Soprattutto i giovani hanno l’impressione che la verità cristiana sterilizzi l’amore. E allora se ne disinteressano. Che fare?

di Michele Papi

 Da ogni parte ci sorpassa

Gli evangelizzatori e i giovani: la verità in fuga

 Quando mi è arrivata notizia del tema di questo numero di MC mi è subito venuto in mente un dato della mia esperienza con i giovani:

ogni volta che cerco di parlare di ciò che loro definiscono quello che la Chiesa dice (già qui si intuisce la crisi di ogni pretesa veritativa), dai miei discorsi esce sempre una immagine dell’istituzione cattolica che propone idee molto distanti e poco accettabili, soprattutto in tema di morale e in particolare nella sfera affettivo-relazionale, una Chiesa concentrata nella difesa di una verità e molto poco aperta a tutto ciò che i miei interlocutori chiamano amore e che, nel linguaggio teologico, potremmo associare al termine carità.

 Connessione profonda

Eppure, a cominciare dalla Scrittura e dal magistero, le due parole verità e carità sono messe in profonda relazione. La Lettera agli Efesini di san Paolo ci esorta: «agendo secondo verità nella carità» (Ef 4,15); il documento del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio al n. 11 dice: «Il modo e il metodo di enunziare la fede cattolica non deve in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli [Si parla dei fratelli separati, credenti di altre confessioni cristiane, ma possiamo applicare queste parole a tutti i fratelli lontani che oggi faticano a mettersi in dialogo con l’istituzione Chiesa]. Bisogna assolutamente esporre con chiarezza tutta intera la dottrina. … Allo stesso tempo la fede cattolica va spiegata con maggior profondità ed esattezza, con un modo di esposizione e un linguaggio che possano essere compresi anche dai fratelli separati. Inoltre, nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, fedeli alla dottrina della Chiesa, nell’investigare con i fratelli separati i divini misteri devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà. Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina cattolica, in ragione del loro rapporto differente col fondamento della fede cristiana».

Ecco che il mio limite e forse quello di tanti evangelizzatori di oggi, è quello di non riuscire a trasmettere ai giovani il volto amorevole e materno della Chiesa, il primato della carità che colloca dentro una gerarchia ben definita il concetto di verità. Spesso i miei interlocutori alleviano la mia frustrazione ammettendo: «Ci hai provato a farci vedere come ci sia nell’istituzione anche uno sguardo di amore verso l’umanità… davvero, se tutti parlassero come te, un dialogo costruttivo con le posizioni della Chiesa si potrebbe aprire…», frase seguita sempre da un perentorio «però di solito non è così!». Eppure in me persiste la sensazione di non riuscire mai a tenere unite le due realtà, verità e carità, senza tradire almeno in parte o il deposito della fede che la Chiesa trasmette, o il bisogno dei giovani di sentirsi amati per come si è.

 Come andare oltre lo stallo?

Nella maggior parte dei casi l’immagine di verità che trasmettiamo genera in loro indifferenza verso i temi che vogliamo presentare come frutto e strada all’amore, con il risultato che si allontanano anche da quell’amore che vorremmo fargli incontrare. Spesso il disinteresse si manifesta anche attraverso l’assenza di ogni contestazione alle nostre parole fatta in nome del vangelo: mentre qualche anno fa si opponeva alla dottrina della Chiesa un presunto ideale evangelico originario, ormai si accetta che il messaggio della Chiesa e quello del vangelo coincidano, ma siano entrambi poco accettabili, per lo meno contraddittori, ancora più spesso ininfluenti ai fini di una vita felice e realizzata. Questo rifiuto non risolve però la questione esistenziale: la carità manca, l’amore negato o malato apre una voragine nel cuore e fa star male. Come superare questa situazione di stallo?
Provo a ripartire dall’inizio cambiando punto di vista. La verità del vangelo non è solo una questione intellettuale, forse non lo è per nulla, ha a che fare con la vita, è una via aperta verso la vera felicità. Spesso noto nei ragazzi con cui parlo una grande attività speculativa, ragionano un sacco, cercano di trovare una verità che possa illuminare la loro mente, desiderano comprendere la realtà, sapere la verità. Ma «che cos’è la verità?». La risposta implicita alla domanda posta a Gesù da Pilato nel capitolo diciottesimo del vangelo di Giovanni potrebbe stare in un cambio di pronome: «Chi è la verità?». La verità è Gesù stesso, immagine di Dio, e «Dio è amore» ci dice Giovanni nella sua prima Lettera, cristallizzando in una affermazione perentoria la sua esperienza viva e vera del Signore.
Come accendere la luce su questo cambio di prospettiva? Forse l’unica strada fruttuosa è quella di un ribaltamento del binomio trasformandolo, senza snaturarlo; così suggeriva (almeno nel titolo), la lettera enciclica di papa Benedetto XVI pubblicata il 29 giugno 2009 Caritas in veritate: «La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera» (n. 1). Solo l’amore incondizionato, l’accogliere con affetto, il saper dire dei nella selva di no nella quale i giovani si sentono immersi, il farsi trovare nei loro bisogni… può cambiare le cose. Aprire degli spazi di dialogo in cui la verità, incarnata da dei soggetti amanti, può essere accolta.

 Il vangelo passa dai piedi

Il vangelo passa dai piedi, dalla strada fatta accanto a testimoni credibili, passa dal cuore che batte all’unisono, dal prendersi cura gli uni degli altri nelle situazioni difficili della vita. Si tratta di un progetto ambizioso e rischioso, perseguendo il quale occorre sporcarsi le mani, arruolarsi in una Chiesa ospedale da campo, piantato nelle periferie esistenziali come non si stanca di ripeterci papa Francesco. Occorre ribadire il primato dell’amore, unico linguaggio divino e insieme umano capace di veicolare la verità. Illuminante in questo senso è una frase di Edith Stein, patrona d’Europa, con la quale mi piacerebbe concludere questo contributo: «Non accettate nulla come verità che sia privo di amore. E non accettate nulla come amore che sia privo di verità! L’uno senza l’altra diventa una menzogna distruttiva».