Costume, pinne e arcobaleno

Chi frequenta la propria fede, può immergersi in tutti i colori del mondo

 di Ignazio De Francesco
monaco della Piccola Famiglia dell'Annunziata

 Per l’assistenza dei miei genitori anziani si danno il cambio persone di quattro direzioni del vento: Nigeria, Perù, Filippine, Romania.

Certamente loro due non se lo sarebbero mai immaginato, e neppure noi figli. Quand’eravamo piccoli i vecchi di casa erano accuditi da quelli di casa e, alla bisogna, da qualche brava signora dell’est (Italia) e del sud (Italia). Per la mia Torino erano quelle le due direzioni del vento del cambiamento, oltre mezzo secolo fa: immigrati dal Veneto e dal Meridione. Avevo appena imparato a leggere e chiedevo spiegazioni a mio padre su certi cartelli che riuscivo a decifrare sui portoni d’ingresso: «Non si affitta a meridionali». Ma quei meridionali, insieme ai veneti, costruirono la ricchezza della città. Insieme a quella materiale l’altra più profonda: la ricchezza spirituale e culturale. Ogni arrivato portava con sé la propria tessera, e l’aggiungeva in un mosaico che si faceva sempre più ricco e colorato, ravvivando l’uniforme “piemontesità” degli autoctoni. Uniforme? Ma anche quella era frutto di una precedente composizione: l’immigrazione a Torino dalle altre zone del Piemonte, nel non troppo lontano Ottocento. Astigiani, cuneesi, alessandrini in cerca di lavoro nelle industrie della capitale.

 Religioni con le gambe

L’identità plurale della città dove sono nato e ho trascorso la prima parte della mia vita mi è sempre rimasta impressa dentro, è stata come un trampolino di lancio per proiettarmi verso pluralità più vaste e complesse, a partire da Roma. Lì Giuseppe Dossetti, padre costituente e fondatore della comunità religiosa alla quale appartengo, la Piccola Famiglia dell’Annunziata, mi ha mandato a studiare e lavorare, all’inizio degli anni ’90. Mi aveva preparato uno strano miscuglio d’impegni: alla mattina lavoravo alla Congregazione per le Chiese Orientali, il dicastero vaticano che si occupa dei cristiani di rito orientale in comunione con la Chiesa cattolica, e al pomeriggio studiavo patrologia all’Augustinianum, vale a dire le radici di un’esperienza cristiana che è in sé plurale: latini, greco-ortodossi, siro-ortodossi, assiri, copti, etiopi eccetera. L’esperienza di lavoro e quella di studio combaciavano perfettamente: attraverso i libri mi immergevo in una storia del cristianesimo, rispetto alla quale nessun battezzato può considerarsi immigrato e ospite, e in ufficio mi occupavo di fratelli (e sorelle) orientali in carne ossa, che stravolgevano meravigliosamente la mia precedente visione delle cose su che cosa sia il cristianesimo.
Poi è arrivata Gerusalemme, e da lì la Palestina, la Siria, la Giordania e l’Egitto, per dodici anni. Nuovamente è stato un incontro a due livelli, quello delle Fonti scritte e quello delle persone in carne ossa. Così ebraismo per me significa persone con nome e cognome, storie di vita, modi diversi di accostarsi alla realtà. Lo stesso vale per l’islam, che possiede un vasto corpo di scritture; poi però le Fonti camminano sulle gambe delle persone. E le persone, come già avevo imparato a Torino, non stanno ferme: si muovono, cambiano, invecchiano e nascono, o rinascono, non nel senso della reincarnazione, alla quale non credo malgrado tutto il rispetto per i miei amici indù, ma perché in questa vita accade di rinascere: ogni volta che si fa una nuova esperienza, che si apprende qualche cosa di nuovo, che ci si accorge che il mondo è sempre più vasto delle nostre vedute limitate, quella si può chiamare rinascita. La vecchiezza decrepita non è anagrafica, è spirituale e culturale: è l’indisponibilità ad apprendere e a comprendere, è il ritrarsi impaurito in un angolo, barricandosi tra poche cose familiari, che vengono considerate le uniche esistenti. Si può essere vecchi decrepiti a vent’anni, si può essere giovincelli a ottanta.

 Realmente orante

In quel grande calderone di religioni e culture che è il Medio Oriente ho ritrovato anche la mia identità cristiana plurale. Lì i cristiani ci sono dai tempi di Gesù Cristo, e confido che sempre ce ne saranno. Ma sono una minoranza minuscola, se si fa eccezione dell’Egitto e del Libano, “incastrata” tra ebrei e musulmani. Nella parrocchia di Ma‘in dove ho vissuto, a pochi passi dal monte Nebo, nell’area conosciuta dalla Bibbia come “i monti di Moab”, la nostra piccola chiesetta era attorniata da ben tre moschee, e molte altre un po’ più lontane. L’annuncio islamico della preghiera scandiva le nostre giornate, così come i rintocchi leggeri della nostra campana, a partire dalle 3,30 del mattino, avvertivano tutti i musulmani all’intorno che anche i cristiani consacrano il tempo con il ritmo della preghiera.
Questa è la prima conclusione pratica di questo contributo sull’incrocio virtuoso tra le religioni e le persone che le incarnano: lo spirito di adorazione. Lo dico in particolar modo pensando ai musulmani, nei quali il senso dell’assoluto di Dio è un tratto essenziale della loro anima. Laddove trovano un’anima orante non possono rimanere indifferenti. Una comunità cristiana che voglia davvero fare dialogo con gli “altri” deve essere anzitutto una comunità orante nel senso pieno della parola. Non è questione di sbandierare rosari o fare “scena” con i riti, per dare nell’occhio: la preghiera non è questione di “sembrare” ma di “essere”. Coltivare lo spirito di orazione, individuale e comunitario, è anche la chiave per non avere paura dell’Altro. Si ha paura nella misura in cui la nostra fede è poco frequentata. Chi frequenta quotidianamente la propria fede può immergersi senza paura in tutti i colori e sapori del mondo.

 Costituzione per tutti

La seconda conclusione pratica si chiama Costituzione italiana. È il libro (un libretto) che mi ha accolto al ritorno in Italia, dove ho trovato un paese totalmente diverso da quello che avevo lasciato alla partenza nel ’97. Ancora di più in carcere, dove opero come volontario da dieci anni. In quello che frequento io, a Bologna, i detenuti stranieri sono quasi due terzi del totale, e il 70% di questi sono musulmani. Delinquono di più? È la manovalanza del crimine, soprattutto lo spaccio, mentre sappiamo che le redini sono saldamente in mano a italiani purosangue. Ma qui faccio un altro discorso, quello del contatto con un grande ventaglio di etnie, tradizioni e religioni. Il carcere per me è la palestra di una comunità sempre più plurale. Le proiezioni demografiche dicono, in modo inequivocabile, che l’integrazione tra popoli lingue etnie sul suolo italico è il futuro del paese. I testi delle religioni non sono sufficienti a governare questa trasformazione, è necessario risalire a un testo che possa davvero valere per tutti, inclusi i non credenti: questo testo è la Costituzione. Essa è diventata nella mia vita una compagna inseparabile, come il vangelo e i salmi. Si recitano i salmi, si fa la lettura continua del Vangelo? Si legga anche un articolo della Costituzione, uno al giorno, e arrivati alla fine si riprenda da capo. Pian piano le idee della Costituzione diventeranno patrimonio del nostro vedere le cose, quindi del modo di incrociare gli altri sulle strade della vita.