Come pesci nell’acqua

La provvidenziale missione dei Cappuccini in Algeria

 di frère Pascal Aude
cappuccino della fraternità di Tiaret (Algeria)

 La missione che ci è stata affidata dai cappuccini e dalla Chiesa è quella di vivere prima di tutto con degli algerini in maggioranza musulmani, ma non solo.

La nostra parrocchia cattolica di Santa Maria Maddalena di cui Mariusz, frate polacco della provincia di Cracovia è il curato, ha dei confini indeterminati. Possiamo dire che va fino a Aïn Sefra a più di quattrocento km a sud-est dove andiamo a celebrare la messa con le sorelle francescane di Maria una volta al mese. A nord arriva fino a Relizane (a circa cento km) dove abitano sei studenti con i quali siamo in contatto. È una città di molte centinaia di migliaia di abitanti, ma solo una dozzina sono cattolici conosciuti (senza dubbio ce ne sono molti di più soprattutto tra le spose di algerini). Fortunatamente l’attività parrocchiale non si limita alla messa domenicale che riesce a raccogliere solo due o tre studenti…
Fr. Hubert, dopo aver fatto parte dei membri fondatori, si ricicla nella nostra fraternità per le relazioni di vicinato, per un servizio umile alla diocesi e alle comunità di suore (le francescane d’Aïn Sefra e le Piccole Sorelle dei poveri di Oran). Partecipa anche al GREA (Gruppo di riflessione islamo-cristiano).
Fr. René, altro membro fondatore, è ora in Francia nella fraternità di Bron per qualche problemino di salute (87 anni…). Continua fedelmente a restare in contattto con noi e a pregare con noi anche a distanza. Aspettiamo che possa rientrare da noi.
Fr. Mariusz ha in progetto di apprendere l’arabo letterario l’anno prossimo in Egitto, partendo dalla sua esperienza di accompagnamento e di insegnamento di cristiani algerini a livello diocesano e nazionale. Il tutto per inserirsi sempre meglio nella cultura locale.
Fr. Pascal (il sottoscritto) porta avanti la sua ricerca ecologica con l’associazione Es Salam El Akhdar, buona interfaccia con la popolazione. Altri impegni diocesani e nazionali, in particolare la cappellania delle carceri, lo occupano troppo a suo giudizio. Non gli resta abbastanza tempo per passeggiare, scrivere, fare giardinaggio, suonare, studiare arabo, parlare con i musulmani.
La situazione attuale, caratterizzata dalla drastica diminuzione nella frequentazione della parrocchia da parte dei cristiani sub-sahariani, ci interroga sul significato della nostra fraternità dei cappuccini di Tiaret: che cosa ci facciamo qui? E per me che ci sono stato inviato, che cosa ci faccio io?

 Una ragione di obbedienza

Siamo andati in Algeria inviati dai fratelli, nell’obbedienza. Non si tratta di realizzare un progetto personale ma di fidarsi di una istituzione più grande di noi, di me. Il ministro generale che ha dato la sua approvazione per la fondazione di una fraternità internazionale (franco-catalana), nel 2006, ha consultato il suo consiglio. La maturazione del progetto è avvenuta durante la riflessione sull’avvenire dei cappuccini in Europa, nella convinzione che «dobbiamo uscire dall’Europa per garantire un futuro dei cappuccini in Europa». Accettare la richiesta dei propri fratelli, significa aprirsi a qualcosa più grande di se stessi, credere a degli orizzonti che non sono visibili all’occhio nudo e personale. Ogni esperienza di vita religiosa lo sa e non solo quella: chi può tracciare la propria strada senza fiducia negli altri?
Questo ci invita a vivere senza porci troppe domande, in una libertà serena di fronte alla piccolezza della nostra realtà ecclesiale: nessun sacramento da preparare e da amministrare al di fuori di questa comunità di studenti sub-sahariani che ha costituito la «divina sorpresa di questi ultimi anni in Algeria». Nulla è richiesto né atteso da questa presenza cappuccina. Il vescovo di Oran, Jean-Paul Vesco, mi ha detto subito dopo avermi accolto nel 2017: «Anche se resterai su un banco a discutere con la gente, farai bene… e sarai pagato come gli altri!» (cento euro, 23.000 dinari, il salario minimo in Algeria). Questa scelta del salario minimo per gli ecclesiastici è una caratteristica della nostra diocesi e della Chiesa che scopro qui. Ma questa regola invita anche al discernimento delle attitudini dei fratelli.

 Una ragione di competenze

Non bisogna inviare frati non preparati, in un modo o nell’altro, a vivere questa esperienza algerina: una immersione in un paese dove la fede cattolica è legata a 132 anni di colonizzazione francese, una presenza sempre sospettata di proselitismo, ma caratterizzata dal dono della vita di beate e beati martiri celebrati nel 2018 a Oran. Noi non facciamo nuovi cristiani oltre quelli e quelle che sono inviati dallo Spirito Santo. Questo richiede quindi competenze di accompagnamento, di prudenza e di ascolto. Ma anche capacità di insegnamento o di creazione di progetti. Le competenze laiche sono le benvenute, anche particolari come aerobica e yoga, terapie alternative, fisioterapie, cura delle donne violentate o con difficoltà famigliari.
Sperimentiamo la gratuità del vangelo e il vero dialogo. In definitiva non è il numero che conta né i gradi o gli onori. La nostra Chiesa è debole, piccola e manca di tutto. Ma è questo che la fa vivere tra la gente e la rende desiderosa di relazione e di incontro empatico con l’altro. Un altro che resta incomprensibile, straniero, a volte lontano e inaccessibile… ma che tuttavia ci guarda e ci accoglie spesso calorosamente, con amicizia, benevolenza e a volte con curiosità.
Per essere felici in questo contesto occorre dunque una vocazione speciale che richiede una risposta personale. Come quella richiesta da parte degli stranieri durante gli anni neri del terrorismo.

 Una ragione carismatica

Questa vocazione personale costituisce una dimensione spesso disprezzata nella nostra realtà religiosa: per un ministro provinciale, ascoltare il desiderio di un frate, significa esporsi alla critica di favorire l’individualismo, i progetti personali. Ma è proprio compito di un superiore fraterno ascoltare lo Spirito che lavora in profondità il cuore di un fratello per guidarlo a volte su sentieri nuovi, sconosciuti ai più, singolari e a volte inediti. Sentieri carismatici, che sorpassano cioè la persona del fratello pur essendo profondamente in accordo con la sua personalità.
Io non pensavo mai di ritrovare le radici della mia formazione agricola venendo in questo paese né di riflettere con i pionieri della società civile su progetti agro-ecologici. Non pensavo di fare della calligrafia araba un mezzo di sostentamento in un paese dove ci è proibito lavorare. Non pensavo di fare dell’arabo una lingua che mi permette l’accesso ad un universo nuovo, meraviglioso, sconcertante. Ad una comprensione del mondo così lontana dalla mia e così cattivante. Il Cristo svela un po’ di più il suo volto sulle rive altrui dove è utile arrischiarsi.

Io trovo bello avventurarmi là dove non controllo nulla, dove non comprendo nulla, dove altri mi prendono per mano per condurmi dove non sarei mai andato da solo. Benedico i miei fratelli ministri di avermi inviato e i miei fratelli di avermi accolto. Vorrei come loro continuare ad ascoltare i desideri dei fratelli, a rischiare, senza eroismo particolare né desiderio di martirio, a seguire lo Spirito.