svariate forme di bocca, dai Novanta in poi si sono imposte ­le cosiddette “labbra a canotto”, più o meno inturgidite da interventi estetici o chirurgici, e poi ritoccate ancora con Photoshop. Se fino agli anni Ottanta la comunicazione di massa proponeva (anche) figure femminili con poco seno (si pensi a Farrah Fawcett), dai Novanta in poi è diventato quasi un dovere, per le protagoniste della scena pubblica, sottoporsi alla mastoplastica additiva. Qualcosa di analogo, pur in misura minore, è accaduto agli uomini: se fino agli anni Ottanta era ammissibile che il torace di Alain Delon, modello di bellezza maschile, non fosse gonfio di muscoli, in seguito ci siamo abituati al fatto che attori, presentatori, cantanti passino diverse ore al giorno in palestra, non per obiettivi di salute, ma per ingrossare e scolpire busto, glutei, polpacci, e chi più ne ha più ne metta.

 Repetita non semper iuvant

Abbiamo insomma assistito a una progressiva assimilazione dei corpi umani esibiti dalla comunicazione di massa, un’assimilazione così forte che oggi il modello è unico, totalitario. Il digitale, fra l’altro, ha imposto a questo processo una forte accelerazione e accentuazione: ciò che nella realtà naturale - analogica - è al massimo simile o molto simile, se rielaborato in digitale diventa proprio identico.
Lo vediamo nelle grandi produzioni hollywoodiane, in cui è sempre più difficile distinguere ciò che è stato prima videoripreso e poi lavorato in digitale, da ciò che è stato creato al computer ex novo, ed è sempre più difficile distinguere il corpo di un attore da quello di un supereroe digitale. Ma lo vediamo anche nella proliferazione di autoscatti su Instagram, che le star dello spettacolo e gli influencer di rete producono ogni giorno: straordinariamente simili gli uni agli altri, non solo per fattezze, ma per posa, stile, uso di filtri e luci.
Cosa c’entra tutto questo con la nostra vita di tutti i giorni? Come incide sul modo in cui, guardandoci allo specchio, decidiamo se quello che vediamo ci piace o no?
La ripetizione - come molte ricerche di psicologia applicata al marketing mostrano da decenni - è un mezzo fondamentale, oltre che per rendere più efficace un messaggio, anche per costruire il gusto, lo stile, la tendenza dominante in una società: prendi un colore, una forma, un motivo musicale che all’inizio non ti piaceva, se lo stesso colore, la stessa forma, lo stesso motivo ti vengono ripetuti dieci, cento, mille volte, alla fine non solo ti ci abitui, ma finisci per considerarli attraenti, desiderabili. Dopo un certo numero di ripetizioni, insomma, può piacerti anche qualcosa che all’inizio non sopportavi. 

Dentro la nostra prigione

È chiaro, a questo punto, quanto possa essere potente la ripetizione di un modello unico di corpo, maschile o femminile che sia: finisce per piacerci, desideriamo che il nostro corpo sia come quello, anche se è materialmente impossibile, visto che noi siamo reali mentre quello è contraffatto, o addirittura non esiste perché è un prodotto digitale. È chiaro inoltre come la ripetizione del corpo unico ci tolga più di una libertà: la libertà di essere diversi gli uni dagli altri, quella di essere noi stessi, senza trucchi né ritocchi, e quella di piacerci così come siamo, con le nostre imperfezioni e particolarità. Ed è chiaro, infine, perché non solo le celebrità, ma pure i nostri bambini e adolescenti, con i loro smartphone, non facciano che produrre e riprodurre, più volte al giorno, immagini di se stessi sempre più simili alle star: stesso broncio, stessi sguardi, stesse smorfie, stessi muscoli in primo piano.
Ma come possono poi piacersi, quando si guardano allo specchio e si vedono così lontani dal modello unico? Non si piacciono, infatti: guarda che grasso, che naso, che poco seno, che questo e che quello. Di qui all’aumento inarrestabile e sempre più precoce di disturbi alimentari (gli psicologi lo sanno) il passo è breve. Di qui alla domanda crescente e sempre più precoce di chirurgia estetica (i medici lo sanno) il passo è breve.

 Dell’Autrice segnaliamo:
Semiotica e comunicazione politica
Laterza, Bari 2018, pp. 159