A mo’ di proemio: “una volta…”. Arianna ha quarantacinque anni, mi avvicina e mi fa ascoltare un (orribile) accrocco di suoni trap disarticolati. «Secondo te i miei ragazzi a scuola come cresceranno ascoltando sta roba?… Ai nostri tempi (?) era diverso». Già, non ci sono più i giovani di una volta!

Valentino Romagnoli

 Ask the boy

Non ci sono più i giovani di una volta (ma meno male!)

 Un Sinodo per ripartire

Com’è noto, nello scorso ottobre è stato celebrato il Sinodo dei vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, fortemente voluto da papa Francesco,

ben consapevole della posta in gioco: la capacità per la Chiesa di tornare a generare alla fede. L’evento ha ricevuto una buona eco mediatica e siamo in attesa dell’Esortazione post sinodale. Vogliamo qui dare uno sguardo a cosa la Chiesa ha colto del mondo giovanile durante il percorso di preparazione a questo appuntamento.

 Questione di metodo

Anzitutto il “metodo”: profondamente convinto che i giovani non siano un “oggetto da studiare” ma un soggetto protagonista, papa Francesco ha voluto che nei due anni preparatori al Sinodo la Chiesa s’impegnasse nell’ascolto dei giovani per renderli parte attiva di questo percorso. Questo è stato realizzato in molteplici modi (convegni diocesani e nazionali, questionari on-line, Assemblea pre-sinodale per giovani delegati). Tra gli scout questo metodo di lavoro si chiama “ask the boy” e coincide con il principio bergogliano della “realtà superiore all’idea”, per cui - afferma il papa - «se parla quello che non mi piace, devo ascoltarlo di più, perché ognuno ha il diritto di essere ascoltato, come ognuno ha il diritto di parlare». Il frutto di questo lavoro è sfociato nell’Instrumentum Laboris (IL), dove si coglie come che la Chiesa vede il mondo giovanile e su come vede sé stessa in rapporto ai giovani.

 Davvero si stava meglio quando si stava peggio?

Piuttosto che lamentarsi che non ci sono più i giovani di una volta (chissà com’erano poi…) o che le nuove generazioni sono distanti da Dio, è meglio riconoscere che è la Chiesa ad essere distante dai giovani, e che essa deve recuperare autorevolezza, cioè capacità di far crescere, di generare, di dare vita. Dai documenti preparatori emerge chiaramente come i giovani percepiscano di essere ascoltati poco da una Chiesa sentita come lontana. Come in tutti, anche nei giovani co-esistono difficoltà e risorse. Anzitutto «i giovani sono grandi cercatori di senso e tutto ciò che si mette in sintonia con la loro ricerca di dare valore alla propria vita suscita la loro attenzione e motiva il loro impegno» (IL 7). Vi è un’apertura, un desiderio di sognare, di dare una direzione alla vita che restano inalterati. Inoltre nei giovani è possibile ravvisare risorse preziose da coltivare ed esercitare nella concretezza della vita: l’empatia verso le persone che si incontrano, la disponibilità ad aiutare e a collaborare, la capacità di distinguere i propri bisogni e le proprie responsabilità da quelli altrui, l’apertura alla diversità e all’incontro con l’altro. (IL 17). Ma soprattutto i giovani nutrono il desiderio di essere responsabilizzati. In altre parole, chiedono che nella Chiesa essi non siano solo partecipi di decisioni già prese, ma di venire coinvolti nell’itinerario decisionale e progettuale. È urgente passare con coraggio dal fare pastorale giovanile per i giovani a una pastorale giovanile con i giovani.

