UNA PAGINA DI VANGELO AL TÈ DELLE TRE

«Io ho paura!». Lo sguardo acceso di Maura entra nei miei occhi e mi invade: «Hai detto che hai paura?». Ripete la mia frase lentamente, come se temesse di aver perso qualche parola importante. È proprio così. Provo la sgradevole sensazione del panico, quando cresce. Mentre Maura mi fissa dubbiosa, dentro la mia testa vuota di pensieri, galleggiano unicamente dubbi e domande. Un mare fluttuante di incertezze che mi provoca una specie di capogiro.

a cura della Caritas di Bologna

 Eccolo qua, il Natale

La natività letta nella vita dei poveri

a cura della Caritas di Bologna

 Piccoli segnali di panico

Seguo lo sguardo di Maura dentro di me e scovo della rabbia in agguato dietro al disagio. Guardo meglio. Fra tutti i dubbi, uno si fa improvvisamente più spesso: ma perché diamine quest’anno ci siamo messe in testa di parlare di vangelo con i nostri amici del tè?


Provo a far parlare le mie perplessità: «Vengono a prendere il tè con noi persone di tutti i tipi: c’è chi crede, chi è ateo o agnostico, chi si è costruito un percorso spirituale tutto suo, abbiamo cristiani d’ogni genere, c’è chi professa la fede in Allah… non è un po’ rischioso parlare di vangelo con loro? Non è che poi pensano che li vogliamo indottrinare? Ho paura che qualcuno possa sentirsi a disagio o si offenda e smetta di venire; mi dispiacerebbe un sacco…». Maura mi ascolta, attentissima. La mappa di linee sulla sua faccia muta. L’espressione si fa concentrata, seria. Su certi volti le rughe sono proprio belle: ornamenti regalati dall’esperienza del vivere, non certo segni di vecchiaia. «Anch’io voglio che nessuno si perda, ma li incontriamo da un anno ormai e resto convinta che possiamo osare qualsiasi argomento con loro; certo, dobbiamo mantenere il taglio “esperienziale” pur partendo dalla lettura di un testo sacro per noi. Si tratta di leggere il vangelo attraverso la concretezza delle loro vite, uscendo un po’ dai nostri soliti schemi…Condivido però la tua preoccupazione e hai ragione: questo è un passaggio molto delicato per il nostro tè. Pensiamoci bene prima di lanciare il prossimo tema…».
Quando diamo appuntamento ai nostri amici siamo ormai vicini a Natale. Fuori l’aria pizzica di fermento e si annusa la festa in ogni angolo di strada. Impossibile non esserne coinvolti. Dopo averci ragionato su, decidiamo che forse la cosa più semplice è partire proprio da ciò che ci sta venendo incontro: la nascita di Gesù.

 La nostalgia dei ricordi

I nostri amici, seduti in cerchio, sono in attesa di conoscere il nuovo argomento di discussione. Colgo nei loro sguardi curiosità ed interesse e provo disagio. A me tocca dire due parole introduttive. Lo faccio, ma la voce incespica nell’agitazione ed esce traballante, insicura. Poi Maura presenta il tema e racconta di una famiglia in viaggio, lontana da casa, distante da ogni riferimento conosciuto e da ogni possibile sostegno. Parla della giovane donna incinta che improvvisamente, nel dolore delle doglie, capisce che sta per partorire. La sua vita non sarà più la stessa e chissà che angustia avrà provato rendendosi conto che nessuno voleva lei e la piccola Vita che stava per dare alla luce… «Dunque: cosa il Natale dice di noi? Un evento che cambia la vita per sempre, proprio quando meno si è preparati ad affrontarlo… “non c’era posto per loro in albergo…”».
Maurizio parla per primo: «Da piccolo mi facevano dei regali. Per me era un momento di gioia. È proprio bello che il Natale torni ogni anno. Mentre raccontavi, Maura, pensavo alla situazione del mondo di oggi: c’è ancora tanta confusione e non è che i potenti abbiano le idee più chiare di noi! Allora, anche se sono messo così, credo che io non debba sentirmi inferiore proprio a nessuno, nemmeno a chi ci governa e credo anche che non posso aspettarmi l’aiuto da chissà chi. Anch’io devo contare solo su me stesso come la famiglia di Gesù… Perciò sono contento che arrivi il Natale: perché rinnova la speranza in qualcosa di meglio. Ecco: per me il Figlio di Dio che nasce povero è la speranza». Maurizio si ferma un attimo, come sorpreso da un pensiero improvviso e poi riprende alzando un poco il tono della voce: «Parlo di Dio, ma non è che ha importanza come lo si chiama!»; mentre si volta verso Alya, seduta qualche posto più in là, registro la tenerezza ed il rispetto nelle parole. Lei gli sorride serena e la stanza sembra illuminarsi per l’espressione dolcissima del suo viso, incorniciato dal velo scuro. Mi viene da pensare a Maria e all’espressione che avrà avuto lei ascoltando i complimenti dei pastori per quel suo Piccolo, nato quasi in mezzo al nulla. Di colpo colgo che è successo in me qualcosa di potente e mi commuovo. Un pensiero delicato e un semplice sorriso hanno soffiato via ogni paura. Basta davvero poco per sperimentarsi in cammino verso l’Uno. Alya racconta di come, per la sua fede, Maria rappresenti il modello perfetto della donna credente e di come suo Figlio sia considerato profeta: «Dio non possiamo vederlo, non possiamo sapere nulla di Lui. Non possiamo nemmeno immaginarlo: per questo abbiamo bisogno dei profeti, per capire chi è Dio. Per noi musulmani la festa di Natale non esiste, però a me piace, mi fa felice, perché vedo intorno a me persone contente. È bello che tutta la gente si scambi regali: non capita spesso di incontrare questa generosità, vero? È per questa loro gioia che a Natale anch’io sono felice!».

