Per una trasgressione chiamata Chiesa

Riti religiosi e riti laici nella società di oggi

 di Andrea Grillo
docente di Teologia sacramentaria e liturgica al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma e all’Istituto Santa Giustina di Padova

Vorrei provare a leggere la nostra esperienza attuale come il frutto di una trasformazione complessiva della cultura e della società, che possiamo interpretare con categorie molto diverse: nascita della società aperta, secolarizzazione, desecolarizzazione o risacralizzazione. In altri termini, nell’affrontare la domanda “a chi giova la religione?” dobbiamo sapere che questo modo di guardare a ciò che chiamiamo “riti laici” dipende da una prospettiva che è maturata nella società solo negli ultimi cento anni, in modo progressivo.

Per questo vorrei ragionare proponendo una breve ricostruzione della storia che ci ha condotto a questa nuova condizione, nella quale possiamo chiamare “rito” assistere ad una partita di calcio, friggere frittelle con le mele o sudare molto su una cyclette!

 All’inizio sta la società aperta

Il mondo che chiamiamo moderno inizia con la pressante rivendicazione di una “autonomia” e una originalità per ogni soggetto. Questo modello di comprensione dell’uomo e del mondo si pone in netto contrasto con la tradizione. Mentre questa sottolineava sempre la differenza e la autorità, questo stile porta in primo piano la uguaglianza e la libertà. Un mondo di uomini e di donne uguali e liberi sembra non aver più bisogno di alcun rito. Anzi, il rito sembra la eredità pesante, che viene da quell’ancien régime e di cui occorre sbarazzarsi quanto prima possibile. Il rito perpetua differenze e poteri che si vogliono superare.

 Differenziazione e sfibratura dei riti nel formalismo pubblico e privato

Il mondo differenziato successivo alle grandi rivoluzione liberali crea una società in cui progressivamente si polarizza la identità individuale e la struttura pubblica, venendo meno la struttura comunitaria, che è l’unica a poter alimentare “riti religiosi” in senso proprio. Anche la Chiesa subisce questo fenomeno. Fa fatica ad uscire dalla alternativa “messa privata” e “messa solenne”. Allo stesso modo la società inizia a conoscere - e a riconoscere - riti privati e riti pubblici. Ossia forme di comportamento ripetitivo, appagante e di precetto, legate alla dimensione individuale o di massa. In una società che ha “riti pubblici di lavoro” e “riti privati di tempo libero” si perde progressivamente lo spazio per “riti comunitari”.

 Elaborazione di “strategie rituali alternative”

Ciò determina un riposizionamento dell’esperienza rituale dei soggetti: possono ritualizzare i loro hobby (lucidano l’automobile la domenica mattina, aggiungono un bottiglia di birra alla collezione, spolverano con minuziosa attenzione la raccolta di elmetti militari…) oppure entrare in “riti pubblici” come lo shopping, la coda autostradale, la sequenza birra-partita-botte. Tutto questo è non solo pensato, ma vissuto come rito. Due documenti straordinari di questa nuova tendenza sono il libro Massa e potere di E. Canetti e il film Taxy Driver di M. Scorsese. In entrambe queste opere la “massificazione rituale” e la “ritualizzazione individuale della violenza e del risentimento” appaiono con i caratteri paradossali di un “rito religioso”.

 I media e i riti: una correlazione nascosta

Questa possibilità, ossia di rileggere la propria esperienza privata e pubblica come “rito” - cioè come qualcosa che è in sé giustificato e autorevole - appare funzionale ad un ordine commerciale che esige una disciplina, assicurata dal discorso pubblicitario. E qui si salda, in un solo nodo, la raffinata comunicazione simbolica dello spot con la esperienza rituale privata e pubblica. Si crea, molto facilmente, una “illusione comunitaria” - legata alla condivisione non solo del prodotto, ma anche della narrazione su di esso – che crea “legami di condivisione”, che restano però strutturalmente volatili e fragili. Devono esserlo se il PIL ha la necessità di crescere continuamente. Il simbolo dà una identità, narrando un mito. E il rito la attua come salvezza qui ed ora.

La sfida sull’oggi: recuperare lo spazio comunitario del rito

In questo mondo, in cui la società è aperta perché pubblicamente promuove ogni singolo - o almeno ha la intenzione di farlo - i “legami comunitari” patiscono una crisi strutturale. Appaiono, per molti versi, continuamente scavalcati da “riti privati” o da “riti pubblici”. Si pensi per un attimo al rito comunitario (e anche religioso) del pasto comune. Continuamente minacciato e scardinato da riti privati (cellulare, sms, facebook in connessione continua…) e riti pubblici (televisione, giornale…). Ormai anche in non poche pizzerie alla interferenza tascabile del cellulare si sovrappone quella panoramica del megaschermo. La identità del soggetto riesce ad essere privata e pubblica, ma fa fatica a fare esperienza della “communitas visibile”. La comunità virtuale è invece reale, mentre quella reale diventa sempre più virtuale. D’altra parte le relazioni impersonali sono molto più frequenti, e ciò aumenta la domanda di relazioni personali più intense. Che è come dire che i riti pubblici esigono riti privati, e viceversa.

La Chiesa e la duplice tentazione: privata e pubblica

Anche la Chiesa cattolica non sfugge a questa deriva: da un lato è stata a lungo tentata di coltivare un rapporto individuale, di proporsi come “religione devota” ad ogni individuo, singolarmente considerato. Dall’altro ha invece giocato la carta della ritualità pubblica: tutela dei valori non negoziabili, appoggio istituzionale, garanzia dell’ordine pubblico. Devozione privata e religione civile sono vie di fuga, con i loro riti e i loro simboli. Ma erodono irreparabilmente la dimensione comunitaria, che deve nutrirsi di simboliche e di rituali meno sentimentali e meno formali. Il rito religioso cristiano è più che privato e meno che pubblico. È preghiera nel tempo e ritmo vitale, è giorno del Signore e spazio gratuito.

La differenza decisiva

Come ho cercato di mostrare, per quanto molto brevemente, la vera differenza non è quella tra “riti laici” e “riti religiosi”: i riti religiosi veri hanno sempre una struttura laica. Muovono da desideri e da esigenze piantate a fondo nella trama della vita quotidiana. La vera distinzione deve essere fatta tra riti privati/pubblici e riti comunitari. La società complessa e aperta ha creato nuove forme rituali: grandi rituali pubblici e grandi rituali privati hanno progressivamente eroso la base comunitaria della esperienza rituale. Essa è ancora vitale per una Chiesa che non voglia limitarsi a consolare le anime o fare programmi politici. La “forma di vita” ecclesiale non deve ridurre se stessa ad un apparato di elaborazione di rituali privati e pubblici. Come esperienza di comunione, essa costruisce comunità di accoglienza nel discepolato. In questa trasgressione dell’ordine privato e pubblico può fiorire quella esperienza che da quasi due millenni chiamiamo “Chiesa”.

Dell’Autore segnaliamo:
Domande al Padre. La forma cristiana del pregare
introduzione di Firmino Bianchin

EDB, Bologna 2016