Dio c’è

Il percorso di Francesco verso l’essenzialità della fede 

di Paolo Canali
frate minore, direttore della Biblioteca Francescana di Milano

Francesco d’Assisi non è stato un intellettuale o uno studioso; ma è stato un uomo intelligente, curioso, interessato a quel che lo circonda, desideroso di capire («Signore: cosa vuoi che io faccia?»). Questa capacità di interrogarsi, di non accontentarsi di fare quel che fan tutti, è una caratteristica che emerge anche durante le esperienze negative della sua esistenza.

Delusione per la vita cavalleresca

Una prima, lunga crisi nasce con il fallimento dei tentativi di conquistare la gloria attraverso l’esperienza militare e cavalleresca, nella guerra contro Perugia o nella spedizione in Puglia. L’esperienza della prigione e della malattia lo rendono diverso, capace di scelte personali mature e coerenti, anche se non condivise. Il giovane ricco e brillante, animatore della gioventù di Assisi, si trasforma in un poveraccio felice di vivere con quanto riesce a procurarsi attraverso l’elemosina.
Come spiegare un cambiamento così radicale? Cos’è che rende felice Francesco, che ha abbandonato tutto quel che normalmente si pensa che possa dare la felicità?
Lo stesso Francesco, a distanza di anni, racconta qualcosa di quel periodo della sua vita nel Testamento, uno scritto rivolto principalmente ai frati. E il ricordo più vivo di quel periodo è proprio quello di un rovesciamento dei valori: «Ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo».
Francesco cambia vita perché Dio è entrato nella sua vita, e quando una persona si rende conto della presenza di Dio nulla più rimane uguale a prima, oggi come allora.
Questa presenza di Dio si manifesta in molti modi, per Francesco come anche per ciascuno di noi oggi. Il fascino della Croce di San Damiano, con le lunghe ore di preghiera solitaria nella chiesa in rovina («Dammi senno e cognoscimento…»); l’incontro decisivo con i lebbrosi, volti sfigurati dal dolore e dal rifiuto, sotto cui è possibile ritrovare il volto di Cristo, il più bello dei figli dell’uomo trasformato nel servo sofferente che non ha apparenza né bellezza («Il Signore stesso mi condusse tra di loro e usai con essi misericordia»); l’ascolto del vangelo, la scoperta che quelle parole, già ascoltate mille volte, improvvisamente prendono nuova vita e oggi parlano proprio a te, e rispondono a quelle domande a cui tu non sai rispondere («Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore»)…

Dio c’è tra gli uomini

Così cominci a capire che Dio c’è! Non solo che esiste, da qualche parte nel cielo, o chissà dove, ma Dio c’è qui, adesso, accanto a te, in quello che stai vivendo, di bello e di meno bello, di sensato e di incomprensibile. Dio c’è ed è interessato a te, sembra inspiegabilmente desideroso di stabilire una relazione con te.
Di solito si pensa che per fare esperienza di Dio sia necessario prendere una certa distanza dagli uomini, che ascoltare la voce di Dio sia possibile solo quando abbiamo fatto tacere tutte le altre voci che risuonano attorno a noi. Nel caso di Francesco non è così: la voce di Dio si fa sentire attraverso la voce del lebbroso, o attraverso quella del sacerdote che gli spiega il vangelo, o attraverso la voce della creazione che gli parla della cura del Creatore per tutte le creature. Non è necessario tapparsi le orecchie, anzi: occorre allenarsi ad ascoltare bene per cogliere, in mezzo ai tanti rumori quell’unica voce che può rivelarci ciò di cui abbiamo veramente bisogno.
Questo spiega anche perché il primo frutto che nasce dall’incontro con Dio non è una solitudine beata, un supremo disinteresse per quel che succede. Al contrario: l’esperienza di Dio ti guida ad una comunione mai provata, ad una nuova capacità di entrare in relazione con gli altri, ti dona un’attenzione penetrante alle necessità di chi incontri. Succede sempre così: quando Gesù annuncia la parola di Dio, attorno a lui nasce la Chiesa, la comunità dei discepoli. Quando Francesco inizia a prendere sul serio il vangelo, nasce una fraternità: si radunano attorno a lui altri che scoprono una nuova possibilità per la loro vita. La personalissima chiamata di Francesco diventa un’occasione perché tanti altri uomini e donne prendano coscienza della loro chiamata, altrettanto personale.

 La rivelazione della Verna

Questa relazione con Dio rimane significativa anche nei momenti di difficoltà.
Quando Francesco sale sulla Verna porta dentro di sé una sofferenza inesprimibile, che i suoi compagni riescono appena ad immaginare. È diventato un personaggio famoso, l’Ordine che da lui è nato si ingrandisce in modo incredibile. Ma paradossalmente, quello che potremmo definire il suo grande successo è anche il suo tormento: ci sono ormai fratelli molto più istruiti da lui, che vorrebbero gestire in ben altro modo un gruppo così numeroso; ci sono chierici che hanno studiato presso le Università più importanti e saprebbero bene come aumentare il prestigio dell’Ordine nella Chiesa e nella società… Francesco si sente in difficoltà a riconoscere e guidare questo movimento che, ormai, è diventato una potenza.
Ma ecco che alla Verna succede qualcosa che riporta Francesco alla serenità e alla letizia originaria. Racconta il biografo san Bonaventura che, sceso dalla Verna, diceva ai frati: «“Incominciamo, fratelli, a servire il Signore”… Ardeva anche di un grande desiderio di ritornare all’umiltà degli inizi…». Nonostante il fisico fosse ormai gravemente minato, sembrava aver ritrovato l’entusiasmo che lo aveva guidato all’inizio della sua conversione. Cosa era successo? Cosa aveva reso possibile questo cambiamento?
L’unico indizio che abbiamo è costituito dalla preghiera scritta di sua mano e consegnata a frate Leone. Le Lodi di Dio altissimo sono quasi una litania dei nomi di Dio, in cui il ritornello “Tu sei...” ritorna più di trenta volte, quasi a cercare di delineare il volto di Dio e gli effetti della sua presenza nella storia di un uomo. Tra questi versetti uno dice: «Tu sei tutto, ricchezza nostra a sufficienza».
Forse proprio in queste parole sta il motivo della nuova serenità conquistata da Francesco dopo la sofferenza e la tentazione.
“Tu sei tutto”: non c’è nulla di quel che vivo che sia lontano da te, che ti sia estraneo. Tu sei qui presente anche nel momento in cui ti sento lontano e mi pare di non riuscire a capire cosa tu voglia da me.
“Ricchezza nostra a sufficienza”: se ci sei tu, allora posso stare tranquillo, perché non manca nulla di essenziale. Mentre se sono lontano da te la pace rimane una pia illusione: non c’è nulla che basti a saziare il mio desiderio di felicità. La tua presenza è la vera ricchezza che mi libera da ogni paura e mi ridona la voglia di aprirmi alla vita.
Dio c’è: e questo, ancora oggi, ci basta.

Segnaliamo il volume:
ÉLOI LECLERC
La fraternità come testamento
Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2016, pp. 128