Si riferisce qui su «tre giorni e un po’» di formazione permanente a Pontecchio Marconi e si ricorda fra Salvatore Ropa, che ci ha lasciati alla bella età di novantanove anni.

a cura della Redazione di MC

 Insieme per costruire

Esercizi per attraversare il mare 

di Antonello Ferretti
animatore culturale nella Fraternità di Reggio Emilia

 «Quando c’è di mezzo il mare. Esercizi di bella e santa riforma tra il dire e il fare». Ricevere l’invito per partecipare ad una «tre giorni e un po’» di formazione su questo tema crea inevitabilmente un po’ di imbarazzo.

Intanto occorre capire di cosa si tratta, poi questa storia degli esercizi (non spirituali) da fare richiama troppo la scuola, l’idea di un impegno e di un coinvolgimento personale. Meglio le dotte conferenze frontali di una volta in cui tra un concetto e l’altro ci poteva scappare un dolce sonnellino. E poi si aggiunga il fatto che a parlare saranno tre laici e tra questi tre ben due sono donne: una cosa inaudita per i tradizionali corsi di formazione teologica dei frati! Ma questi, se si legge bene l’invito, saranno giorni di pratica e non formazione teologica. Un po’ spaventato, un po’ incuriosito, ma soprattutto spinto dalla voglia di ritrovarmi con i miei confratelli dopo le tante restrizioni causa pandemia, son partito per questa avventura che ha avuto luogo dal 6 al 9 settembre 2021 presso le suore della milizia dell’Immacolata di padre Kolbe a Pontecchio Marconi.

 Pratiche

Certo che i confratelli che hanno ideato questo percorso le hanno studiate proprio tutte: hanno dato un nome ad ogni giornata. Pratiche per costruire insieme, Parole per costruire insieme e Pensieri per costruire insieme. Insomma proprio il rovescio di come abbiamo sempre fatto: si parte non dal pensare per poi esprimere con le parole quello che si vive e soprattutto quello che si costruirà, ma si parte dal reale e si cammina a ritroso. Pare di sentire la voce di papa Francesco quando ci ricorda che la realtà precede ed è più importante dell’idea.
E allora via. Il primo giorno, quello delle pratiche, è stato davvero divertente (o forse tale solo in apparenza) e abbiamo giocato… e tanto! Monica Marzucco, esperta di processi comunicativi, ci ha aiutato a metterci in gioco sia a livello personale che di fraternità, puntando moltissimo sulle relazioni da vivere in situazioni concrete in cui abbiamo dovuto interagire. Oltre che divertente è stato motivo di ascolto e conoscenza reciproca il presentarsi ai confratelli attraverso una immagine che ciascuno di noi ha scelto tra le molte che Monica aveva steso per terra. «Come arrivi?»: questa è stata la suggestione che ci è stata consegnata come criterio per la scelta, e ognuno, interpretandola in base al proprio vissuto, ha comunicato agli altri come era arrivato. Altre attività e giochi (non per lupetti scout o fratini dei seminari serafici che furono) ci hanno insegnato a condividere le nostre e altrui idee in modo propositivo e fraterno all’interno di piccoli gruppi in cui vigevano ferree catene metodologiche che ci han reso in verità persone libere e capaci di esprimersi. Ma la vera sorpresa era dietro l’angolo al tramonto. Come novelli Pollock tutti i partecipanti (oltre una ventina) si son dati appuntamento intorno ad una grande tela bianca stesa su un prato e con pennelli, pennellesse e tempere di ogni colore hanno dato vita ad un quadro comune iniziato da tanti piccoli punti che ognuno ha timidamente dipinto e che solo successivamente son stati trasformati e collegati tra loro con il contributo di tutti, dando vita ad una fraternità multicolore e multiforme. 

