Dalle cose alle persone. Giordano frate - come ama presentarsi al telefono - dopo aver fondato e diretto il Festival Francescano per nove anni, sta ora scoprendo una pista nuova (nuova? vecchia? sempre nuova?), quella dell’incontro con i poveri, e ci confida: «Per me è una grazia grande».

a cura della Redazione

 Il povero mi fa uomo

Un itinerario evangelico: dalle cose alle persone

 di Giordano Ferri
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egretario provinciale e nazionale del Segretariato della Fraternità/Missione

 L’incontro che non può mancare

Quando entro in casa, Hassan mi mostra il suo salotto, con il grande divano che corre lungo tre pareti della stanza, poi mi presenta la moglie e i suoi bimbi.

Prende Amid, il suo bimbo più piccolo di otto mesi e me lo mette in braccio. Continua a ringraziarmi perché lo abbiamo aiutato a trovare un lavoro: «Amid è un dono grande, se non ci aveste aiutato non sarebbe con noi».
Da qualche tempo partecipo al centro di ascolto della Caritas di Castel San Pietro Terme (BO) e con una volontaria andiamo a trovare a casa le famiglie che come cappuccini stiamo aiutando in paese. Per me è una grazia grande. Il Signore possiamo incontrarlo nell’eucaristia, nella sua Parola e nei poveri; credo che, se ci priviamo dell’incontro con i poveri, ci neghiamo buona parte della nostra esperienza di fede.
In Emilia-Romagna, come frati cappuccini, operiamo in vario modo per le persone in difficoltà.
Oltre alla carità quotidiana che ogni nostro convento esercita, abbiamo tre opere più strutturate a questo scopo. L’“Opera Sant’Antonio” a Rimini, la “Mensa del povero” a Reggio Emilia e il centro distribuzione viveri “Minoritas” di Vignola. Ogni giorno possiamo dire di dare da mangiare a circa 500 persone attraverso queste nostre iniziative che coinvolgono più di cento volontari.
Sono iniziative tutte relativamente recenti che vedono ultimamente un calo degli utenti a causa degli interventi del governo sull’immigrazione. Un terzo circa delle persone che aiutiamo sono italiane, un terzo nord-africane e il resto di ogni parte del mondo. Con soddisfazione possiamo dire che, grazie alla generosità delle persone, di alcune istituzioni e di commercianti e artigiani, non facciamo fatica a reperire i viveri e i generi alimentari che distribuiamo.

 Cosa facciamo?

All’“Opera Sant’Antonio” di Rimini, oltre al servizio mensa, offriamo la possibilità, a chi ne fa richiesta, del servizio docce e di usufruire di un piccolo dispensario farmaceutico. Alla “Minoritas” di Vignola, oltre al cibo, distribuiamo anche indumenti. Nel corso degli anni è emersa anche la necessità di aiutare alcune famiglie nel pagamento di affitti o bollette, necessità alle quali si riesce a rispondere grazie alla vendita di abiti usati e ai mercatini delle pulci allestiti tre o quattro volte all’anno.
In questi mesi ho avuto modo di incontrarmi con i responsabili delle nostre opere, frati e laici, per fare un po’ di verifica, uno scambio di opinioni e di esperienze, per chiederci se possiamo fare qualche cosa per migliorare le nostre iniziative. Una pista sulla quale potremo sicuramente lavorare è quella di offrire maggiori occasioni di formazione ai nostri volontari. In accordo con le Caritas locali potremo proporre una serie di incontri che ci potranno essere utili per prendere contatto anche con le altre realtà presenti nelle nostre città.
Confrontandoci con i delegati delle mense cappuccine del nord Italia, abbiamo poi ipotizzato di avere un incontro formativo sull’Islam, ma anche su questioni molto pratiche, come la sicurezza sul lavoro, le problematiche legate alla somministrazione di generi alimentari e alla responsabilità civile per chi gestisce le nostre opere. La cosa più importante - che sarebbe bello riuscissimo sempre più a fare - è entrare in relazione con i nostri fratelli più bisognosi. Avere cioè l’opportunità di conoscerli, ascoltarli e magari accompagnarli nel loro cammino.

Allargare il giro

Al centro di ascolto che frequento le persone che vengono sono spesso abbracciate e baciate. Spesso vengono anche solo per fare due chiacchiere o per ringraziare. Capita che qualcuno porti dei pasticcini e subito nella stanzetta dove ci troviamo nasce una grande festa. Tante persone soffrono oggi di solitudine. Non hanno amici, non sanno con chi passare le ferie, con chi andare al cinema. Dedicarci agli altri, forzare le corazze che ci siamo costruiti intorno, ci permette di fare esperienze nuove, di guardare la vita in modo differente.
Quando il Signore ci chiede di invitare alla nostra tavola i poveri (Lc 14,12), non credo ci inviti semplicemente a far fronte alle loro esigenze materiali (importantissime) ma a fare entrare queste persone nel nostro giro, nella nostra compagnia, tra i nostri familiari; ad accoglierle nei nostri paesi, comunità, parrocchie, conventi; all’interno delle nostre reti relazionali.
Qualche tempo fa ho letto un commento di Tomaso Montanari su un’opera di Jacob Ochtervelt dal titolo L’elemosina (cfr. Il Venerdì di La Repubblica del 23 novembre 2018). Riferendosi ai nobili ritratti nell’opera così si esprimeva: «Una cosa è chiara. Questi ricchi pietrificati nei loro costumi e nel loro rigido perbenismo non stanno aiutando i poveri. È proprio il contrario: da quella porta aperta è entrata la salvezza, la luce, il calore. È entrata la loro unica occasione di diventare umani».
L’occasione per cambiare la nostra vita, per renderla bella, è a un passo da noi: sta a noi cogliere le opportunità che ci vengono date. Così si esprime papa Francesco nel suo recente Messaggio per la seconda Giornata mondiale dei poveri: «I poveri ci evangelizzano, aiutandoci a scoprire ogni giorno la bellezza del vangelo. Non lasciamo cadere nel vuoto questa opportunità di grazia. Sentiamoci tutti (…) debitori nei loro confronti, perché, tendendo reciprocamente le mani l’uno verso l’altro, si realizzi l’incontro salvifico che sostiene la fede, rende fattiva la carità e abilita la speranza a proseguire sicura nel cammino verso il Signore che viene».