 Nuove svolte antropologiche

Ovviamente non è tutto rose e fiori e le difficoltà tipiche dell’età giovanile sono oggi amplificate dall’attuale contesto mutevole e precario. Gli enormi cambiamenti che caratterizzano il nostro tempo pongono sfide altrettanto enormi, che non riguardano il solo mondo giovanile (il quale anzi nell’attuale “società liquida” sa muoversi molto più agilmente rispetto a quello degli adulti). Sono veri cambi di paradigma, mutamenti antropologici tali da cambiare le modalità di conoscenza del reale e del vissuto. Prendiamo in esame due campi.
Il primo riguarda il massivo ingresso delle tecnologie digitali e le sue ripercussioni nella vita dei giovani. Ne deriva una ridefinizione antropologica tout court. Basti un semplice esempio: oggi è più facile interagire chattando con un amico in Australia che non con un compagno di classe non seguito su Instagram. Cos’è allora per il giovane (e non solo) la prossimità? Il mezzo digitale non è solo uno strumento, ma ormai è diventato l’ambiente che cambia l’antropologia, la prospettiva dello spazio\tempo, l’immagine di sé. Tale ridefinizione dei rapporti declina un nuovo modo di vivere e sentire la corporeità, in modo particolare l’affettività e la sessualità (basti pensare all’uso e abuso delle immagini più o meno lecite che ogni giorno passano su qualunque device). Molto più che con la rivoluzione del ’68 si pone come problematico e nuovo il tema del corpo. Infine, il flusso ininterrotto d’informazioni, legate all’essere sempre on-line, modifica i paradigmi della conoscenza: le fake news spopolano perché i social media digitali cancellano la gerarchia di verità, dando maggior rilevanza a ciò che si vive, che si sperimenta, e solo questo è ritenuto vero, valido. Con internet si ripropone drammaticamente la domanda pilatiana “cos’è la verità?”.
Un secondo campo di sfide riguarda le modalità di partecipazione alla vita sociale, segnata da una generale delusione verso le tradizionali “agenzie” del tessuto civile: famiglia, scuola, Chiese, partiti, sindacati). Tale sfiducia conduce alla ricerca di nuove forme di partecipazione, più improntate alla coerenza e al carisma dei leader; piaccia o non piaccia, i giovani oggi cercano “l’uomo forte”.

Il passaggio dalla politica al mondo religioso è breve; i giovani oggi sono decisamente “oltre la secolarizzazione” dato che la fine delle religioni o della spiritualità è smentita nei fatti. Tra di essi c’è un anelito di ricerca, il quale però è molto fluido, complesso, non segue percorsi lineari e rifugge gruppi di appartenenza troppo strutturati (questo spiega il successo globale dei movimenti e delle chiese pentecostali). Ma questo contesto fluido, costituito di “non luoghi” e senza paradigmi strutturati, provoca un effetto paradossale: di fronte alla molteplicità delle proposte, alla possibilità di poter scegliere tra molte strade e molte informazioni, i giovani vivono una “paralisi decisionale”, incapaci di scegliere e di “stare” nella scelta presa.

 E se il problema non fossero loro?

Questa rapida carrellata, lungi dall’essere esaustiva, vuole presentare la profondità delle sfide che i giovani oggi, e il mondo in generale, si trovano ad affrontare. Difficilmente il mondo degli “adulti” (e per un giovane a trent’anni si è adulti) riesce a coglierne la complessità. Eppure è questo loro mondo complesso che costituisce il reale mondo in cui la Chiesa si troverà a giocare in un futuro già presente. Anzi, vi è chi suggerisce che il Papa scommetta sui giovani perché gli adulti hanno fallito: «Inseguendo una eterna giovinezza, gli adulti sembrano aver rinunciato alla trasmissione della fede… C’è un grande disagio, un grido di giustizia dei giovani, perché quando gli adulti non fanno gli adulti i giovani non possono fare i giovani. Il Sinodo serve a mettere a fuoco che noi adulti siamo il problema e i giovani sono la risorsa» (Armando Matteo). 

Epilogo

Anche a me il trap fa abbastanza schifo e, di fronte allo sguardo preoccupato di Arianna, anch’io penso che già, non ci sono più i giovani di una volta. Ma meno male!