In missione visita l’Africa, attraverso il dramma della guerra che affatica da decenni la popolazione della Repubblica Centrafricana e negli imprevedibili effetti dello scambio culturale tra Etiopia e Italia che ha caratterizzato un viaggio esperienza nel Dawro Konta di alcuni volontari del Campo di lavoro.

a cura di Saverio Orselli

 Tra kalashnikov e machete

Il difficile cammino della pace in Centrafrica

 di Antonino Serventini
missionario cappuccino nella Repubblica Centrafricana

 Guerra e pace

Seimila quattrocento battute! Ho a disposizione seimila quattrocento battute per stendere questo articolo.

Seimila e quattrocento pallottole a disposizione per… per sparare all’impazzata… per venderle a tal gruppo armato… per portarle di notte al centro del mercato pronte per l’indomani… per riempire una sporta della spesa e farle giungere agli Antibalaka di là dal ponte… per darne anche ai Seleka così non si sentono discriminati! E chi più ne ha più ne metta!
Sono ben più che seimila quattrocento munizioni! Proliferazione di armi, da anni! Circola di tutto: granate, roquettes, pistole, kalashnikov, fucili, bombe, machete, bastoni, tutto a portata di mano prepagate.
Da chi? Questo è il primo grosso problema. Non hanno cento franchi da comprarsi il pane quotidiano e hanno delle armi sofisticate da far spavento. Chi le procura? Grande interrogativo che ci ponevamo tutti noi. E che ci poniamo.
Mi viene in mente una scena del film di don Camillo e Peppone: la casetta di campagna in fiamme, piena di munizioni e ordigni bellici, che Don Camillo vuole spegnere, mentre Peppone no, perché sa bene di che si tratta… Alla fine, il commento di Peppone: «Beh, in fin dei conti, era tutta roba vecchia!». Quanti anni ci vogliono perché davvero sia “roba vecchia”?
Sul suolo italiano, Oto Melara, Fiocchi, Beretta, Agusta producono ancora e smerciano bene. E per venire alla scena politica italiana, quanti decenni ci sono voluti e ci vorranno perché il dopoguerra sia davvero “dopo-guerra”?  Il ’68 è passato con i suoi frutti amari dei “gruppi armati” rossi e neri, che dal ’73 al ’76 hanno “piombato” l’Italia.  E non si sa ancora la verità. È di recente la notizia della cattura di Cesare Battisti! Ne è passato di tempo. Perché faccio allusione ai nostri anni di piombo? Perché si perdoni all’Africa ciò che ancora non ci siamo perdonati noi: il tempo, il modo e la mal gestione di un dopoguerra. 

Quante riunioni ancora?

I centrafricani sono stufi, arcistufi di guerra e cercano tutti i mezzi per smetterla. E da soli non ce la fanno. C’è tutta una serie di riunioni che da anni si snodano sul percorso di guerra e pace della Repubblica Centrafricana: Libreville (Gabon), N’Djamena (Ciad), Brazzaville (Congo), Luanda (Angola), Bangui (RCA), Nairobi (Kenya), Roma (Sant’Egidio), Khartoum (Sudan). Sono i luoghi di riunioni e di accordi, con la partecipazione dei membri del Governo, della coalizione “Seleka” (ovvero “Alleanza”) e rappresentanti degli Antibalaka (abbreviazione di “Anti-balles à Kalashnikov”), con sottoscrizione di intese, che stanno a testimoniare la pazienza e l’impazienza dei Centrafricani.
La pazienza: perché dopo ogni riunione, un niente, e tutto falliva; come non detto. L’impazienza: perché tutti riconoscono che il popolo soffre troppo e ingiustamente, e si vuole arrivare davvero a una soluzione. Anche se si riconosce la fragilità di questi accordi su dei punti concreti: l’appoggio finanziario per mettere in opera e assicurare ogni punto, da parte del governo prima, e da parte dei gruppi armati poi;  il reinserimento dei soldati ribelli nel programma statale;  l’impunità richiesta da parte di qualche capogruppo come garanzia d’incolumità, quando invece sarebbero da denunciare all’Aja come criminali; la partecipazione attiva come membri del Governo nell’attuale gestione della Repubblica, perché questi gruppi si propongono non come gruppi armati ma come partiti politici.

