Il chirurgo fa violenza al tuo corpo per guarirti. Viene pagato per questo. Ma l’ospedale dal quale si uscisse più ammalati verrebbe chiuso. Il carcere fa violenza per guarire chi ha fatto violenza. Per guarire?

a cura della Redazione di “Ne vale la pena”

 La pena non paga

I detenuti e la violenza del sistema carcerario

 DIETRO LE SBARRE

Non si può morire dentro

Spesso le storie che portano in carcere sono segnate dalla violenza.

Poi, inevitabilmente, chi entra in carcere fa esperienza di una violenza psicologica che viene tenacemente esercitata, e segna le giornate dei detenuti. L’ambiente tende ad umiliare il “nuovo giunto” fin dai primi momenti, nel lungo iter di accettazione fatto di perquisizioni senza indumenti, visite mediche e sottrazione di tutti gli oggetti personali. Le prime giornate si trascorrono nel reparto infermeria, una sorta di anticamera dell’inferno, con celle da 12 metri quadrati, compresi i servizi igienici che erogano solo acqua fredda, da condividere con almeno altri due detenuti. È inevitabile sentire sulla pelle la violenza che la pena detentiva comporta. E strada facendo questa sensazione dilaga, e pervade tutti gli ambiti importanti della vita del detenuto, a partire dagli affetti familiari che vengono violentemente troncati e ridotti a pochi minuti di telefonate o poche ore di colloqui effettuati in contesti deprimenti.
Poi le incertezze, le lunghe attese per le cose importanti ma anche, purtroppo, per le più banali, come un colloquio col proprio educatore o l’autorizzazione a ricevere, ad esempio, un paio di occhiali. L’elenco sarebbe lunghissimo. Tutte le esigenze e le aspettative sono veicolate dalle burocratiche ed impersonali “domandine” che di frequente si perdono nei meandri dell’istituto.
La quotidianità è per lo più contrassegnata da questo stress, che rende fragili e a volte porta a gesti estremi, o più banalmente può generare tensioni e conflitti che possono mettere in discussione il percorso fatto e la riflessione su sé stessi che faticosamente si è cercato di realizzare. Le persone che scontano una pena non sono solo il reato che hanno commesso, ma fra queste quattro mura la violenza sottile che si respira sembra dire esattamente il contrario.

Maurizio Bianchi

 Sempre violenza

In carcere per ogni cosa, anche la più ovvia, bisogna compilare la consueta “domandina” e i tempi di risposta non sono certo brevi. Ad esempio, il trasferimento da un carcere all’altro avviene all’improvviso, senza che tu abbia la possibilità di poter avvisare i tuoi familiari: una volta che arrivi nel nuovo istituto, prima di riuscire a telefonare, bisogna sempre attendere le varie autorizzazioni e passano almeno una decina di giorni. Inoltre, capita che nel trasferimento il danaro del detenuto rimanga nel carcere di provenienza per almeno due mesi, e così ci si ritrova senza un euro con un notevole disagio. L’unica nostra speranza è ricevere aiuto dal Cappellano del carcere oppure da qualche volontario. Insomma, è tutta una questione di attese estenuanti che, con il trascorrere del tempo, provocano una forte incertezza sia sul percorso rieducativo che sulle persone che dovrebbero guidarti nel percorso.
Inoltre, ogni volta che un detenuto presenta una richiesta di qualche beneficio penitenziario (liberazione anticipata, permessi premio ecc…) manca sempre qualcosa, e si devono ulteriormente aspettare mesi prima di ottenere una risposta, il più delle volte negativa in quanto manca la documentazione di sintesi sull’osservazione del detenuto, dovuta soprattutto alla carenza di educatori e alle difficoltà di ottenere una puntuale attenzione. Nel carcere di Bologna inoltre solamente il 15% dei detenuti lavora: penso che se la stessa cosa accadesse fuori, scoppierebbe una guerra civile.
Infine, c’è la problematica sanitaria: per qualsiasi male ti viene prescritta la tachipirina, il dentista interno effettua solamente estrazioni e per poter accedere ad altre prestazioni è necessario rivolgersi ad un dentista privato a pagamento. Tutte queste piccole violenze quotidiane a lungo andare sono come macigni che diventano insostenibili per chiunque. Purtroppo, avendo conosciuto vari istituti penitenziari, so che il sistema carcerario è questo e la violenza più grande è che sembra che le cose non vogliano cambiare, se non in misura ridotta. Vivere in queste condizioni è una vera e propria tortura.

Marsel Hoxha

 Inevitabile violenza

Non è solo un luogo di esilio temporaneo dalla società, con tutte le problematiche economiche, logistiche e umane. Il carcere è anche un luogo di fortissima sofferenza psicologica.
Ogni giorno infatti la lontananza dai propri cari, le difficoltà ad avere un contatto con l’esterno e le problematiche interne esercitano una violenza psicologica su tutti noi, che a nostro modo cerchiamo di combattere per non abbatterci, anche se spesso sbattiamo contro un muro di gomma.
Contrariamente a quello che si pensa, tra i detenuti si scopre l’umanità che è in noi, probabilmente perché tutti noi siamo, prima o dopo, vittime di un sistema che non funziona, che spesso viene ignorato e messo in terzo piano.
Sarà inevitabile che continui questa violenza su di noi, finché non si prenderà coscienza dell’importanza della riabilitazione del detenuto in modo serio, alleggerendo così di fatto la pressione mentale, che viene ulteriormente inflitta al detenuto oltre la condanna.

Marco Mangianti

 Confini legittimi?

Qualcosa sta cambiando, a mio parere, in senso negativo. Mi riferisco ad alcune leggi che il nuovo governo sta approvando e che considero violenza mascherata di bene. A partire dalle politiche relative ai migranti che rimangono sempre più di frequente bloccati in mare, galleggiando qua e là in attesa che il Ministro dell’Interno decida sul loro futuro, passando per la mancata riforma penitenziaria, che, dopo tante speranze, si è tradotta, a quanto pare, unicamente in un piano di investimenti per costruire nuove carceri; infine, proprio in questi giorni, i provvedimenti sul porto d’armi e la legittima difesa rivelano con chiarezza che la violenza, come risposta ad atti violenti, o come difesa dei propri diritti, viene ritenuta una forma di “male necessario”, e quindi, tutto sommato, un mezzo per la realizzazione della giustizia sociale.
E, a quanto pare, la nuova “legittima difesa” potrà essere esercitata anche in piena luce, essendo stato superato il limite delle ore notturne che prima era presente nei disegni di legge. Altrimenti cosa sarebbe avvenuto per gli episodi dubbi avvenuti in pieno giorno? La decisione in merito alla legittimità della difesa sarebbe stata presa ricorrendo al VAR?
È una fortuna che in carcere non ci siano le pistole; solo a pensarlo immagino un reality intitolato “il grande recluso”, in stile western. Ne rimarrà solo uno, e sarà il più cattivo o… il più buono, avendo sparato per difendersi. Io penso che questa legge non sia davvero ispirata al bene. Ma è solo il parere di un detenuto, che dietro le sbarre forse confonde ancora male e bene, cattivo e buono, e non riesce a capire quali siano i confini della violenza.

Pasquale Acconciaioco