«Le parole sono molto importanti – Maura si rivolge al cerchio attento – hanno una loro sacralità. Dunque mi e vi chiedo: nella nostra vita c’è una parola talmente “nostra” che si è fatta davvero carne in noi, cioè che è diventata parte di noi e della nostra vita? Ci sono state nelle nostre vite delle parole che sono state così dolorose o anche così belle e positive, da essere davvero diventate parte delle nostre esistenze?».

a cura della Caritas diocesana di Bologna

 Fanno bene e fanno male!

… e intanto Dio dolcemente sussurra

IL TÈ DELLE BUONE NOTIZIE

«I miei vivevano insieme, ma non erano sposati - si fa avanti Roberta timidamente, la voce dolcissima -

ai miei tempi però il mio babbo non poteva passarmi il suo cognome senza essere sposato con mia madre e allora mi definivano una “figlia di NN”. Ricordo benissimo: in classe non potevo neppure restare durante l’ora di religione. Mi mandavano fuori dalla porta e mi dicevano che “vivevo in una situazione irregolare”, ma io non capivo. Me ne stavo seduta per terra nel corridoio e non sapevo neppure il perché di quel trattamento… finchè qualcuno poi con cattiveria mi spiegò quale fosse davvero il mio problema: “ero una figlia di nessuno”. Per anni quell’etichetta ingiusta mi ha perseguitata».

 «Mica mi prostituivo!»

«Ma è terribile! Mi dispiace tanto! - interviene di getto Maurizio, il viso arrossato di chi si vergogna - Ecco: questo dice l’importanza di una parola… Per me una parola bellissima invece è “ciao!”, un saluto: è un modo per riconoscermi, per darmi importanza, per farmi sentire “visto”. Io mi sento grato di questi “ciao” che mi dicono per strada, mi emoziono sempre quando qualcuno mi saluta per strada…».
«Anche io ho in mente una parola brutta che ho ricevuto tanti anni fa - si infila Maria Rosaria -  Avevo trovato un posto letto in una casa di studentesse a Salerno. Certo, allora facevo una vita non impegnata. Uscivo alla sera e tornavo a casa tardi. E una mattina una delle ragazze mi disse: “Fossi in te, mi vergognerei…”, così mi disse! E questa frase mi ferì tantissimo… Lei era una ragazza per bene, seria, che studiava e si impegnava… Ma mi giudicava per la vita che conducevo. Io però allora mi son sentita davvero una merda – scusate la parola! Oggi so che non facevo nulla di male: ero molto giovane, andavo solo a ballare, mica mi prostituivo! Ci rimasi malissimo perché anche se di notte facevo tardi e mi piaceva ballare, io sapevo di essere una brava persona. Ma stetti così male per quel giudizio che dopo poco me ne andai di lì e non tornai mai più».
«Pure io ho un ricordo molto preciso di una frase che mi ferì - fa eco Daniele - Cinquant’anni fa alle medie ero un ragazzino vivace. Sono cresciuto in strada a Corticella: giocavamo a sassate o con la cerbottana e ci menavamo giocando “alla boxe”: quelli erano i nostri passatempi… Alle medie ero io il capo della classe: ero quello che picchiava tutti. E alle medie conobbi la professoressa F.B. ovvero la stronza che insegnava italiano - Daniele si alza in piedi di foga ed entra nei ricordi con un balzo come fosse pronto a combatterli - Quella volta c’era un’ora buca ed un gran casino. Lei aspettava ad entrare che tutti si calmassero. Allora io, per aiutarla, salii su una sedia e feci due urlacci. Tutti stettero zitti di botto. La prof entrò ed invece di dirmi “grazie” come mi aspettavo, con un tono di superiorità mi chiese: “E tu chi ti credi di essere?” Allora io di getto e sinceramente risposi “Biagio Daniele!”, lei si arrabbiò e mi urlò in faccia: “Biagio: fuori!” Allora io mi voltai verso la classe e dissi “ricominciate pure ragazzi!”. Lei allora mi mollò uno schiaffo tremendo davanti a tutti ed uscii, ma ne fui ferito profondamente perché ero ancora piccolo e non avevo un’identità formata…».