 Centrafrica, cimitero degli accordi di pace

Qui si entra in un ginepraio o, meglio, in un campo minato. Il Centrafrica è definito “cimitero degli accordi di pace”. Perché?
1) Tutti sono d’accordo che il territorio centrafricano è il campo di battaglia non dei centrafricani. È diventato una lotta delle Potenze: Russia, Cina, Francia, Stati Uniti e poi Sudan, Ciad e Africa del Sud. «Vengono a fare la guerra da noi; noi non abbiamo niente tuttavia vogliono spossessarci del poco che abbiamo». Questo deve tenersi ben chiaro, qualora si pensi ancora che si tratta di una guerra di religione. E “il poco che abbiamo” si chiama: petrolio, uranio, oro, diamante, tantalo, coltane.
2) I gruppi armati interni sono 25 (ridotti a 15 per le alleanze tra loro); di questi ben 9 sono alla Capitale, Bangui, e ciò che costituisce veramente il ginepraio è il va e vieni di intese tra di loro, molto difficili da interpretare e da seguire.
3) Il grande mercato pieno di interessi: le armi introdotte legalmente e illegalmente, la droga, il petrolio e, per i gruppi autoctoni, il bestiame (abigeato).
4) La strategia perseguita è l’opposizione al Governo da parte di questi gruppi che cercano alternanza politica, mirando a rovesciare il presidente attuale, per le urne o per colpo di Stato.
5) Niente è gratis da parte delle potenze internazionali: se ti assicuro assistenza militare e protezione al Presidente, tu mi devi dare delle licenze di ricerca di materiali preziosi. E queste intese sono offerte sia al governo, sia ai gruppi armati in una rete di mediazioni che si snodano sia accanto a quella ufficiale dell’Unione Africana che a quelle delle nazioni circonvicine.
6) L’assicurarsi impunità ed amnistia, lo ripeto, malgrado efferatezze ripetute mai viste prima, corruzione, clientelismo, regionalismo, rifiuto dell’alternanza politica, povertà, crisi di leadership e interferenze straniere che favoriscono la criminalità.
7) Cinque colpi di Stato riusciti ed altri sventati (veri latrocini di potere) creano una mentalità dal 1960 ad ora che si protrae: gestione etnico familiare del potere; privatizzazione delle ricchezze nazionali; milizia di guardia presidenziale ristretta; dispersione dell’esercito; repressione ed esclusione politica degli oppositori; sistema di ricompensa ai gruppi armati, negoziando un insieme di vantaggi quali l’inserzione al governo e sfruttamento delle ricchezze; museruola alla giustizia e ai media; accordi militari con le potenze regionali e internazionali; attribuzione di contratti, licenze agli amici del regime in cambio di protezione e posti al comando.

 La terza alternativa

Ci sono due possibilità: o togliersi dalla vita politica o giocare la carta della violenza. O magari un’alternativa un po’ più scomoda: giocarsi la propria vita e servire fino in fondo.
Questo sia detto non per giustificare l’interminabile tutela dell’ONU (MINUSCA, che sta per Missione delle Nazioni Unite a Sostegno del Centrafrica), ma per mettere a punto l’efficacia del nostro intervento e apporto come fedeli in Cristo: la preghiera e la penitenza. Anche i bimbi ne sono coinvolti. «Il diavolo sconquasserà il Centrafrica in modo terribile, ma lo Spirito Santo ama troppo il Centrafrica». Con questa consolante profezia di Michele Sessa, santo pittore milanese, chiudiamo e continuiamo la strada della terza alternativa: la rivoluzione di Maria, nostra Signora d’Africa.