Un sogno col volto da donna

Come Chiara d’Assisi fu fedele al suo progetto di un francescanesimo al femminile

 di Maria Giovanna Cereti
suora clarissa, badessa del Monastero di Forlì

 La rivedo come fosse ora, sul mio libro di lettura di quarta elementare: una donna con saio e velo, che leva in alto con entrambe le mani un ostensorio.

Davanti a lei un gruppo di guerrieri: scimitarre e turbanti li identificano come “saraceni”, si arrampicano sulle scale e sono sul punto di varcare le povere mura che ospitano donne rinchiuse. Alcune di queste con espressione terrorizzata si rifugiano dietro colei che le difende con la forza inerme di un’ostia consacrata. Il disegno dai tratti ingenui coglie il momento in cui gli assalitori passano dall’attacco arrogante alla perplessità che fra poco avrà come effetto la ritirata.

 Una vita coraggiosa

È stato il mio primo incontro con l’iconografia di Chiara. Il ricordo, riaffiorato mentre pensavo a questo articolo, ha preso la forma di una domanda: è questo episodio il momento in cui Chiara ha mostrato di più il suo coraggio? La risposta è stata subito negativa. L’avventura di Chiara d’Assisi testimonia ben altro coraggio.
Un anticipo significativo dello stile determinato con cui Chiara affronta la vita lo incontriamo già negli anni dell’adolescenza: non aveva voluto in alcun modo accondiscendere alle nozze che la famiglia - com’era abituale - progettava per lei (aveva già il coraggio di pensare in autonomia al proprio futuro!); e al processo di canonizzazione si dirà che già allora «amava molto li poveri e li visitava volentieri».
Altri episodi testimoniano nello stesso senso: Chiara che di notte si avventura fuori dalla casa paterna passando per la “porta del morto” e raggiunge Francesco che l’attende alla Porziuncola con alcuni compagni, e lì, spogliatasi delle sue ricchezze, veste l’abito della penitenza; Chiara che di fronte al furore dei parenti decisi a ricondurla alla vita nobile e agiata che le conviene, si aggrappa all’altare e scopre il capo rasato, dichiarando la sua volontà di appartenere solo a Cristo… gesti espressivi di un temperamento volitivo e poco disposto a lasciarsi intimorire dalle pretese altrui. Eppure bisogna scavare più in profondità.

  L’incontro con la povertà

Aveva fatto scalpore ad Assisi la “follia” del figlio di Pietro di Bernardone: ma Chiara non si limita a racconti e pettegolezzi, deve proprio conoscerlo quel pazzo, e lo incontra infatti ripetutamente. Francesco la esorta a convertirsi a Jesu Cristo, narrandole forse la sua propria conversione. Di quale conversione si tratta? Non certo di un incominciare a credere. Alla fine della vita, nel Testamento, Francesco ne parlerà come un essere stato condotto da Dio fra i lebbrosi, aver usato con essi misericordia ed avere in questo sperimentato un nuovo gusto della vita. Il figlio del mercante, che aveva con tutte le forze desiderato diventare cavaliere, abbandona senza riserve il suo sogno di grandezza in favore di un’altra logica: la misericordia e il dono gratuito di sé a coloro che non possono ricambiare nulla. Questa è la logica nuova del vangelo, questo è il modo con cui il Signore Gesù ci ha amati e ci ama. Questa logica Francesco aveva iniziato a sperimentare, questa tentava di vivere con i suoi primi fratelli. Non un modo nuovo di stare di fronte a Dio fuggendo dal mondo, ma un modo nuovo di stare in mezzo al mondo vivendo da fratelli insieme ai più piccoli, a quelli che non hanno potere, per annunciare a tutti la buona notizia del vangelo.
Chiara intuisce che questo modo di seguire il Signore, servendolo nei più poveri e rinunciando ad ogni condizione di privilegio e ad ogni sicurezza, è una parola buona per la sua stessa vita. Vivere il vangelo è possibile, anche per lei. A questo sogno Chiara si consegna promettendo volontariamente obbedienza a Francesco, con il gesto senza ritorno della notte della Domenica delle Palme del 1212. Senza sapere dove tutto questo l’avrebbe portata.
Ma era solo l’inizio. Aveva avuto avvio un lungo e travagliato cammino che impegnerà Chiara per tutta la vita, per i successivi quarant’anni, ben oltre la morte di Francesco. Si tratterà di dare forma femminile a quel sogno, di tradurlo in una forma specifica adeguata ad una comunità di donne che abbandonavano la nobiltà, per abbracciare la piccolezza, l’irrilevanza di una vita povera priva di sicurezze e di garanzie sociali. In un tempo in cui ogni ruolo femminile era pensato come relativo all’uomo, Chiara avrà il coraggio di restare fedele al sogno condiviso.

 Qualche punto saldo

Questo processo, di invenzione di una cosa nuova, vivrà una tensione dialettica con il papato, impegnato a regolamentare il movimento religioso femminile secondo la già collaudata esperienza monastica, e avrà alcuni snodi fondamentali.
Prima di tutto la questione dell’assenza di possedimenti, che rivela il coraggio di affidarsi unicamente a Dio: consapevole che donazioni e proprietà in comune avrebbero minato il fondamento della povertà, Chiara chiese e ottenne dal Papa il Privilegium paupertatis. Questo documento concedeva a lei e alle sue sorelle di vivere senza rendite di capitali, mobili o immobili, confidando solo nella Provvidenza. E questo implicava anche il coraggio di rimanere nella penuria e nell’indigenza, come tanti episodi di vita a san Damiano confermano. Chiara custodirà gelosamente il Privilegio della povertà, senza timori reverenziali per nessuno.
Poi il coraggio di custodire e difendere il legame con i frati. Per Chiara l’identità della sua fraternità rimane sempre fortemente legata alla memoria di Francesco e all’Ordine dei frati minori. Quando nel 1230 una disposizione di papa Gregorio proibì ai frati di frequentare i monasteri senza una sua speciale licenza, Chiara, dolente che le sorelle avrebbero ricevuto più raramente il cibo della Parola, disse: «Ci tolga tutti i frati, poiché ci ha tolto quelli che ci offrivano il nutrimento vitale». E subito rispedì al ministro tutti i frati, non volendo avere quelli che questuavano il pane materiale, dal momento che non aveva più gli elemosinieri del pane spirituale. Papa Gregorio, udito questo, subito rimise nelle mani del ministro generale quel divieto.
La determinazione di voler incarnare lo stesso sogno di Francesco si tradurrà per Chiara anche nella capacità di aspettare a lungo per scrivere e vedere approvata per la sua fraternità una Regola in cui, pur nella declinazione al femminile, l’impronta della parola e della forma di vita di Francesco e dei suoi frati è continuamente presente: accadrà solo negli ultimi anni della sua vita, tanto che l’approvazione della Regola la raggiungerà alla vigilia della morte. Un altro segno, se ancora ce ne fosse bisogno, che a Chiara non è mancato il coraggio della perseveranza, nella capacità di continuare a sperare ciò che appariva impossibile.

Per concludere queste brevi suggestioni sul volto luminoso di Chiara, vorrei proporre una definizione sintetica: Chiara ha vissuto il coraggio della fede che, sulle orme di Francesco, è diventata il criterio della sua esistenza. Questo dono chiediamo anche per noi, affidandoci alla sua intercessione, in questo tempo in cui a tratti sembra divenuto così difficile sognare…