 Atmosfera in frantumi

La voce scheggiata e pungente di Gabriele rotola fuori di colpo rimbalzando per la stanza. Frammenti di parole ci colpiscono in pieno, ferendoci. L’atmosfera serena va in frantumi istantaneamente. Tutti ci blocchiamo, immobili, turbati. «Scusate, scusate! Eh no, no, scusate. Posso dirvi cosa penso io del Natale? Se penso al natale penso: “le palle di Natale”! Per gente come me, che è sola, che sta male, il Natale è un periodo orrendo. Tutto si ferma, tutto si blocca, gli uffici chiudono… ma i bisogni delle persone che stanno male mica vanno in vacanza! Tutto resta sospeso nel tripudio di cretinismo generale che il natale porta con sé. E per gente come me che è sempre in attesa di una risposta, di un aiuto… resta la solitudine! È ingiusto!». Come se fosse tracimato un fiume, il cerchio è investito da altre voci dolenti. Fabrizio alza la sua: «È vero! Quando c’è la festa, io me ne sto in disparte, perché se non c’è la famiglia il Natale non ha senso. Anzi, proprio mi isolo, mi rendo irraggiungibile. Odio certe telefonate che mi fanno i parenti: solo a Natale vi ricordate di me? E tutto il resto dell’anno non esisto? Vi volete sentire buoni? Beh, io non ci sto!». Anche Narcisa porta la sua fatica: «Io lavoro pochissimo, ho pochi soldi, quelli che ho li devo spendere per sopravvivere. Ma a Natale mio figlio adolescente mi chiede sempre regali bellissimi, costosi; quelli che desiderano tutti i ragazzini come lui… e io come debbo fare? Mi indebito per accontentarlo, per non deluderlo! Natale è una sofferenza e noi non lo festeggiamo più!». «Anche per me dopo più di vent’anni di galera, il Natale significa poco» dice Paolo. «Quando uno è solo, in prigione, finisce che perde anche Dio… E dopo, il Natale cos’è?».
La nostra gente è addolorata, è difficile ora ricomporre la ferita che si è aperta. Il silenzio fra noi si è fatto cupo. Grazie al cielo, Maura trova un barlume di luce e lo diffonde nelle parole: «La storia della nascita di Gesù, è la storia di una famiglia precaria, costretta a fuggire. È una storia in realtà molto buia, di luce pare ce ne sia proprio poca. Eppure è la storia del nostro Salvatore. Per questo avremmo desiderio di capire cosa dice a voi, perché c’è molto di voi in questo racconto, no?».
«A pensarci bene, anch’io ero per strada» dice subito Maria Rosaria «e quando è nato mio figlio era proprio dicembre. Ma ero sola, non avevo marito. Non avevo nessuno. Le mie sorelle mi avevano girato la faccia. Non avevo neanche da dargli da mangiare. Allora l’ho preso in braccio, l’ho baciato e gli ho detto “Dio t’assista. Dio perdonami” e l’ho lasciato in ospedale. Ma l’ho fatto per lui, perché volevo che stesse bene e che avesse il futuro che non potevo avere io. Quando il giudice ha saputo che avevo fatto così, mi ha fatto chiamare e mi ha detto: “Signorina, lei è una brava mamma. Stia tranquilla: darò suo figlio alla migliore famiglia della città”. È vero che a volte si incontrano degli angeli: sono quelle persone che ci aiutano. Le manda proprio Dio per noi. Quel giudice buono è stato un angelo per me!».
«Io sono musulmana e per me Natale non esiste» dice Afaf, «però ero di otto mesi e mezzo quando ci hanno sgombrato dalla casa occupata nella quale eravamo. Poi ci hanno messi in albergo e dopo pochi giorni ho partorito. Ma quando nasce un figlio e non hai nemmeno un tetto sulla testa… io non so dirvi, cosa si prova dentro ma… ». Ad Afaf trema la voce, eppure non vuole tacere e continua a parlare del “suo” Natale, con le parole ingarbugliate fra i singhiozzi: «È doloroso, ecco: dolorosissimo… tutto ciò che hai, la vita stessa di tuo figlio, non puoi più proteggerla e ti senti così male… Potevo solo abbracciarlo, tenerlo stretto a me…».
Al termine del pomeriggio arrivo esausta. Prima che il gruppo si disperda, guardo i volti dei nostri amici, non voglio dimenticarne nemmeno uno. Ripenso alle storie che hanno condiviso. Storie colme di dolore e anche di amore. Di colpo, prendo consapevolezza di aver ascoltato attraverso di loro, la voce stessa del mio Signore. D’improvviso scopro la grazia di questo misterioso ribaltamento di prospettiva: non abbiamo letto il vangelo con loro, ma in loro. La Parola nelle loro parole. Sono felice: mi pare davvero una Buona Notizia.