In direzione ostinata e contraria

In Storia di un impiegato De André mette in scena l’uomo contro il potere

 di Brunetto Salvarani
teologo laico, giornalista, scrittore e conduttore radiofonico, esperto di ecumenismo e dialogo interreligioso

 Quando mette mano al progetto di Storia di un impiegato, De André è già autore affermato, che vive un momento magico della sua carriera, cominciata in sordina e poi sbocciata nel 1967, quando Mina registra La canzone di Marinella, sottraendo l’artista genovese a un tranquillo destino di avvocato.

Dal ’67 al ’71 Faber dedicherà un lustro alla musica, con un ritmo che poi non praticherà più. Ed ecco, in rapida successione, ben cinque 33 giri: Volume 1 (1967), Tutti morimmo a stento e Volume 3 (1968), La buona novella (1970) e Non al denaro non all’amore ne’ al cielo (1971). L’album successivo vedrà una gestazione, tra scrittura e registrazione, di un anno e mezzo, per uscire nel ’73: tanto occorre perché prenda corpo, dal germe di un’idea vaga di un’opera sull’anarchismo, la Storia di un impiegato che poi compare su vinile.
La cornice scelta da De André e i suoi collaboratori (fra cui Nicola Piovani) è l’eredità del maggio francese, vista con gli occhi di un anonimo impiegato: è passato appena un quinquennio dall’esplosione del movimento, ma in Italia s’inizia a percepire un clima diverso dalla freschezza e gli entusiasmi del ’68. L’aria che tira è ormai quella degli anni di piombo, che avrebbero di lì a poco funestato il Belpaese.

 La trama del disco

La storia è ambientata nel 1973. La breve Introduzione è un prologo che si immette direttamente sulla Canzone del maggio, il brano sul movimento francese del ‘68 che un impiegato qualunque ascolta casualmente. La canzone, alle orecchie di quell’uomo-senza-qualità, rinvia a un modello antagonista di vita in società, che si tiene distante per paura dalle contraddizioni sociali e dalle conflittualità. L’uomo, però, comincia a intuire che chiamarsi fuori non è possibile: «Per quanto voi vi crediate assolti/ siete lo stesso coinvolti». Dopo Canzone del maggio, è l’io narrante dell’impiegato ad assumere le redini della vicenda, che resteranno salde nelle sue mani, con l’eccezione di Sogno numero due e la breve chiusa de Il bombarolo.
La crisi emerge ne La bomba in testa: il Nostro, roso dai dubbi, sembra trovare risposte nel gesto distruttivo del terrorista, una modalità di ribellione contro il Potere. L’elaborazione delle sue riflessioni non conosce soste, neppure durante il sonno; ed è in sogno che, autoinvitatosi Al ballo mascherato delle celebrità, il protagonista immagina di gettare una bomba e vedere l’effetto prodotto dalla strage sulla viva carne dei simboli della cultura borghese.
In un successivo episodio onirico (Sogno numero due), l’impiegato si trova nelle vesti di imputato, colpevole dell’eccidio perpetrato. Ora prende la parola il Potere, incarnato da un giudice che l’assolve, visto che la sua ribellione ha eliminato i vecchi e ormai scomodi rappresentanti del Potere stesso, favorendo la nascita di un nuovo ordine. In un terzo e ultimo sogno egli si rivede come Padre (Canzone del padre, che apre il lato B del 33 giri), esito della condizione presagita in Sogno numero due.
Alla fine di tale travaglio intimo e solitario, si passa ai fatti. Il bombarolo vede l’approssimarsi dell’attentato come in una ripresa filmica che lo segue dall’uscita di casa fino all’esterno del Parlamento. Qui l’io narrante cede al narratore esterno, che illustra il fallimentare epilogo del progetto: l’ordigno colpisce un’edicola, e lui è arrestato. Con Verranno a chiederti del nostro amore - il momento lirico del disco - l’uomo, dal carcere, scrive alla fidanzata. Ripercorre la loro relazione, compromessa, più che dal gesto terroristico, dalla morale conformista che avevano condiviso, e l’invita a emanciparsi dall’idea borghese di una femminilità passiva. L’impiegato, rinchiuso in prigione, maturerà la convinzione che la rivolta individuale è fine a se stessa, e occorre un’azione collettiva per cambiare realmente le cose. Così, sul finale di Nella mia ora di libertà, l’io narrante si fa plurale, e l’album si chiude dove tutto era cominciato: «Venite adesso alla prigione/ state a sentire sulla porta/ la nostra ultima canzone/ che vi ripete un’altra volta/ per quanto voi vi crediate assolti/ siete per sempre coinvolti».

 Non solo politica

La pubblicazione dell’album, in una congiuntura come quella dell’Italia di metà anni Settanta, scatena una forte polemica, da parte del giornalismo musicale e nell’area militante della sinistra. In effetti, siamo di fronte all’album più controverso e tormentato di De André. È però abbastanza limitativo definire Storia di un impiegato come il disco più politico, quando Faber non ha mai fatto mistero delle sue idee. Sono altre, invece, le particolarità che ne fanno un caso a sé nella produzione deandreiana. Intanto, è l’unico suo album a vedere un solo personaggio sulla scena: i lavori precedenti sono caratterizzati da più presenze, e così sarà per i lavori successivi che ruotano intorno a una tematica. 
Si tratta di un disco atipico: la storia poggia su un unico personaggio che funge da io narrante, attraverso una sorta di lungo monologo che descrive, passo dopo passo, una vicenda individuale. Il protagonista è anonimo, come il padre, la madre, persino la sua donna, cui pure dedica un’intensa lettera d’addio. C’è una netta differenza, ad esempio, con La buona novella in cui, per mettere in scena una vicenda universale, si dà la parola a vari personaggi, tutti ben identificati, alcuni con tanto di nome: Maria, Giuseppe, Anna, Tito, Dimaco.

 Affetto da borghesite

L’album segna poi l’inizio di una nuova fase della vita artistica di De André, che si chiuderà con i primi anni Ottanta, segnata da un approccio più maturo ai testi. C’è, intanto, una sensibilità più acuta verso la situazione politico-sociale, qui affrontata di petto, a differenza di quanto accadeva ne La buona novella, dove Faber realizzò un’allegoria del Sessantotto, non a caso fraintesa dai suoi stessi compagni di strada. C’è anche un lavoro sul linguaggio che prima si era appena intravisto, e che qui si fa scelta precisa, con la complessità dei testi - ermetici, talora visionari - che risponde a un’idea più consapevole della parola poetica e del mezzo-canzone. Infine, c’è un tratto autobiografico: nel periodo della realizzazione dell’album il cantautore sta attraversando un momento critico sul piano sentimentale, ma anche in chiave professionale le cose non vanno per il meglio.
«Io sono un borghese», così De André in un’intervista, «Sono nato in un ambiente borghese, ho vissuto a contatto con la società borghese. Ho avuto amori borghesi. Canto quindi davvero le malattie della borghesia, anzi la mia malattia di borghese». Storia di un impiegato diventa così occasione di raccontare anche la propria crisi, ed è la prima tappa di un percorso che vedrà altri episodi in Volume 8 con Canzone per l’estate, Giugno ’73, Amico fragile e corre lungo tutto l’album Rimini, che chiude, nel ’78, la seconda fase della sua produzione. Con il cantautore che cerca di guarire dalla borghesite attraversando il disagio di appartenere a una classe sociale cui sente di non assomigliare o, in ogni caso, cui non vuole più assomigliare.

 Dell’Autore segnaliamo
La Bibbia di De André
Claudiana, Torino 2015