Scendi dalle stelle e vienimi a cercare

Dall’Antico al Nuovo testamento, si racconta di un Dio sempre più vicino all’uomo

 di Giuseppe De Carlo
della Redazione di MC, biblista

 Nel capitolo sesto del suo libro, Isaia narra come Dio lo ha chiamato ad essere profeta.

La scena è grandiosa, ambientata nel tempio di Gerusalemme: il Signore si manifesta a Isaia, che però non vede il volto di Dio, ma la gloria del Signore che si manifesta nel mantello e nel fumo che riempiono il tempio. A rendere più chiara l’esperienza che il profeta sta facendo appaiono dei serafini che proclamano: «Santo, santo, santo (qadosh, qadosh, qadosh) il Signore degli eserciti».
La reazione è di spavento e paura, nella percezione di essere impuro, peccatore, lui e il popolo in mezzo al quale vive. Ha paura di morire perché i suoi occhi «hanno visto il Signore». Il racconto esprime bene la concezione che della santità ha il popolo dell’Antico Testamento. Santo è il Signore nel suo essere e nel suo agire. L’uomo vive in una condizione di impurità e di peccato, resa ancor più evidente a contatto con la santità di Dio. Il Signore è santo e tutto ciò che ha a che fare con il Signore entra nella sfera del “sacro”.

 I cieli e la terra

A proposito di spazio, il Salmo 115 al versetto 16 dice «I cieli sono i cieli del Signore, ma la terra l’ha data ai figli dell’uomo». Si potrebbe capire che i cieli sono sacri, mentre la terra è profana, impura. Ci sarebbe una differenza sostanziale tra lo spazio di Dio e lo spazio dell’uomo. Dio è santo e abita lo spazio sacro, l’uomo è impuro e abita lo spazio impuro. Tuttavia, il testo sacro non giustifica una concezione dualistica. Tornando al racconto della vocazione di Isaia, dopo che i serafini hanno proclamato la triplice santità del Signore continuano: «Tutta la terra è piena della sua gloria». Dunque, la santità di Dio non si manifesta esclusivamente nei cieli, ma riempie anche tutta la terra.
Come i cieli, così anche la terra diviene «sacra», a contatto con la santità di Dio. Gli spazi terreni delle manifestazioni di Dio godono di uno speciale statuto di sacralità. Emblematica, a questo proposito, è l’esperienza di Mosè al roveto ardente: mentre incautamente egli si avvicina al roveto, il Signore gli dice: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!» (Es 3,5). Sono molti i racconti biblici che narrano di personaggi che hanno una particolare esperienza di Dio e nel luogo in cui quell’esperienza è avvenuta si costruisce un altare o si edifica un santuario perché quel luogo è divenuto sacro e deve essere separato dallo spazio profano circostante.

 Una nazione santa

Ma il Signore vuole che innanzitutto il suo popolo divenga santo, partecipe della sua santità. Al Sinai egli stabilisce il rapporto di alleanza sulla base di queste parole: «Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,5-6). L’invito alla santità diviene un imperativo pressante perché sia mantenuta integra l’identità del popolo dell’alleanza: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 11,44; 19,2; 20,7).
La santità a cui è chiamato il popolo dell’alleanza non è però una conquista autonoma, ma un dono gratuito di Dio: «Io sono il Signore che vi santifica» (Lv 20,8). E nel corso di tutta la storia della salvezza il Signore santifica, consacra alcune persone cui affida una missione particolare. Queste persone, in particolare i profeti, vengono separati dai loro fratelli, messi a parte in una relazione più ravvicinata con Dio per essere inviati di nuovo in mezzo al popolo quali ambasciatori del Signore. Il Signore è così continuamente partecipe della vita del suo popolo, sia con la presenza dei suoi inviati, ma ancor più con i suoi interventi diretti.
Fino alla presa di possesso della terra promessa Dio era in cammino con il suo popolo. Una volta che Israele si è stanziato nella terra e ancor più quando si è dato una struttura monarchica, si sente l’esigenza di dare un luogo stabile alla presenza di Dio. Si concepisce così la decisione di costruire il tempio accanto al palazzo del re in Gerusalemme sul monte di Sion. Dio approva e a più riprese conferma: «Questo è il luogo che io ho scelto per abitare in mezzo al mio popolo». Il tempio diventa così il luogo in cui incontrare Dio e rendergli culto. Addetta al culto è tutta una classe sacerdotale che per svolgere la propria missione deve sottoporsi ad una serie di norme di purificazione che allontani dalla profanità dei propri fratelli e avvicini alla santità di Dio. Ben presto il culto reso a Dio presso il tempio viene assolutizzato e il tempio stesso diviene un feticcio: si pensa che basta rendere culto a Dio nel tempio con liturgie e sacrifici senza che il rapporto con Dio abbia una ricaduta nella vita sociale. I profeti, a nome di Dio, denunciano con forza questa falsa religiosità. Tuttavia, l’importanza del tempio aumenta ancor più al ritorno dall’esilio a Babilonia, perché non c’è più la monarchia né la proprietà della terra. Il tempio funge da luogo di culto, ma forse ancor più da centro in cui si svolge l’amministrazione politica ed economica.

 Sacro è il fratello

Questa è la situazione che trova Gesù, ma con il suo avvento cambiano radicalmente le prospettive circa la santità e il culto. Egli è il santo e partecipa la sua santità a tutto ciò che viene a contatto con lui. La Palestina può così essere definita Terra Santa. Tuttavia, se in antico la santità era ben distinta dalla profanità e dall’impurità, ora Gesù predilige la compagnia proprio di coloro che sono ritenuti inavvicinabili dalla religione ufficiale: pubblicani, peccatori, prostitute. Nell’insegnamento di Gesù, lungi dal cadere nell’impurità per la frequentazione di tali categorie, i suoi discepoli sono invitati ad avvicinarsi proprio agli esclusi dalla religiosità perbenista. E in questo consiste il cammino di santità. Se in antico la santità consisteva nell’allontanarsi dai propri fratelli, ora è proprio la vicinanza ai più diseredati che mette in più stretta comunione con Gesù che si identifica con i più piccoli. In tal modo anche il tempio perde gran parte della sua importanza. Il luogo privilegiato della presenza di Dio in mezzo al suo popolo non è più il tempio, ma l’uomo vivente che sperimenta la fragilità e l’indigenza.
Quando Gesù, parlando con una donna samaritana, affronta il tema di dove adorare il Padre, nel tempio di Garizim in Samaria o nel tempio di Gerusalemme, dice che «i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4,23). Cioè, coloro che hanno ricevuto la piena rivelazione del volto del Padre portata da Gesù hanno la consapevolezza che Dio vuole essere adorato nella quotidianità delle relazioni fraterne, da cui il Padre non è escluso: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Il tempio e le chiese saranno il luogo della convocazione del popolo di Dio per celebrare l’Eucaristia e ripartire per incontrare il Signore nei fratelli e nelle sorelle, in ogni luogo e situazione.