Parole

La giornata seguente è stata dedicata alle parole. Stella Mora, docente di teologia fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, ci ha condotto (con l’ausilio di efficaci slides) a prendere in analisi e capire alcune situazioni che spesso viviamo . “Tu non sei Dio, hai un tuo punto di vista sulla realtà, sulle cose, sulla fraternità in cui vivi, sulla gente, ma è il tuo punto di vista e come tale è parziale”. Asserzioni del genere, che ci trovano concordi ogni volta che le leggiamo o ascoltiamo, diventano problematicissime se le mettiamo in dialogo con il nostro vissuto. Occorre scoprire che la vita fraterna e relazionale sono anzitutto una pratica e non una favola o un’utopia, sono qualcosa che coinvolge la esperienza e che le pratiche credenti che viviamo non sono le sorelle povere delle teorie dogmatiche o morali, ma sono i luoghi in cui verifichiamo (cioè facciamo vere) le verità di fede che proclamiamo; ed è qui che sperimentiamo le beatitudini evangeliche. Occorre allora riscoprire (sia nel parlare che nel vivere) l’antica ma affascinante arte del telaio, l’importanza di costruire insieme trame ed orditi per realizzare un mantello comune sotto il quale prenderci cura vicendevolmente l’uno dell’altro.
Quattro ore di parole per costruire hanno creato l’esigenza di rispolverare l’antica consuetudine del “bar del povero” che accompagna da sempre i momenti di vita fraterna dei frati; perciò dopo cena tutti intorno al Doblò di fra Adriano Parenti per far due chiacchiere degustando un buon amaro o liquore: un primo ed inequivocabile passo verso le pratiche credenti.

 Pensieri

L’affascinante racconto di un insieme di persone tra loro molto diverse che si riuniscono sotto un leccio, ha aperto la giornata dedicata ai pensieri per costruire che è stata animata da Vincenzo Rosito, docente di filosofia politica presso diverse realtà universitarie pontificie di Roma. La comunità del leccio, che rappresenta noi nella particolare dimensione sociale e storica che stiamo vivendo, esprime una forma di vita comunitaria che non gli è stata data in eredità, come succedeva nel passato, ma si tratta di una comunità che si è in un qualche modo progettata e costruita insieme. Devo dire che da subito il racconto di Vincenzo mi ha affascinato, mi ha trascinato in una dimensione a me molto consona: quella della programmazione e progettazione comune lasciandosi guidare dal bello, dalla consapevolezza del nuovo, lasciando da parte il “si è sempre fatto così”, giocando con le forze e le persone che concretamente siamo, senza sognare impossibili castelli o fingendo di essere fraternità ideali. Rizoma o pianta classica ben ordinata con le radici che si diramano in perfetto more geometrico? La Chiesa e la fraternità cresciute come una pianta ben programmata è ormai un ricordo del passato e al credente e al religioso che si vive come un funzionario del sacro o uno stratega pastorale che agisce in maniera sempre uguale nonostante il mondo intorno a sé cambi, devono sostituirsi una Chiesa e una fraternità rizomica in cui ciascuno personalmente si mette in gioco e va alla ricerca della terra buona là dove essa è, e spesso la cogliamo dove pensavamo ci fosse solo deserto. Con una immagine molto forte Vincenzo ha sottolineato questo passaggio di paradigma: dalla cassetta degli attrezzi si deve passare alla scatola dei giochi.
E una boccata d’aria come questa non può che dar vita a fraternità nuove che si basano su tre aspetti caratterizzanti il nostro oggi: la volontarietà, la leggerezza e l’apertura. E tante altre sono state le suggestioni fornite dal relatore, ma queste forse le più belle e innovative. Dopo tre giornate così intense, si è sentito il bisogno di condividere, di raccontarsi un po’ i vissuti presenti e i sogni futuri. Quando c’è di mezzo il mare… forse occorre semplicemente piantare un leccio, radunarsi sotto di esso così come si è (e non come si vorrebbe o ci si crede di essere) e cominciare a vivere… perché come canta Lucio Battisti «Che sarà di noi… lo scopriremo solo vivendo».