Se i muli avessero gli occhi a mandorla

Come distinguere perseveranza e testardaggine

 di Raffaello Rossi
Consulente familiare, insegnante di scuola secondaria superiore

 Come distinguere la perseveranza dalla testardaggine? La prima è una virtù fondamentale per l’uomo retto e saggio, la seconda è un difetto che irrigidisce l’uomo impedendogli di avere un adeguato senso di realtà. Ma la linea di demarcazione è labile e non sempre risulta facile comprendere se certi atteggiamenti sono segno di perseveranza o di testardaggine.

 Dizionario alla mano

Iniziamo dalle definizioni.
“Perseveranza”: dal latino per a lungo severus rigoroso. Caratteristica di chi non si arrende di fronte alle difficoltà per il raggiungimento di un obiettivo, anche con coraggio. Paziente determinazione di chi si pone obiettivi raggiungibili. Simile a tenacia, propria di colui che tiene la rotta.
“Testardaggine”: da testardo agg. e s. m. (f. -a) [der. di testa]. – Cocciuto, eccessivamente ostinato, che persiste nelle decisioni prese, è testardo come un mulo; come sost.: sei una gran testardo!; con un testardo è inutile discutere.
La persona perseverante è dunque rigorosa, coraggiosa, determinata a perseguire obiettivi raggiungibili.
“Porsi obiettivi raggiungibili”: ecco una prima caratteristica distintiva. Anche il testardo può essere rigoroso, coraggioso, a volte temerario, ma il suo mantenere la rotta si rivolge ad obiettivi irreali, irraggiungibili, fuori dalla propria portata.
Possiamo comprendere quando un obiettivo è realistico e raggiungibile? Per compiere questa operazione è necessario un cammino di discernimento, proprio del perseverante, ma non del testardo. Il discernimento si fonda sull’auto ascolto e sull’ascolto altrui, così da cogliere ed accogliere quanto ci si manifesta a trecentosessanta gradi, intorno a noi e dentro di noi.
“La capacità e la disponibilità all’ascolto” è quindi un’altra caratteristica che diversifica il perseverante dal testardo: il testardo si impunta, dà di testa, è cocciuto, con una immagine che non rende giustizia al mulo si dice testardo come un mulo! Colui che non ascolta e non introietta, persona con cui, proprio per questo, è inutile discutere. Colui che prende a testate un muro, operazione indiscutibilmente inutile e dannosa.

 Le perfezioni orientali

Se riprendiamo le perfezioni della cultura orientale – generosità, disciplina, pazienza, concentrazione e conoscenza trascendente -, potremmo affermare che esse sono una rappresentazione complessiva della perseveranza, che in questo elenco sarebbe originalmente compresa. Queste virtù vengono definite perfezioni, probabilmente nel senso che orientano ad un cammino di perfezione e crescita personale permanente.
L’uomo perseverante è generoso, attento al prossimo, disponibile senza la pretesa del controllo su ogni cosa ed ogni passo della propria vita, ma allo stesso tempo non si lascia né distrarre né scoraggiare dagli imprevisti e dalle avversità.
L’uomo testardo invece è fortemente ego-centrato: ripiegato su se stesso e teso al soddisfacimento dei propri desideri o a veder prevalere il proprio pensiero, più concentrato sull’ottenere ragione che sulla ricerca della verità. Disposto a passare sopra gli altri pur di realizzare quanto ha in mente.
L’uomo perseverante si impegna con disciplina e pazienza. Si organizza con piani di azione, facendo conto sulle proprie risorse, analizzando le difficoltà che potrebbe incontrare, ipotizzando alternative e soluzioni realistiche con pazienza (dandosi il tempo per sentire: patire) e flessibilità. È attento sia all’obiettivo che alle relazioni; è orientato al successo e non teme il fallimento, avendolo messo tra le opzioni possibili. Il criterio di valore del sé è maggiormente incentrato sull’essere e solo in parte sul fare, visto come elemento necessario per portare a compimento alcuni passaggi personali, relazionali ed esistenziali.
L’uomo testardo, se adotta una condotta disciplinata, lo fa in modo rigido, poco flessibile e impaziente: la fretta e alcuni tratti di ansia sono una delle caratteristiche emozionali e comportamentali del testardo. La tensione verso l’obiettivo è nettamente prevalente, anche a costo di sacrificare le relazioni o di non ascoltare i segnali di pericolo o di cedimento del proprio organismo. Il testardo teme il fallimento, in quanto esso sarebbe una sorta di etichettamento della propria inadeguatezza e lo esporrebbe al giudizio negativo degli altri. Il successo diviene per il testardo una compensazione di tipo narcisistico, una fame insaziabile che lo spinge verso nuove mete per confermare il valore di sé, che non riesce ad attribuirsi col criterio dell’essere, ma solo in base al fare.

 Due visioni opposte

La concentrazione dell’uomo perseverante ha tratti diversi da quella, pur presente, del testardo. La concentrazione perseverante, derivata da discernimento e consapevolezza, tutto ama, tutto ascolta, tutto accoglie, senza vivere le difficoltà o le eventuali opposizioni  come torto personale. La concentrazione del perseverante è correlata alla cum-passione: alla consapevolezza di fare parte di un disegno più grande, in cui gli altri uomini sono un dono, sono fratelli, sono unici ed irripetibili, quindi meritano grande rispetto e hanno comunque qualcosa di bello e di misterioso da insegnare.
La concentrazione dell’uomo testardo invece diventa una sorta di accanimento in vista del risultato, una chiusura di visione esistenziale, come se il testardo avesse davanti agli occhi una lente da macro fotografia, per cui riesce a vedere solo il particolare su cui si è appunto concentrato. L’orizzonte delle possibilità e la consapevolezza nel testardo si restringe, mentre nel perseverante si allarga, sa creare nuove opportunità, sa integrare, assimilare e sa adattarsi alla realtà.
La perseveranza si avvale anche della conoscenza trascendente. L’uomo perseverante sa andare oltre se stesso, aprirsi con disponibilità a disegni altri da sé e dai propri bisogni meramente individuali. Il perseverante sa basarsi sulle proprie risorse e si impegna a partire da quanto dipende da lui, senza pretendere e aspettarsi dall’esterno soluzioni; allo stesso tempo però ha obiettivi di più grande respiro, connotati da trascendenza e spesso da spirito di servizio. Un esempio calzante potrebbe essere Francesco di Assisi.
L’uomo testardo tende invece ad una conoscenza essenzialmente immanente, fondata sul proprio ego e finalizzata all’ accrescimento e riconoscimento di esso. Gli obiettivi del testardo sono volti a sé e incuranti degli altri o degli eventuali morti lasciati per strada. L’altro è un concorrente, un antagonista, ma, allo stesso tempo, il testardo pretende aiuti e risorse dall’esterno, dando spazio alla collera qualora non ottenga quanto desidera e si aspetta.
Termino queste brevi riflessioni con una citazione di Hermann Hesse: «Contro le infamie della vita le armi migliori sono: la forza d’animo, la tenacia e la pazienza. La forza d’animo irrobustisce, la tenacia diverte e la pazienza dà pace». 

Dell’Autore segnaliamo:
L’ascolto costruttivo
EDB, Bologna 2013, pp. …