 Il Salmo e il Cantico

«Io invece ho una parola della Bibbia che mi ha molto disturbato - la voce di Maura rimbalza nel cerchio - Quando ero ragazzina, andavo in vacanza a Lizzano, dalle suore. Una mattina lessi un salmo, il 137. È il salmo del Nabucco che riporta il lamento degli esuli d’Israele e ricordo benissimo una frase di odio contro i nemici “Babilonia devastatrice, beato chi prenderà i tuoi bambini e li sfracellerà contro la roccia”. Avevo solo 14 anni e ne rimasi davvero sconvolta… Forse non dovremmo chiamare questa Parola di Dio, perché Dio non parla così. Per contro un po’ più grande mi capitò di leggere un altro libretto della Bibbia, il “Cantico dei cantici” che è a tutti gli effetti un libretto d’amore certo, ma erotico, dove l’amore di Dio per noi viene descritto come l’attrazione carnale fra un ragazzo e una ragazza. Allora ho pensato che forse nella Bibbia non c’è tutto Dio ma c’è di sicuro tutta l’umanità ed è una cosa molto bella questa!».
«Mi pare che stia venendo fuori che grande responsabilità hanno le parole - riprende Maurizio quasi sovrappensiero - Ad esempio c’è una parola che a me personalmente ferisce tantissimo. È la parola “puttana”! Allora: se un uomo va con tante donne, è considerato un “dritto”, ma se una donna cambia compagno, subito viene definita una “puttana”… Il fatto grave è che questa parola ci ha educati: ha una sua pericolosità e una sua violenza, secondo me ha persino influenzato brutalmente la nostra cultura. Con quella parola lì ci è entrato qualcosa nella mente e la testa si è plasmata. Lo dimostra il fatto che non esiste nessun corrispondente di significato per il mondo maschile!».
«La mia esperienza è stata diversa - dice Carla - Nella mia esperienza ciò che più mi ha segnato non sono state le parole, ma il silenzio. Tutto quel “non detto” dai miei genitori e dalla mia famiglia ha per sempre ferito la mia infanzia e la mia adolescenza. Una cappa di silenzio atroce. Io resto convinta che una parola giusta, al momento giusto, davvero può salvare qualcuno».
Maura si alza, attraversa la stanza e si siede al fianco di una bella signora dagli occhi azzurrissimi. «Senti Franca, tu sei volontaria nella mensa della fraternità ormai da tantissimi anni: ma questa parola ”fraternità”, nella tua vita, da dove viene? Si è realmente fatta carne in te?».

 Nel cuore di tutti

«Cara Maura, vi confiderò che la parola “fraternità” arriva in me dalla sofferenza che mi ha fatto andare verso la fede. Ero una donna di trent’anni, non ero più una bimba, stavo in quella camera d’ospedale anni e anni fa, senza tante speranze d’uscirne e là sulla parete quel Cristo nel silenzio di tutte quelle notti: ma quante! Mi chiedevo: ce la farò? E mi domandavo: ma io cosa ho fatto sin qui? Ed allora pensavo: se esco di qui, qualcosa voglio fare davvero per gli altri… ecco, allora ho capito che fraternità non era una parola, ma era una guida, una direzione per la mia vita».
«Ma guarda un po’: io vengo in mensa a mangiare da tanto tempo, ci incontriamo spesso e non conoscevo la tua storia, Franca - commenta Maurizio sorpreso. Sapete? Penso che le parole più importanti non siano quelle pronunciate, ma quelle silenziose, quelle che formuliamo nel nostro silenzio. Dio usa proprio quelle parole lì con noi, non è che urla da lassù, no? Certo, Dio si esprime anche nelle parole ufficiali della Chiesa, ma secondo me si esprime benissimo direttamente nel cuore di tutti ed è Parola Sua anche quella, vero?».
Ma non sarà che il segreto del tè, nel mare di parole che ci scambiamo, sia proprio quel sussurrare di Dio nei nostri cuori?